Avevo camminato nel buio, sotto la pioggia, finché la luna non aveva fatto spazio al sole, il cielo era diventato azzurro, e gli uccellini avevano preso a cantare salutando la notte e la pioggia. Avevo continuato a camminare anche quando le mie gambe mi avevano implorata di fermarmi, mentre il mio corpo era scosso da brividi di freddo a causa dei vestiti ancora bagnati. Avevo camminato, finché casa mia non aveva preso forma davanti a me, e mi ero sentita sempre più a pezzi ad ogni passo.
Li lasciavo alle mie spalle, come una scia per ricordare la strada, giacevano a terra dovunque fossi passata.
Davanti quel locale in cui Dylan mi aveva lasciata, sul prato del parco da cui ero passata, sui fiori ai bordi dei marciapiedi, sulle strisce pedonali che avevo attraversato. Perfino sul pianerottolo di casa mia, dove mi ero accasciata per un attimo, ora giacevano i miei pezzi.
Di solito, si dice che chi ti spezza il cuore ne porta un pezzetto con sé, e che rimanga suo per sempre, non importa quanto ti sforzi per riaverlo. Ma Dylan non aveva portato niente con sé. Aveva lasciato a me tutti i miei vetri rotti, i miei pezzi che non combaciavano più.
E così, quando rientrai in casa, nella mia triste casa vuota, decisi che non volevo neanche tentare di incollarli. Non esisteva colla abbastanza potente, niente che potesse tenerli di nuovo insieme, niente che potesse aiutarmi a ricostruire quel cuore ormai troppo rovinato.
Come uno spettro senza anima, mi mossi in casa senza fare rumore.
Non mi concessi altre lacrime, forse non ne avevo neanche più, non mi concessi neppure di fermarmi a pensare o a dormire. Mi concessi una doccia, nulla di più.
Indossai una tuta comoda, una felpa grigia, ed uscii per andare al lavoro.
Anche lì continuai a muovermi in silenzio, non spiccicai parola per così tanto tempo che stavo quasi per dimenticare il suono della mia voce, non accennai nessun sorriso a nessuno dei clienti che servivo. Ero come una marionetta mossa da fili invisibili.
Mason ci provò, più e più volte, ed io non ebbi neanche la forza di chiedergli di lasciar perdere. Mi chiese tante volte cosa c’era che non andava, mi chiese se avessi bisogno di tornare a casa, se avessi bisogno di un po’ d’acqua o di sedermi per un po'.
Provò a farmi ridere imitando Bill, mi parlò di una band che stava spopolando sui social, di un libro che aveva letto la sera prima.
Ma io me ne stavo zitta.
Non annuivo.
Non lo guardavo.
Non sorridevo.
Forse non respiravo neppure.
E così, alla fine si arrese. Quando arrivò l’ora di chiudere il bar mi chiese se potevo pensarci io, prese il mio silenzio per un si , e poi prima di uscire disse:
<Non farti questo Aly.>
Quando mi ritrovai da sola nel bar vuoto, consapevole del fatto che non sarebbe più entrato nessuno, mi rannicchiai dietro al bancone poggiando la testa sulle ginocchia.
Ero così stanca. Le ore di sonno perse iniziarono a pesarmi sulle palpebre, e quando le chiusi per un attimo, vecchi ricordi tornarono vividi nella mia mente.
<Che cosa succede se nessuno mi amerà mai?>
Ero distesa sul divano, la testa poggiata sul grembo della mamma, mentre lei mi accarezzava i capelli con dolcezza.
<Perché dovrebbe succedere una cosa simile?>
<Perché io sono diversa da tutte le altre ragazze della mia età.>
<Diverso non vuol dire sbagliato.>
<Sono sempre fuori luogo.>
Lei si mosse piano sotto di me, inducendomi ad alzare lievemente il capo fino ad incontrare i suoi occhi.
<Ascoltami, piccola mia.>
Poggiò una mano sulla mia guancia e l’accarezzo con un tocco delicato.
<Non sei fuori luogo, mai. Sei una stella in mezzo a dei puntini bianchi, sei diversa, ma sei unica.>
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso.
<Un giorno arriverà qualcuno che ti amerà così come sei, fidati me, io lo so. E a quel punto, ti sentirai esattamente dove devi essere. Quello, stellina mia, è l’amore.>
Mi svegliai di scatto sentendo il rumore della porta del bar, mi ero addormentata così in fretta da non accorgermene. Quel sogno sembrava così reale, mi aveva scaldato il cuore, ed io avrei tanto voluto rimanere lì con lei.
Mi alzai in piedi per controllare se fosse davvero entrato qualcuno, e in quel momento il mio cuore iniziò a battere così forte che temevo potesse sentirsi anche da fuori.
Dylan era in piedi davanti la porta, il volto sciupato come il mio, come se avesse passato anche lui la notte a girovagare per la città sotto la pioggia.
Sentii qualcosa aggrovigliarsi allo stomaco, una parte di me avrebbe voluto urlargli contro, l’altra avrebbe voluto saltare il bancone e correre tra le sue braccia.
<Tu che...>
Balbettai, la mia voce mi sembrò così strana dopo ore senza sentirla.
<Che cosa ci fai qui?>
Domandai, mentre i suoi occhi scrutavano il mio viso.
<Avevo voglia di caffè.>
La frustrazione si fece spazio nel mio petto. Era lì, e fingeva che fosse tutto okay, che andasse tutto per il meglio, fingeva di non avermi spezzato il cuore solo qualche ora prima.
<Davvero?>
<No.>
Rispose piano, avanzando verso di me di qualche passo, ed il mio cuore iniziò a correre veloce, troppo per essere normale.
<Allora perché sei qui?>
<Io...>
Mi stupii sentirlo biascicare, non era da lui.
Lui appariva sempre calmo, come se nulla lo intimidisse mai, come se fosse in grado di schiacciare il mondo sotto la suola della sua scarpa.
<Volevo controllare che stessi bene.>
Si avvicinò ancora al bancone, ed io rimasi immobile al mio posto, senza neppure avere la forza di muovere le pupille per distoglierle da lui.
<Come sei tornata a casa? Hai dormito? Hai mangiato? Ti sei bagnata con la pioggia? Hai…>
<Dylan...>
Lo zittì, quella situazione mi sembrava surreale.
Mi aveva lasciata da sola sotto la pioggia, dopo che gli avevo detto di amarlo, davvero credeva che stessi bene? Adesso si preoccupava per me? Era assurdo.
<Mi dispiace.>
Disse poi, prendendo un lungo respiro.
<Mi dispiace di essermene andato, mi dispiace di averti lasciata lì da sola, io...mi dispiace.>
Rimasi immobile di fronte a quelle scuse.
Mi dispiace perché non ti amo.
Questo, era ciò che non stava dicendo.
<Non importa.>
Distolsi lo sguardo da lui, fingendo un’indifferenza che non mi apparteneva.
<A me importa.>
Si avvicinò al bancone e poggiò i gomiti.
<Voglio farmi perdonare.>
Probabilmente, quel ragazzo era fuori di testa.
Non c’era altra spiegazione, non poteva esserci. Com’era possibile che poche ore prima mi aveva abbandonata per strada e adesso mi stava chiedendo perdono?
O era pazzo, oppure non saprei.
<Non devi chiedermi scusa perché ti ho detto che ti amo e tu...>
<Aly...>
Quelle cinque lettere mi bruciarono in gola ancora una volta.
Avrei voluto dire ad alta voce che per lui non era lo stesso, così da convincere me stessa, ma non ci riuscii.
Lui si allontanò dal bancone e iniziò a spostare i tavoli del bar, creando uno spazio al centro.
<Non parliamone, non adesso.>
Il rumore dei tavoli che strisciavano sul pavimento si mischiò alle sue parole, ed io mi sentii ancor più confusa.
Quel gioco sarebbe mai finito? O sarebbe stato sempre così, lui che se ne va e torna come se nulla fosse, mentre io mi innamoravo sempre di più.
<Che cosa fai?>
La domanda sorse spontanea, avrei voluto urlare e dirgli che ero stanca, che non volevo più essere il suo giocattolo, che non volevo più vederlo. Ma niente. Non riuscii a dire altro.
Accatastò i tavoli e le sedie vicino ai muri, rimase fermo al centro di quel cerchio spoglio che aveva creato e mi tese la mano.
<Balla con me.>
Il mio stupido e spezzato cuore fece una capriola.
<Ballare?>
<Si, ballare.>
Mosse di nuovo la mano rivolta verso di me, incitandomi. Io incrociai le braccia al petto, iniziando a pensare che forse non mi ero mai svegliata, stavo ancora dormendo accovacciata dietro al bancone.
<Non c’è la musica.>
Dissi, cercando di rompere quella magia.
Lui abbassò la mano sulla tasca dei suoi jeans, tirò fuori il cellulare, e dopo aver smanettato per un po' I Won’t Let You Go di James Morrison iniziò ad uscire dalle piccole casse, e lui mi tese di nuovo una mano, sorridendo.
<Ti prego, Aly.>
In quel momento non riuscii a zittire il mio cuore, non riuscii a dare peso alla ragione, seguii quel fuoco che mi bruciava al centro del petto. Girai intorno al bancone e lo raggiunsi, lo guardai negli occhi e mi persi in quel verde.
Presi la sua mano e lui mi avvicinò al suo petto, poggiai la testa sulla sua spalla mentre lui ne fece scendere una sul mio fianco. Iniziammo a muoverci in un lento, ed io mi fermai ad ascoltare le parole di quella canzone a cui non avevo dato importanza prima di quel momento.
Mi lasciai avvolgere da quelle parole che piano entravano dentro di me, chiedendomi come mai avesse scelto proprio quella.
Una canzone che parlava di amore puro, di un amore che non conosce l’abbandono, un amore che lotta, che non si arrende, che non ti lascia andare.
E mentre il ritornello iniziava ad espandersi nella stanza, e Dylan mi cullava tra le sue braccia, capii che non c’era nessun altro posto in cui avrei voluto essere.
And if there's love just feel it
E se c’è amore, provalo.
Dylan mi fece volteggiare, ed io sorrisi, sorrisi come non facevo da tempo.
<This ain't no time to be alone.>
Cantò, mentre io mi lasciavo andare ad un’altra giravolta e lui mi riprendeva tra le sue braccia.
Non è tempo di stare soli.
Sorrisi ancora, e ballai, risi così di gusto che non credevo neppure che fosse reale.
Ballavamo e ridevamo, guardandoci negli occhi ogni volta che il ritornello ripeteva:
I won't let you go
Mi sentii così piena di vita, di gioia, mi sentii invadere da una felicità esagerata.
Ballavo e cantavo stretta fra le braccia del ragazzo che amavo, mentre lui mi sorrideva e cantava più forte quando la canzone diceva:
Open up your heart to me now
Apri il tuo cuore per me adesso
Quello che lui non sapeva però, è che il mio cuore era già suo.
Suo e di nessun altro.
Quando la canzone si avvicinò alla fine, mi appoggiai di nuovo al suo petto e riprendemmo a muoverci in un lento, mentre i nostri respiri piano si calmavano dopo aver ballato e cantato a squarciagola.
<Open up your heart to me now.>
Sussurrai sul suo petto, ma lui non rispose, continuò a tenermi stretta mentre la canzone finiva per poi ricominciare.
Avrei voluto urlarglielo.
Apri il tuo cuore per me
Ti prego, volevo dirgli. Aprilo per me, lascia che io lo custodisca. Prendi il mio amore, non voglio più stare sola, e neanche tu. Prendi questo amore e vivilo.
<Perché ti comporti così?>
Domandai, senza smettere di ballare.
<Così come? Come uno stronzo?>
Lo sentii sospirare sotto il mio viso.
<Perché non mi ami?>
Quelle parole mi spezzarono il cuore ancor di più, e le lacrime tornarono a scendere piano sul mio viso, bagnando la sua maglietta.
<Non è così Aly, e lo sai anche tu.>
Intensificò la presa sul mio fianco e strinse più forte la mia mano.
<Allora perché continui a respingermi e a tornare? Non puoi semplicemente restare o andare per sempre?>
Sentii il suo petto sollevarsi ed il suo cuore battere appena più veloce.
<Perché sono egoista.>
Sussurrò vicino al mio orecchio, la voce spezzata.
<Ecco perché mi comporto così, perché so che dovrei lasciarti andare, ma non ci riesco.>
Mi strinsi a lui con più forza, riempiendomi le narici con il suo profumo, affondando il viso nel suo petto.
<Allora non farlo.>
La mia voce era rotta, era supplichevole.
<Non posso stellina.>
<Perché?>
Alzai la voce, di nuovo annegata dalle mie stesse lacrime, mentre chiudevo la mano a pugno sulla sua maglietta.
<Perché devo salvarti.>
<Da cosa?>
Alzai finalmente il viso, guardandolo, mentre la canzone finiva senza più ricominciare. Lui abbassò lo sguardo ed i nostri sguardi finalmente si trovarono.
<Da me.>
La sua voce quasi rimbombò nel silenzio della stanza, ed io mi sentii incapace di rispondere, incapace di lasciare i suoi occhi.
Perché doveva salvarmi da lui?
Perché credeva di non meritare il mio cuore? Perché vedeva difetti in tutto ciò che era?
Avrei voluto chiederglielo, dirgli che non doveva salvarmi perché lui non era il mostro ed io non ero la principessa da salvare, ma non ci riuscii.
Perché la porta del bar si aprì, ed i nostri sguardi si persero.
Quando guardai la porta, riconobbi subito l’anziana signora che stava lì in piedi, con la sua piccola borsetta fra le mani ed un libro sotto braccio.
Era la signora che avevo incontrato al bar durante il mio secondo giorno di lavoro, quella con cui avevo parlato di Orgoglio e Pregiudizio e poi di amore, del suo e del mio.
Io e Dylan sciogliemmo in fretta il nostro abbraccio, mentre ci voltavamo verso la signora ed io mi stampavo in faccia un sorriso imbarazzato e asciugavo le lacrime.
La signora ci guardò e sorrise.
<Te l’avevo detto.>
Disse, mentre si avvicinava a me e Dylan le girava intorno posizionandosi al suo posto davanti alla porta.
La signora mi poggiò una mano calda e rugosa sulla guancia, sorridendo ancora, ed io abbassai lo sguardo su di lei, ricambiando con un sorriso di mezzo lato.
<Ti avevo detto che un giorno ti saresti innamorata anche tu.>
Mi accarezzò piano la guancia ed i miei occhi tornarono a bagnarsi di lacrime.
<Te l’avevo detto che sarebbe stato bello. Lo è, non è vero?>
<Si.>
Dissi, alzando lo sguardo verso Dylan, ma lui non c’era più.
Era uscito silenzioso come un ladro, ed io mi pentii di aver sciolto quell’abbraccio, di non averlo stretto di più.
<È bellissimo.>
Dissi alla signora che continuava ad accarezzare dolcemente la mia guancia, ma continuai a guardare quello spazio vuoto davanti a me, quello spazio in cui avrei voluto vedere lui.
Ad aspettarmi, finalmente pronto, per aprire il suo cuore.
I won't let you go
Ripetei dentro la mia testa.
Non volevo lasciarlo andare.
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Come amano le stelle
Storie d'amoreLa vita ha preso a calci Alya troppe volte, per troppo tempo. Le ha portato via la mamma troppo presto, lasciandola da sola a fare i conti con la malattia mentale del padre. Le cicatrici sul suo cuore sono troppo vecchie, troppo profonde, e Alya è...