Affrontare il mondo

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Passai i successivi due giorni a scrivere pagine su pagine di appunti, mi ero fatta uno schema sulla trama, avevo dato un nome ed una descrizione dettagliata a tutti i personaggi, e nella mia mente passavano così tante idee che a volte credevo di essere in procinto di impazzire.
<Posso leggere?>
Dylan mi osservava dal divano, io me ne stavo chinata sul tavolo, una gamba sulla sedia vicino al petto, uno chignon scombinato a tenere i capelli e solo una sua t-shirt addosso.
<No.>
Risposi senza distogliere lo sguardo da quello che stavo scrivendo.
Lo sentii alzarsi e venire verso di me, lui la t-shirt non la indossava, portava solo un pantalone della tuta nero e camminava a piedi scalzi.
Si sedette su una sedia affianco a me, poggiò una mano sulla mia coscia ed iniziò ad accarezzarla lentamente.
Un brivido mi salii lungo la schiena, ero ancora troppo vulnerabile al suo tocco.
<Così mi distrai.>
Lo guardai di sottecchi.
<Era quello l’intento.>
Staccai gli occhi dal foglio e li concentrai su di lui.
<Sei come un bambino alla continua ricerca di attenzioni.>
<Infatti, ho proprio bisogno di attenzioni in questo momento.>
Mi prese la mano e mi tirò appena, io mi alzai e mi sedetti sulle sue ginocchia, lui posizionò una mano intorno ai miei fianchi e l’altra sulle cosce nude.
<Sai cosa mi piacerebbe fare?>
Iniziò a muovere la mano sulla mia coscia, su e giù, delicatamente.
<Cosa?>
Gli feci scorrere una mano tra i capelli e la sua espressione si fece più intensa.
<Vorrei fare l’amore con te in ogni angolo di questa casa.>
Avvicinai il mio viso al suo, le nostre labbra vicine ma senza toccarsi.
<Per esempio dove?>
Il suo respiro iniziò a farsi irregolare, la sua mano continuò a muoversi sulle mie gambe, sempre più vicina al mio punto debole.
<Su questo tavolo, per esempio.>
Premette le sue labbra sulle mie, morbide e calde, io le schiusi per lasciar entrare la sua lingua. Iniziammo a baciarci con passione, sentivo il mio corpo già in fiamme mentre mi spostavo su di lui e avvolgevo le mie gambe sui suoi fianchi. Poggiò le mani sul mio sedere, poi si alzò prendendomi in braccio e mi adagiò sul tavolo di legno.
Sentii i fogli dei miei appunti sotto di me, si stropicciavano e strappavano mentre lui infilava una mano sotto la mia maglietta e me la sfilava.
Rimase per un attimo a contemplarmi dall’alto, a contemplare il mio corpo completamente nudo su quel tavolo, come se fossi il suo pasto del giorno.
<Bellissima.>
Io sorrisi appena, poi mi misi a sedere e lo avvicinai a me per baciarlo.
Toccavo ogni centimetro del suo petto nudo e mi perdevo tra le sue curve e le sue incavature, mentre lui chiudeva le sue mani sui miei seni e baciava il mio collo, il petto e le spalle.
Abbassai una mano sulla cintura dei suoi pantaloni e feci per abbassarli.
<Non la conosci proprio la pazienza.>
Lo sentii sorridere sul mio collo, mi avvicinai al suo orecchio e bisbigliai piano.
<Saremo delicati una prossima volta, adesso no, adesso non voglio pensare.>
Si straccò dal mio collo e sorrise guardandomi, poi tolse le mani dai miei seni e si abbassò i pantaloni.
Non appena fu dentro di me, vidi fuochi d’artificio e stelle cadenti.
Tutto divenne insignificante, piccolo, inutile.
Con ogni spinta mi ridava la vita, riempiva il mio essere e nutriva la mia anima.
Urlavo dal piacere, consapevole che lì nessuno ci avrebbe sentiti, ed assaporavo il suono della sua voce mentre anche lui si lasciava andare a gemiti che solo io potevo udire.
I suoi respiri si mischiavano ai miei, i suoi battiti completavano i miei, eravamo un tutt’uno. Eravamo due corpi che si stavano fondendo, diventando un solo cuore, un solo respiro, un solo cielo.
Quando esplose di piacere, uscendo da dentro di me, anch’io mi lasciai andare ed abbracciai il mio culmine.
Dylan si avvicinò a me e mi posò baci leggeri sul viso, sulla fronte, sul naso, sulle guance ed infine sulle labbra. Baci dolci che non avevano niente a che vedere con la passione con cui mi aveva baciata qualche attimo prima.
Abbassò lo sguardo sui fogli rimasti sul tavolo ed io feci lo stesso, guardando gli appunti sui miei personaggi, stropicciati ed accartocciati.
<Hai dimenticato di aggiungere un punto alla lista delle mie caratteristiche.>
Indicò l’elenco puntato che avevo scritto sotto al suo nome.
<Quale?>
Alzai lo sguardo per guardarlo negli occhi e lo vidi sorridere mentre tornava ad appoggiare le mani sulle mie gambe, ero ancora nuda e seduta sul bordo del tavolo.
<Mago del sesso.>
Sorrisi e lo colpì dolcemente su un braccio.
<Devo anche aggiungere “modesto”, a quanto pare.>
<Le tue descrizioni devono essere veritiere stellina, non è colpa mia se so fare certe magie.>
Si girò ed iniziò a salire la scala a chiocciola, rialzandosi i pantaloni che gli erano rimasti caduti sulle caviglie.
<Vado a fare una doccia, vieni o rimani seduta lì tutta nuda ad aspettare che torni?>
Risi e scesi giù dal tavolo, la doccia, infondo, era un angolo che non avevamo ancora testato.




Più tardi, dopo cena, mi sedetti sui gradini del portico. Era una cosa che avevo fatto anche le sere precedenti, mi piaceva ascoltare il canto dei grilli o magari il verso di un gufo. Inoltre, data la posizione dello chalet, ogni sera sulla mia testa si colorava un cielo pieno di stelle, ed io mi perdevo ad ammirarlo chiedendomi se davvero la mia mamma era lì con loro. Quella sera i pensieri non avevano intenzione di darmi tregua, nonostante Dylan mi fornisse molta distrazione. In quei giorni, infatti, quando i pensieri iniziavano a farsi pesanti ero corsa da lui, ovviamente era stato ben disposto ad aiutarmi a non pensare.
Ma quella sera, mentre guardavo le stelle, mi sentii pronta ad accoglierli.
Pensai a papà, a come doveva sentirsi in quel posto, a Noah, che probabilmente aveva bisogno di me, nonna Anna che era di sicuro molto preoccupata.
Presi il cellulare che portavo sempre con me nonostante fosse spento da giorni e finalmente lo riaccesi.
Non appena agganciò la rete una sfilza di messaggi apparvero sullo schermo.
Ellie, la nonna, il nonno, e anche papà.
Probabilmente la mia famiglia aveva chiamato Ellie credendo fossi scappata da lei, il che significava che mi avrebbe fatto davvero molte domande non appena ne avesse avuto modo.
Uno dei suoi messaggi infatti diceva:
Ti ho coperta, ma mi devi una spiegazione.
Una decina di faccine rosse dalla rabbia e poi ancora:
Ps: ti prego dimmi almeno se stai bene.
Sorrisi e decisi di rispondere per alleviare la sua preoccupazione.
Alya: Grazie per avermi coperta, non preoccuparti, sto bene.
Non avevo voglia di dirle altro, anche perché spiegarle tutto sarebbe risultato complicato.
Volevo fare solo un’altra cosa prima di spegnere nuovamente il telefono e tornare da Dylan.
Gli squilli mi parsero infiniti, ma poi lui rispose.
<Aly...>
<Ciao papà.>
Una lacrima bagnò la mia guancia sinistra.
<Stai bene?>
Asciugai la lacrima e cercai di riprendere il controllo, se mi avesse sentita piangere si sarebbe preoccupato.
<Sto bene, ho solo bisogno di tempo.>
<Lo so scimmietta, tutto quello che ti serve.>
Sorrisi appena, ma non un sorriso felice, bensì colmo di tristezza.
<Tu...tu come stai?>
<Starò meglio quando tornerò da voi.>
<Devi solo dirmelo papà...>
Sputai fuori quelle parole tra singhiozzi silenziosi, non volevo che sentisse la mia angoscia.
<Dimmi quando vuoi tornare a casa ed io verrò a prenderti.>
<Lo so tesoro.>
Non risposi, intenta a non lasciarmi sfuggire singhiozzi troppo rumorosi.
<Tornerò da te e sarò il padre che meriti Aly, te lo prometto.>
<Ti voglio bene papà.>
<Anch’io bambina mia.>
Quando chiusi quella telefonata avvicinai le ginocchia al petto e ci appoggiai la testa, mi lasciai andare ad un pianto liberatorio che forse trattenevo da tanto.
Volevo il mio papà a casa con me, ma volevo anche dire addio a quella malattia che da troppo tempo soffocava lui ed anche me.
Lo volevo com’era prima, volevo sentirlo stringermi mentre mi abbracciava, baciarmi la fronte, accarezzarmi i capelli.
Volevo un padre, un amico, un fratello.
Volevo sentire di nuovo il calore di un genitore, da troppo tempo combattevo da sola la battaglia contro la vita.
Quel posto urlava paura e solitudine, ma se lui era pronto lo ero anch’io, l’avremmo affrontata insieme, poi avrei riavuto il mio papà.
Mi asciugai le lacrime e raggiunsi Dylan a letto, mi sdraiai  al suo fianco dandogli le spalle, lui mi attirò a sé e mi abbracciò da dietro.
<Tutto okay?>
Sussurrò vicino al mio orecchio.
<Sono pronta.>
Risposi, sapendo che avrebbe capito ciò che intendevo.
<Sono pronta ad affrontare il mondo.>
Lui, in risposta, mi strinse più forte.

Come amano le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora