Quando rientrai a casa quella sera, si era già fatta ora di cena. Stranamente nessuno mi aveva chiamata per chiedermi dove fossi, cosa che nonna Anna faceva ogni volta che ritardavo.
Entrando in cucina la trovai ai fornelli, mentre Noah ed il nonno erano abbracciati sul divano a guardare un documentario sui delfini, sorrisi non appena li vidi.
<Ciao.>
Dissi alla nonna non appena il suo sguardo si posò su di me, poi mi lasciai cadere su uno sgabello, sfinita.
<Scusa, ho fatto tardi.>
<Non preoccuparti tesoro, ho pensato a tutto io, la cena è quasi pronta.>
<Papà?>
Lei si rabbuiò.
<In camera, dice di essere stanco, gli ho portato uno spuntino qualche minuto fa. Giusto per riempire lo stomaco.>
In altre circostanze sarei andata da lui per provare a convincerlo ad alzarsi dal letto, ma quella sera non avevo le forze, troppe cose annebbiavano la mia mente.
<Oggi ho chiamato il medico.>
Dissi, mentre la nonna si accomodava sullo sgabello vicino al mio.
<Cos’ha detto?>
Mi irrigidii ripensando alle parole del medico, ma era giusto informarla.
<Dice che se si rifiuta di prendere le medicine è necessario un ricovero, per riabituarlo ad una terapia.>
Si irrigidì anche lei, spostandosi nervosamente sul suo sgabello.
<E tu che ne pensi?>
<Non voglio riviverlo nonna, non ce la faccio. Non posso sopportare di vederlo lì, quello non è il suo posto, il suo posto è qui. Con noi, con me.>
Si sporse in avanti, avvicinandosi a me, prendendo le mie mani tra le sue.
<Lo so che è difficile bambina, ma forse è la cosa giusta, ha bisogno d’aiuto.>
Le sue parole furono come coltelli nel mio petto. Era vero, papà aveva bisogno d’aiuto, ma ero io il suo aiuto. Io potevo salvarlo, il mio amore poteva tirarlo fuori da quel buio. Io…dovevo almeno tentare.
<No.>
Sfilai le mani dalle sue, portandomele ai capelli, spostandoli dal viso.
<Lui sta bene qui. Sono sua figlia, sono tutto l’aiuto che gli serve. Lui lì non ci torna.>
Lei non rispose, si alzò ed iniziò a preparare la tavola per la cena. Mi lasciò lì, appoggiata al bancone della cucina, con le testa fra le mani ed i pensieri che pesavano sul cuore. Ma le fui grata per questo, per non aver insistito, non avrei cambiato idea. Ero io a decidere, papà era il mio primo amore, il primo uomo che io abbia amato. Fin dalla prima volta che i miei piccoli occhi da bambina avevano incontrato i suoi, il mio cuore gli apparteneva. Il suo posto era con me, lo sarebbe sempre stato. Non l’avrei rimandato in quel posto in cui la felicità era solo un ricordo lontano.
Cenai in silenzio, senza mai udire la mia voce. Non parlai quando il nonno mi domandò come andava al lavoro, neppure quando Noah mi raccontò di un nuovo gioco che aveva imparato a scuola. Le sue risate creavano musica dentro di me, ma io quella sera non riuscii a regalargli nessun sorriso complice.
Quando i nonni andarono via, Noah si era ormai addormentato sul divano dopo una scorpacciata di cartoni animati. Lo portai a letto e mi presi un attimo per guardare il suo viso, delicato e rilassato, mentre dormiva. Quel bambino era la cosa più bella che possedevo. Mentre me ne stavo lì a guardarlo dormire, promisi a me stessa che non avrei mai lasciato che questo mondo crudele lo ferisse. Lui non sarebbe cresciuto com’ero cresciuta io, lui sarebbe stato felice.
Quando finalmente riuscii a smettere di guardarlo mi diressi nella mia camera e chiusi la porta alle mie spalle. Mi sentivo esausta, così decisi che ci voleva proprio una bella doccia rilassante prima di dormire. Una volta in bagno chiusi la porta e mi guardai allo specchio. Come succedeva spesso, il mio viso urlava disperazione, quello che vedevo non mi piaceva. Mi lavai, lasciandomi scaldare dalla calda carezza dell’acqua.
Una volta uscita dalla doccia spazzolai i miei capelli, li asciugai e li legai in una treccia. Non volevo più sentirli pesanti sulle mie spalle, lì di pesi ce n’erano già troppi.
Infilai la solita t-shirt più grande di me che usavo per dormire, e dopo un’ultima occhiata allo specchio ero pronta per andare a dormire.
Dopo aver spento la luce uscii dal bagno, mentre la mia vista si abituava alla luce fioca del lume che stava sul comodino.
<Chi è Alex?>
Una voce mi fece saltare dallo spavento, ed il mio cuore iniziò a martellare ancora di più quando mi resi conto della figura distesa sul mio letto.
Mi ero dimenticata che Dylan sarebbe venuto a dormire da me anche quella notte.
Superato lo spavento, il mio cuore riprese a martellare quando mi accorsi di ciò che teneva fra le mani, e che sfogliava con curiosità.
Era un piccolo quaderno blu, con delle piccole stelle colorate sopra, ed era ciò che io chiamavo diario segreto.
Fin da bambina mi ero accorta che era più facile liberarsi dei pensieri scrivendoli su un foglio, è per questo che da sempre tenevo un diario segreto. Finora ne avevo riempiti quattro, alcuni erano pieni di stupidaggini di una piccola me che aveva da poco imparato a scrivere, ma quelli più recenti contenevano i miei segreti.
Vederlo con quel diario in mano scatenò in me un senso di disagio.
Non avrei mai voluto che lo leggesse, né lui né nessun altro. Era la parte più vera di me, scrivevo tutti i miei pensieri più profondi, le mie paure, tutte le cose che mi facevano male ed anche quelle che mi facevano del bene, nonostante fossero notevolmente in minoranza rispetto alle prime. Erano cose che non sapevo tirar fuori a voce e le scrivevo per liberarmene. Quella era una parte di me che era sempre stata solo mia e che volevo rimanesse tale.
<Dove l’hai trovato?>
Mi avvicinai e mi sedetti sul letto di fronte a lui.
<Era qui sul letto, non ti facevo tipo da diario segreto. Non sei un po' grande per queste cose?>
Scherzò, ridendo, ma a me non divertiva affatto. Mi sentivo come se fossi nuda davanti ad un teatro pieno di gente.
<Non avresti dovuto leggerlo, sono cose personali.>
<Oh si ho notato quanto siano personali, è stato istruttivo.>
Rise ancora, ed io mi sentii in imbarazzo ripensando a tutte le cose che c’erano scritte sul quel diario. Avevo scritto di molti ragazzi, piccole cotte o cose più serie. Avevo scritto le mie fantasie, convinta che nessuno avrebbe mai letto i deliri di una ragazzina. Avevo scritto anche di lui.
E avevo scritto di Alex. Avevo scritto soprattutto di Alex.
<Quanto hai letto?>
Speravo avesse avuto il tempo di leggere solo qualche riga, un paio di pagine al massimo.
<Mmh, fammi pensare….ho letto la parte in cui dicevi che Marcus bacia bene ma che con Jonathan verrebbero bambini più carini.>
<Okay, dammelo!>
Mi sporsi per strapparglielo di mano, ne seguì solo una lotta in cui io cercavo di prenderlo e lui lo spostava per impedirmi di arrivarci.
<Oh poi ho letto la parte in cui dicevi che sono un arrogante figlio di puttana, ma che per qualche motivo a te sconosciuto le farfalle svolazzano nel tuo stomaco quando mi vedi. A proposito, mi è piaciuta quella parte, tranne per l’arrogante figlio di puttana. Io non sono arrogante.>
<Sei senza dubbio arrogante.>
<Così mi ferisci, stellina.>
Continuavo a dimenarmi tentando di prendere quello stupido diario, pentendomi addirittura di averlo scritto, ancor di più di averlo dimenticato così in bella vista sul letto.
Con una mossa Dylan mi bloccò, mi ritrovai distesa sul letto con la schiena, lui a cavalcioni su di me, il suo viso vicinissimo al mio, il mio diario ancora nelle sue mani.
<Ma soprattutto…ho letto abbastanza da chiederti, un’altra volta, chi è questo stronzo di nome Alex?>
Mi toccò arrendermi, sapevo che lui non l’avrebbe fatto.
<Posso almeno mettermi seduta o devo rimanere sotto di te?>
<Preferisci stare sopra?>
Scherzò di nuovo, stavolta io sorrisi. Non mollò la presa, rimasi ancora lì incastrata sotto di lui. Alla fine capii che non l’avrebbe fatto, perciò decisi che non faceva differenza la posizione in cui mi trovassi mentre gli raccontavo del mio primo amore.
<Alex è il fratello di Ellie.>
Lui non rispose, si limitò a fissarmi. Era logico che volesse sapere di più, di certo quello non bastava considerando cosa avevo scritto sul diario.
<Qualche anno fa ero spesso a casa di Ellie, passavo lì i pomeriggi, dormivo anche lì delle notti. Io ed Alex parlavamo a stento, ero quasi convinta che mi odiasse in realtà. Io ed Ellie eravamo delle ragazzine curiose, lui era più grande di noi, andava già all’università. A me e ad Ellie era proibito entrare nella sua stanza, toccare le sue cose, lui non perdeva occasione per ricordarcelo.>
Mi fermai quando lui iniziò ad accarezzarmi il viso, ancora non sapeva quanto fosse complicato per me parlare di Alex, ma quel suo gesto fu come una carezza sul mio cuore. Mi diede la forza di continuare, di non tremare più parlandone.
<Un giorno, mentre tornavo da scuola, mi venne un attacco di panico. Non ne soffrivo da molto, perciò era ancora qualcosa di sconosciuto per me, non sapevo come farli passare. Mi ritrovai per strada da sola, incapace di respirare, di camminare ancora, di chiedere aiuto. Purtroppo o per fortuna, Alex passava di lì. Mi trovò accasciata a terra, ansimante per l’ossigeno che non riuscivo più a far entrare nel mio corpo. Mi aiutò a calmarmi, non so come ma ci riuscì, poi mi riaccompagnò a casa.>
Dylan non parlò ancora, forse non era necessario raccontargli tutta la storia dal principio, forse bastava dirgli che Alex era semplicemente una persona che apparteneva al mio passato. Ma, non so perché, in quel momento il mio cuore mi urlava di non tralasciare niente.
<Avevo sempre guardato Alex con gli occhi dell’odio, era prepotente, saccente, presuntuoso. Sembrava odiare il genere femminile, come se ogni ragazza gli desse il voltastomaco. Tutte tranne Ellie, sua sorella. Loro hanno sempre avuto un legame unico, indissolubile. Ma non aveva mai guardato me come guardava Ellie, non prima di quel momento. Dopo quel giorno iniziammo a guardarci in maniera diversa, neanch’io lo guardavo più con gli occhi dell’odio. Improvvisamente ogni sua sfumatura diventò per me meravigliosa, desideravo conoscere ogni suo lato.>
<Ti stavi innamorando di lui.>
<Si.>
Dissi a denti stretti, mentre il mio battito accelerava.
<Mi stavo innamorando di lui, e lui di me.>
<Non siete stati felici?>
<Lo siamo stati, per un po'.>
<Poi cosa cambiò?>
<Con il tempo lui iniziò ad essere sempre più geloso, ho dovuto abbandonare molti amici perché lui diceva che volevano solo approfittarsi di me. Se qualcuno si avvicinava a me lui lo aggrediva o lo picchiava, tutti iniziarono ad avere paura anche solo di parlarmi. Io però l’amavo, e per me quello significava che teneva a me e non voleva che qualcuno mi portasse via da lui.>
Il suo sguardo si addolcì, ma io mi irrigidii perché quello non era tutto.
<Per questo ti sei arrabbiata quando ho fatto quella scenata a Mason?>
<Si. È per questo che avevo paura che tu non mi volessi più dopo.>
<Perché lui non voleva più stare con te dopo che gli hai detto che non ti piaceva quel suo comportamento?>
Per qualche strana ragione, un grosso nodo si legò alla mia gola, ed io fui costretta a tirare un lungo respiro prima di continuare. I ricordi si facevano spazio nella mia mente, ricordi che per tanto tempo avevo cercato di dimenticare, nascondendoli in una piccola scatola dentro la mia testa.
<Quando iniziai a vedere quei suoi comportamenti per ciò che erano davvero, senza più il velo dell’amore a nasconderli, decisi di parlargliene. Gli dissi che non mi piaceva che gli altri avessero paura anche solo di salutarmi, che quello non era l’effetto che dovrebbe fare l’amore. Lui non reagì come avevo sperato. Io credevo che avrebbe capito, che avrebbe migliorato quel suo aspetto perché mi amava.>
Come avevo previsto, lacrime colme di tristezza appannarono la mia vista. Cercai di cacciarle via ma fu inutile, era troppo tardi. Quei ricordi avevano già annebbiato la mia mente, riportandomi a quella notte, alla notte in cui smisi di credere all’amore.
Il tocco di Dylan si indurì, ma non si fermò. Continuò ad accarezzare il mio viso con delicatezza, come se la mia pelle fosse fatta di porcellana e lui avesse paura di rompermi.
<Iniziò ad urlarmi contro, disse che ero una puttana e che volevo solo le attenzioni di altri. Disse che una come me non meritava di essere amata, che volevo solo infilarmi nel letto di qualcun altro. Poi disse che si comportava così perché mi amava troppo e non poteva sopportare che qualcun altro prendesse il suo posto, ed io da stupida gli credetti.>
<Cazzo Aly, non dirmi che sei rimasta con lui dopo tutto quello che ti aveva detto.>
<Si, ero incapace di lasciarlo andare, perché io davvero l’amavo. Ma quel suo comportamento non fece che peggiorare. Iniziò a bere, mi proibiva di uscire senza di lui, non voleva neppure che andassi a prendere un caffè con Ellie. Alla fine il mio amore si trasformò un’altra volta in odio. Ero sempre triste, non riuscivo a mangiare, a parlarne con qualcuno. Alla fine trovai il coraggio di lasciarlo, ma quando lo affrontai lui mi fece dimenticare che colori avesse il mondo.>
<Dio, non dirmi che...>
<Era ubriaco, quando gli dissi che era finita perse il senno. Non era più lui, non era il ragazzo di cui mi ero innamorata, quello che mi aveva aiutata a superare un attacco di panico. Il suo schiaffo brucia ancora sulla mia pelle, lo sento come se fosse una ferita ancora aperta, come se fosse fuoco. In quel momento capii che se quello era l’amore, allora io non volevo innamorarmi mai più.>
<Fu solo uno schiaffo o c’è di più?>
Le lacrime rigavano il mio volto, ed il suo tocco si era ormai fermato. Era rigido sopra di me, vedevo la rabbia nei suoi occhi.
<No, non c’è altro. Forse si è reso conto subito dopo di ciò che aveva fatto, senza dire una parola se ne andò, non l’ho più rivisto. Giorni dopo Ellie mi disse che era partito per un po', non mi importava neppure sapere dove. Ellie sa tutto, il loro rapporto è molto cambiato dopo quegli avvenimenti. Lui non torna da un po', almeno che io sappia.>
<Dove ti ha colpita?>
Mi stupii di fronte a quella domanda insolita. Mi sarei aspettata un altro tipo di risposta dopo tutto quello che gli avevo raccontato.
<Qui.>
Dissi, indicando la mia guancia sinistra, appena sotto l’occhio. Senza dire nulla si avvicinò a me ed iniziò a baciare la mia pelle umida di lacrime, nel punto esatto che gli avevo indicato.
<Cosa fai?>
<Ti aiuto a dimenticare.>
Io non mi mossi, mentre lui continuava a posare baci leggeri sul mio viso.
<Sostituisco quella ferita con ricordi diversi, d’ora in poi quando guarderai questo punto del tuo viso ricorderai solo i miei baci.>
Continuò a baciarmi quell’angolo del viso, mentre io gli ero silenziosamente grata per quello che stava facendo. Forse Alex non era amore, ma Dylan…. Dylan era la reincarnazione dell’amore. Se lui non era l’amore, allora io non sapevo cosa fosse.
I suoi baci si fecero più intensi, si spostarono sulle mie labbra e sul mio collo. La sua lingua si muoveva dolce e veloce sulla mia pelle, ed io mi sentivo già sua. Mi incastrò un’altra volta sotto di lui, tenendomi i polsi inchiodati al letto senza mai smettere di baciarmi.
<Voglio farti dimenticare tutto.>
Disse, ansimando tra un bacio e l’altro. Alzò la maglietta che usavo come pigiama ed iniziò a baciare i miei seni, con un gioco di lingua e denti che mi diede l’impressione di essere in paradiso.
<Voglio che dimentichi qualsiasi ragazzo prima di me che ti abbia guardata. >
Gli affondai le dita tra i capelli e strinsi il lenzuolo sotto di me con l’altra mano, mentre lui spostava le mie mutandine e affondava due dita dentro di me, facendomi bruciare sotto quel suo tocco. Mi guardò mentre io soffocavo gemiti che non potevo lasciare sfogare, e inclinai la testa da un lato.
<Chiunque abbia tentato di corteggiarti, chiunque sia stato in grado di rubarti un bacio. Voglio che dimentichi chiunque ti abbia sorriso o sfiorato la pelle.>
Estrasse con velocità le dita da dentro di me, si sfilò i pantaloni e li gettò via. Si tolse anche la maglietta e finalmente il suo corpo nudo si incastra con il mio. Entrò dentro di me senza lasciarmi il tempo di riprendere fiato, e iniziò a muoversi sicuro e veloce, mentre io mi perdevo tra le sue spinte e le sue parole.
<Voglio esserci solo io.>
Si mosse sempre più veloce ed io mi sentii ormai al culmine, sommersa da quel piacere, piena di lui. Diede un’ultima spinta ed entrambi raggiungiamo l’apice.
A quel punto mi guardò negli occhi, occhi pieni d’amore e di desiderio. Se il mondo fosse finito in quel preciso istante, noi non ce ne saremmo accorti. Eravamo persi, l’uno negli sguardi dell’altra.
<Soltanto io Aly, per sempre.>
E così sarebbe stato, io lo sapevo.
Solo lui, per sempre.

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Come amano le stelle
RomanceLa vita ha preso a calci Alya troppe volte, per troppo tempo. Le ha portato via la mamma troppo presto, lasciandola da sola a fare i conti con la malattia mentale del padre. Le cicatrici sul suo cuore sono troppo vecchie, troppo profonde, e Alya è...