Scommettiamo

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Quel momento fu interrotto dal mio cellulare che iniziò a suonare.
Avevamo lasciato i vestiti e tutto il resto su quella piccola montagna da cui ci eravamo tuffati, perciò alla fine ci trovammo costretti ad interrompere quel bacio, con smorfie di disapprovazione da parte di entrambi, e risalire.
Lungo il tragitto nessuno dei due disse una parola, io non sapevo cosa dire, lui supposi si aspettasse che quei baci si trasformassero in altro, era dunque deluso.
Presi il cellulare e trovai chiamate perse di Ellie e due messaggi di papà.

Papà: Tutto okay scimmietta? Sei già sveglia?

Papà: Chiamami appena puoi.

Quel "chiamami appena puoi" mi preoccupò un po', perciò mi allontanai un attimo da Dylan e gli telefonai.
<Ehi, scimmietta.>
Tirai un sospiro di sollievo sentendo la sua voce rilassata e di buon umore.
<Ehi papà, scusa ma stavo ancora dormendo, abbiamo fatto tardi. È tutto okay lì?>
Mentii, ovviamente, non potevo dirgli cosa stavo facendo davvero.
<Certo, alla grande, siamo in spiaggia. Quando torni?>
Mi arrabbiai un po' sapendo che erano in spiaggia, avrei voluto essere con loro.
<Domani mattina.>
<Va bene tesoro, Noah ti saluta.>
Sentii in sottofondo la voce di Noah che urlò:
<Ciaoo.>
Sorrisi, sentendo la loro mancanza, nonostante fosse passato solo un giorno, non vedevo l’ora di tornare da loro.
Mi sbrigai a terminare la telefonata con papà, dicendogli che Ellie aveva bisogno di me, così tornai da Dylan.
Lo trovai già vestito, con i capelli ancora bagnati che sgocciolavano bagnando la sua maglietta, seduto su una roccia. Iniziai a pensare che quello per lui non era stato niente, solo un bacio, solo uno dei tanti, mentre a me aveva fatto venire le vertigini.
Senza dire una parola mi avvicinai ai miei vestiti che stavano ancora per terra, dandogli le spalle, presi la maglietta e feci per metterla, ma mi ritrovai Dylan alle spalle che mi fermò il braccio, non l’avevo neanche sentito avvicinarsi.
Rimanendo alle mie spalle avvicinò le labbra al mio orecchio e sussurrò, sfiorandomi il lobo.
<Vorrei che non dovessi rivestirti, è un peccato dover coprire qualcosa di così bello.>
Sussultai, un po' per lo spavento, un po' perché la sua voce e le sue parole provocarono farfalle nel mio stomaco. Centinaia di farfalle che svolazzarono libere, solleticandomi.
Non risposi, perché lui se ne stava ancora attaccato al mio orecchio ed io supposi dovesse ancora dire qualcosa, o forse ci sperai.
<Credimi stellina, vorrei passare ore a baciare ogni centimetro della tua pelle.>
Si allontanò dal mio orecchio e mi posò un leggero bacio sul collo, così leggero da essere quasi impercettibile, ma provocò una tempesta dentro di me.
<Adesso vestiti però, non voglio che lungo la strada qualcuno vada a sbattere perché si distrae a guardare il tuo culo sulla mia moto.>
Gli feci la linguaccia, mi venne così naturale, lui sorrise e poi mi aspettò finché non fui di nuovo vestita.
Lungo la strada del ritorno ero felice, un po' spaventata forse, non sapendo cosa sarebbe successo in futuro, ma ero felice.
Mi sentivo così al settimo cielo che finalmente trovai il coraggio, mi alzai in piedi sulla moto e allargai le braccia, mi sembrò di poter toccare il cielo con un dito.
<Mettiti a sedere stupida, non farmi venire un colpo.>
Mi rimproverò lui, toccandomi la gamba, decisi di accontentarlo e mi rimisi a sedere piano, sbuffando.
<Noioso.>
Lo stuzzicai, e anche se non riuscivo a vederlo in viso fui sicura stesse sorridendo.
Nessuno ci sentì arrivare in casa, o almeno credetti così dato che Ellie non uscì correndo preoccupata, si starà sicuramente chiedendo dove io sia finita.
Prima di entrare decisi che sarebbe stato meglio mettere in chiaro delle cose, giusto per essere sicuri.
<Ascolta, io credo sia meglio non dire nulla agli altri per il momento, lo dirò io ad Ellie, magari più avanti.>
Mi guardò per un attimo, apparentemente perplesso.
<Io...io preferisco così.> Continuai.
<Una cosa segreta?>
<Beh si, una cosa segreta.>
Mi innervosii un po' che la chiamasse cosa, ma infondo neanch’io sapevo bene come chiamarla.
<Mi piace. È il nostro segreto stellina.>
Disse, posandomi un altro bacio leggero sulle labbra, probabilmente l’ultimo della giornata,  dato che non saremmo stati più soli.
<Come ci comportiamo?>
Chiese, quando io credevo che la conversazione fosse finita.
<Come prima, fingiamo che non sia cambiato nulla.>
<Quindi io devo fingere di volerti scopare e tu di non volerlo? Facile. Io voglio davvero scoparti, a te risulterà difficile fingere che non lo vuoi.>
<Cosa ti fa pensare che io debba fingere?>
Lo sfidai.
<Ricorda stellina, il tuo corpo mi parla.>
<Attento, non mi fido ancora di te.>
Si avvicinò a me, mentre me ne stavo appoggiata alla sua moto, poggiò le mani sui miei fianchi e avvicinò la sua bocca alla mia.
<Scommettiamo che arriverai al punto di supplicarmi di fare sesso con te?>
Risi di gusto.
<Non credo proprio.>
<Vedremo.>
Fece per baciarmi di nuovo, ma poi si allontanò e si avviò verso la porta, lasciandomi lì a bramare un suo bacio.
Quando entrai in casa dopo di lui, notai tutte le camere vuote ed intuii che fossero tutti in piscina, perciò mi avviai in quella direzione, mentre Dylan era già arrivato.
Non ero arrabbiata perché fosse entrato senza aspettarmi, era meglio così, dovevamo mostrarci distaccati.
Appena varcai la porta per uscire in piscina, vidi Ellie alzarsi di scatto dalla sdraio e correre verso di me.
<Amica, dove diavolo eri finita?>
Le sorrisi e l’abbracciai, era così premurosa con me. Quando la liberai dall’abbraccio mi afferrò il polso e mi trascinò nella mia camera, chiuse la porta alle nostre spalle e ci fece accomodare entrambe sul letto.
<Voglio sapere tutto.>
La guardai interrogativa. Lo sapeva? Dylan aveva già spifferato tutto?
<Tutto riguardo cosa?>
<Voi due, mi pare ovvio, è successo? Siete andati a letto?>
Scoppiai a ridere.
<No Ellie, non siamo andati a letto.>
Lei mi guardò inarcando le sopracciglia.
<Mi sei appena costata cinquanta dollari.>
<Ellie, dimmi che non significa quello che penso significhi.>
<Dipende, cosa pensi significhi?>
Mi guardò imbarazzata, ed io capii che si era resa conto solo in quel momento di avermi detto qualcosa che non doveva dirmi. La guardai male, già arrabbiata. Seppi già, senza bisogno di parlare, che ci eravamo capite.
<Okay senti, era tutto perfetto. Non c’erano altri letti perciò dovevate per forza dormire insieme, credevo che una volta che vi sareste ritrovati nello stesso letto sarebbe successo qualcosa.>
La guardai ancora, sapevo che c’era dell’altro, sapevo che non aveva finito.
<Si beh, ho fatto una piccola scommessa con Liam. Per divertirci. Ti prego non ti arrabbiare.>
Mi fece gli occhi dolci, ed io mi sciolsi come al solito. Non potevo arrabbiarmi con lei, non per qualcosa di così stupido.
<E così hai perso cinquanta dollari? Eppure mi conosci così bene, dovevi aspettartelo.>
<Si dannazione, sono stata stupida, credevo ti avrebbe convinta.>
Ci scambiammo un sorriso, complici, poi lei mi guardò per qualche minuto. Temevo si notasse qualcosa, che il mio corpo mi tradisse lasciando intuire ad Ellie che in realtà qualcosa era successo, o che peggio ancora lei mi leggesse dentro come faceva sempre, scoprendo la verità senza che io neppure parlassi.
<Quindi non è successo proprio niente?>
Domandò, squadrandomi ancora. Per paura che la mia voce mi giocasse un brutto scherzo decisi di non usarla, mi limitai a scuotere la testa.
Lei continuò ancora a fissarmi, ma poi finalmente parlò.
<Okay bene, mi devi cinquanta dollari. Andiamo.>
Mentre tornavamo alla piscina Ellie mi aveva informata che c’erano dei tramezzini in frigo, e che loro avevano già mangiato. Perciò prima di raggiungere gli altri mi fermai in cucina e ne presi uno, morivo di fame.
Aprii il frigo e mi abbassai per prenderli, prendendo anche un’aranciata.
Quando mi girai per posarli sul tavolo quasi saltai per lo spavento, notando Dylan seduto al tavolo. Quando era arrivato? O peggio ancora, era sempre stato lì? Come avevo fatto a non vederlo?
Si alzò senza dire nulla e venne verso di me, il mio cuore impazzì, cosa voleva fare? Che ne è stato del nostro accordo?
<Me la rendi difficile se ti abbassi così per prendere qualcosa dal frigo, proprio davanti a me.>
COSA?
Mi guardai intorno nervosa, per controllare che non ci fosse nessuno che possa averlo sentito, tirai un sospiro di sollievo quando notai che erano tutti in piscina e non stavano neanche guardando nella nostra direzione.
Non risposi perché troppo nervosa per farlo, ma avvampai.
Lui si avvicinò di più, mi strappò il tramezzino dalle mani e ne addentò un morso, poi me lo rimise in mano, passandosi un dito sulle labbra per togliere della salsa che gli si era depositata sopra.
Avvampai ancora.
<Mmh...piccante.>
Se ne andò, lasciandomi lì a sudare.
Voleva farmi impazzire?
Rassegnata mi lasciai cadere su una sedia e addentai anch’io il tramezzino, due secondi dopo mi ritrovai a scolarmi la bottiglia dell’aranciata.
Non era una sorta di frase a doppio senso quella di Dylan, quel tramezzino era davvero piccante, troppo per me.
Che cavolo c’era dentro? E come aveva fatto lui a mangiarlo tranquillamente?
Non appena quel bruciore lancinante passò mi ricomposi, guardandomi intorno per assicurarmi che nessuno mi avesse vista quasi morire a causa di un tramezzino. Ovviamente alla fine non lo mangiai, optai per una fetta di pizza avanzata la sera prima che trovai nel frigo. Poi corsi a mettermi il costume e raggiunsi gli altri in piscina. La giornata passò in totale relax, mi sentivo bene.
Io e Dylan non ci scambiammo altro che sguardi, ma non ci rivolgemmo la parola, come d’accordo. Lui trascorse la giornata con Liam e gli altri ragazzi, io con Ellie e le ragazze, mi andava bene così. Arrivata sera Ellie voleva ancora festeggiare, ovviamente, quindi dopo aver cenato preparammo dei cocktail e continuammo a fare festa. Rispetto alla sera precedente fu tutto più tranquillo, niente obbligo o verità, per mia fortuna. Restammo a bordo piscina a bere cocktail, a chiacchierare e a ridere.
Ma una parte di me quasi tremava al solo pensiero che, quando saremmo andati tutti a letto, io e Dylan ci saremmo trovati soli in una stanza.
Infatti, purtroppo o per fortuna, arrivò presto quel momento.
Quando eravamo tutti più che brilli, ad una ad una le coppiette iniziarono a sbaciucchiarsi e a ritirarsi nelle camere. Alla fine ovviamente io e Dylan restammo soli.
Calò il silenzio per un po', quasi come se volessimo assicurarci che fossero davvero tutti a letto, poi grazie all’effetto dell’alcol io mi sentii coraggiosa e decisi di lasciarmi andare.
<Io vado a fare una doccia.>
Dissi, guardandolo negli occhi, mentre mi alzavo e mi incamminavo verso la porta.
<Vieni?>
Aggiunsi, dandogli le spalle, quasi sulla soglia della porta. Non lo sentii muoversi, ma comunque continuai a camminare ed entrai in casa. Non so se mi aspettassi che venisse correndo, non so se ci sperassi, non so se fossi delusa di non vederlo arrivare.
Arrivata in camera lo aspettai davanti la porta del bagno per qualche minuto, ma non vedendolo arrivare decisi di lasciar perdere. Entrai in bagno, aprii l’acqua e la lasciai scorrere per un po' mentre mi svestivo, poi mi avvicinai alla doccia e misi una mano sotto l’acqua per controllare la temperatura.
Fu in quel momento, mentre sentivo l’acqua fredda diventare quasi bollente, che una mano si posò sulla mia schiena, accarezzandomi, disegnando tutti i contorni del mio corpo.
Mi voltai di scatto, nonostante sapessi già con esattezza chi fosse.
I nostri sguardi si incrociarono, e vidi i suoi occhi ardere, ma non parlai, né mi mossi.
Ero completamente nuda davanti a lui, ma non solo perché ero senza vestiti. Ero nuda perché ero disarmata, in quel momento avrebbe potuto fare di me ciò che voleva. Mi ero liberata dei vestiti così come mi ero liberata di dubbi e paure, non mi importava più, volevo essere sua.
Con uno scatto si avvicinò e mi baciò, forte, con desiderio, poi mi spinse all’indietro, dentro la doccia. Improvvisamente eravamo entrambi sotto l’acqua calda, così calda che quasi mi bruciava la pelle, ma non mi provocava dolore, mi pizzicava, mi provocava piacere. La mia schiena toccò la parete e lui iniziò a baciarmi il collo, le spalle, il petto. Solo in quel momento notai che era ancora vestito, la sua maglietta bianca era ormai zuppa, si era incollata alla sua pelle ed era diventata trasparente, lasciando intravedere i suoi muscoli che si contraevano per toccarmi. Sembrò non curarsene, perché non accennò a fermarsi. Continuò a baciarmi, facendo scivolare le mani tra i miei seni, baciandoli, poi di nuovo il collo e le spalle. Lasciai cadere la testa all’indietro , arrendendomi, lasciandomi controllare dal suo tocco.
Poggiava le labbra su ogni centimetro della mia pelle, passandoci delicatamente sopra la lingua. Poi si fermò ed alzò la testa per guardarmi, leggevo il desiderio nei suoi occhi. La sua mano scese sempre di più, fino ad arrivare nel punto in cui si concentrava tutto il mio piacere. Riprese a baciarmi, prepotente, facendo danzare le nostre lingue. Poi lentamente, quasi aspettasse il mio consenso, fece scivolare due dita dentro di me.
Il mio corpo impazzì, inarcai il bacino verso di lui e mi staccai dal suo bacio, gettando nuovamente la testa all’indietro. Continuò a muovere le dita dentro di me, veloci ed esperte, strappandomi gemiti di piacere. Nel frattempo mi guardava, guardava il mio volto colmo di piacere ed il mio corpo totalmente sottomesso a lui.
Volevo essere sua.
Ma in un attimo si fermò, estraendo le dita, guardandomi ancora, ma senza più toccarmi.
<Perché ti fermi?>
Chiesi seccata, ansimando ancora.
<Mi assicuro di vincere la scommessa.>
Faceva sul serio? Io non avevo neanche capito che avessimo scommesso, non credevo fosse serio quando ha detto: Scommettiamo che arriverai al punto di supplicarmi di fare sesso con te?
Io non avevo acconsentito.
<Spero tu stia scherzando.>
Ribattei, nel frattempo tutta la mia eccitazione era del tutto sparita, piuttosto volevo picchiarlo.
<Sbrigati a fare la doccia, devo lavarmi anch’io.>
Uscì dalla doccia e prese un asciugamano, tamponandosela sui capelli uscì dal bagno chiudendo la porta alle sue spalle.
Come poteva farmi questo?
Avrei voluto urlare, ma se non altro questo significava che non voleva solo fare sesso con me, altrimenti l’avrebbe fatto. Supposi.
Oppure ero ancora soltanto il suo giocattolo preferito, e voleva giocare con me ancora un po'?
Insoddisfatta e affranta alla fine mi lavai sul serio, dopo essermi asciugata decisi di indossare solo una maglietta e le mutandine per dormire. Volevo stuzzicarlo un po'.
Uscii dal bagno e mi sdraiai sul letto accanto a lui, ma senza battere ciglio si alzò e andò anche lui a lavarsi. Quando finì,  e tornò in camera, me ne stavo sdraiata su un fianco, fingendo di dormire, aspettando una sua mossa.
Sentii il suo peso cadere sul letto affianco a me, all’inizio non si mosse, ed io mi rassegnai.
Dopo un po' lo sentii avvicinarsi, poggiò un braccio sul mio fianco, abbracciandomi da dietro, e lo sentii iniziare un monologo con se stesso, sussurrando. Capii che probabilmente credeva che dormissi davvero, perciò non mi mossi.
<Sognavo questo momento da quando ti ho vista per la prima volta dietro il bancone del bar. Non mi sei più uscita dalla testa. Non voglio solo sesso con te, voglio questo. Voglio dormire abbracciato a te, voglio sentire il tuo profumo, accarezzarti la pelle. Voglio che i tuoi occhi blu siano la prima cosa che vedo al mattino.
Non so cosa mi hai fatto, non so perché hai questo potere su di me, ma non voglio che smetti.>
Mi sforzai per non muovere un muscolo, per non fargli capire che in realtà ero sveglia e avevo sentito tutto. Una parte di me avrebbe voluto girarsi e baciarlo, ma non volevo rovinare quel momento.
Speravo con tutta me stessa che ripetesse quelle parole un giorno, guardandomi negli occhi. Ma anche così, in quel momento, fecero battere forte il mio cuore. Nel mio stomaco tornarono le farfalle, libere, colorate, felici. Facevano festa dentro di me, mentre io desideravo fermare il tempo a quel momento.
A quel momento che mi ha ridato speranza, che mi ha fatto pensare che forse la felicità non è per tutti, ma che io la merito. Nella mia mente si fece strada il pensiero che forse Dylan era un angelo, e che era sceso dal cielo mandato dalla mamma, solo per farmi scoprire la felicità, quella vera.

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