<A che pensi?>
Mason mi strappò dai miei pensieri, ovviamente rivolti a Dylan. Mi domandavo quando si sarebbe fatto sentire, se fosse necessario inviare per prima un sms. Mi domandavo se le cose sarebbero mai tornate come prima tra noi, o se sarebbe rimasta una frattura nel nostro rapporto che con il tempo sarebbe diventata una voragine.
<A niente.>
Risposi, cercando di tornare in me.
<Aly, siamo qui da ore, non è entrato un cliente e tu non hai aperto bocca. E tu parli sempre troppo. Che succede?>
Parlavo davvero così tanto? Restai a rifletterci per un attimo, poi mi concentrai sulla domanda che mi aveva appena fatto. In fondo, Mason era l’unico a sapere di me e Dylan, di conseguenza l’unico con cui potessi parlare di una cosa simile. E, tra l’altro, avevo davvero bisogno di parlarne con qualcuno. Ero sempre stata abituata a parlare con Ellie di qualsiasi cosa, di tutto ciò che mi passava per la testa, ma adesso non potevo. Però per me era davvero necessario ascoltare il parere di una persona esterna alla situazione.
<Io e Dylan abbiamo litigato. Tanto, molto, anzi moltissimo. Ci siamo tipo lasciati.>
Lui mi guardò senza parlare per un attimo, forse stupito dal fatto che abbia buttato fuori tutto immediatamente senza bisogno di insistere.
<Cosa significa che vi siete tipo lasciati?>
<Quanto tempo hai?>
Sorrisi con un lato della bocca, quasi imbarazzata.
Per fortuna, neanche nelle ore successive entrò nessuno al bar, perciò ci fu tutto il tempo per raccontare la situazione nei minimi dettagli a Mason.
<Okay Aly, fermati, inizi ad essere logorroica.>
Forse troppo minimi quei dettagli.
<Non so aiutarti.>
<Cosa?>
Mi stava dicendo che avevo parlato per un’ora per poi sentirmi dire questo? Ellie sarebbe stata più d’aiuto, perfino nonna Anna lo sarebbe stata.
<A me Dylan non sembra minimamente simile a quello stronzo di Alex. Solo perché ha fatto una cosa che te lo ha ricordato non significa che vivrai un déjà vu, ovviamente questo non lo giustifica, però non paragonarlo. Io credo che lui ti ami davvero, deve solo capire che non è necessario spaccare zigomi ogni volta che qualcuno ti posa gli occhi addosso.>
Okay, meglio.
<Si ma...>
<Niente ma Aly, se anche tu non fossi persa per lui non saresti qui a rimuginarci, l’avresti già chiusa. Goditi questi giorni di lontananza, analizza i tuoi sentimenti. Quando vi rivedrete ne parlerete e senza neanche accorgertene prenderai una decisione definitiva.>
<Si, forse hai ragione.>
<Bene, adesso non ho più voglia di farti da psicoterapeuta.>
Gli faccio la linguaccia in modo scherzoso, forse in fondo iniziavamo a volerci bene.
<Parliamo di cose più importanti, cosa fai domani sera? E no, non sto per chiederti un appuntamento, non vorrei il setto nasale rotto dai pugni di Dylan.>
Altra linguaccia, iniziava a piacermi questo scherzo.
<Non ho nulla da fare domani sera, perché?>
<La mia confraternita organizza una festa in maschera al dormitorio, ti va di venire?>
Ma come fanno ad essere sempre tutti in vena di far festa? Se non altro però, era una buona occasione per passare del tempo con Mason al di fuori del lavoro, e in fondo avevo bisogno di svagarmi e non pensare a Dylan.
<D’accordo, ci verrò.>
<Ti mando l’indirizzo.>
Quando tornai a casa quel giorno, Dylan non si era ancora fatto vivo. Continuavo a domandarmi se fosse il caso di farlo io per prima, ma era stata sua l’idea di sentirci regolarmente mentre lui si trovava a Boston, io riuscivo solo a domandarmi dove ci avrebbe portato questa messa in scena. Stavamo solo fingendo che non fosse successo niente, che fosse tutto come prima, ma dove ci avrebbe portato tutto questo? Fingere, accantonare la cosa, avrebbe davvero aiutato a migliorare le cose?
Dopo cena, decisi di rilassarmi in veranda con una camomilla calda. Mi sedetti sul dondolo color crema e mi tornarono in mente tutti i momenti passati lì con la mamma. Quello era un po' il nostro posto, adoravamo starcene lì sedute mentre il fresco venticello della sera ci spostava i capelli. Da bambina mi piaceva scrivere delle storie, alla sera io e la mamma sedevamo su quel dondolo ed io gliele leggevo. Storie che narravano di fate, coraggiosi guerrieri, mondi incantati, avventure epiche. La mamma le ascoltava tutte con pazienza, poi accarezzandomi i capelli diceva:
Hai un potere bambina mia, come le giovani eroine di cui narri. Le tue parole creano una melodia che ti incanta, viene voglia di ascoltarle per sempre. Non smettere mai di sognare Aly, la tua fantasia può portarti ovunque tu voglia. Quando hai voglia di scappare dalla realtà tu scrivi, è l’unico modo che hai per scappare da questo mondo crudele, almeno per un po'.
Adesso però la mia fantasia era volata via con lei, e così anche tutti i miei sogni. Non riuscivo più ad immaginare quei mondi incantati, non riuscivo più ad essere l’eroina dei miei racconti. Ormai era tutto finito, ed io non riuscivo più a scrivere niente che sentissi davvero mio.
Mentre me ne stavo lì sul dondolo, avvolta in una coperta, a sorseggiare la mia camomilla, il mio telefono iniziò a vibrare dentro la mia tasca.
<Ciao stellina.>
Solo in quel momento mi resi conto di quanto io avessi aspettato e desiderato quella telefonata per tutto il giorno. Finalmente, ancora una volta, il mondo si fece più leggero.
<Ehi, come va?>
<Bene. Che hai fatto oggi?>
<Niente di che, e tu?>
<Niente di che.>
Improvvisamente i dubbi tornarono ad affollare la mia mente. Di cosa avremmo dovuto parlare per una settima intera? Come poteva funzionare tutto questo? Non aveva senso. Mi resi conto, inoltre, di conoscere Dylan meno di quanto pensassi. Tra noi era successo tutto così in fretta, ma lui non si era mai aperto davvero con me. Certo, mi aveva raccontato di sua madre, seppur in minima parte, ma non sapevo nient’altro. Fino a ieri non sapevo neppure che i suoi zii vivessero a Boston. Non sapevo dov’era cresciuto, se aveva degli amici, com’era la sua famiglia. Io non sapevo niente di lui.
<Come stanno i tuoi zii?>
Chiesi ad un certo punto, cercando un modo per entrare nei particolari della sua vita.
<Bene, felici di rivedermi.>
<Da quanto tempo non andavi a trovarli?>
<Sei mesi.>
Cosa? Non vedeva la sua famiglia da sei mesi?
<Perché da così tanto tempo?>
<Ho avuto altro a cui pensare.>
Ecco, aveva appena chiuso la porta a cui avevo bussato.
<Dylan...>
<Si stellina?>
Mi presi un attimo, riflettendo. Era il caso di sputare fuori ciò che riempiva la mia testa?
<Io non so niente di te.>
Si, lo era.
<Come sarebbe a dire non sai niente di me?>
<Non so dove sei cresciuto, com’è la tua famiglia.>
<Sono cresciuto qui a Boston, e la mia famiglia è...particolare.>
Ed eccolo tornato, il ragazzo delle frasi a metà.
<Cioè? Anche la mia famiglia è particolare.>
<Non è lo stesso Aly.>
Il suo tono si indurì, ed io mi resi conto di aver toccato un tasto dolente. Di solito ero paziente con le persone, non indagavo mai, non facevo mai domande sulla loro vita per non risultare invadente. Ma con lui…
Come potevo stare con una persona di cui non sapevo niente? Bastava davvero basarsi su ciò che vedevo, senza desiderare di sapere di più, di guardare più in fondo?
<Senti, ti prometto che un giorno saprai tutto ciò che c’è da sapere.>
<E quando arriverà quel giorno Dylan?>
<Arriverà Aly, te lo prometto.>
Quello non era niente, una promessa che poteva essere infranta con la stessa velocità con cui era stata pronunciata. Eppure io...mi fidavo.
Trascorsi qualche ora lì, su quel dondolo, mentre ormai la notte mi avvolgeva. La sua voce mi coccolava, ed io lo immaginavo vicino a me, e non dietro un telefono.
Ma forse era necessario, forse stare lontani era ciò che ci serviva per amarci di più.
Gli raccontai della festa a cui Mason mi aveva invitata, e quella fu una sorta di prova per me. Se Dylan era anche minimamente simile ad Alex, non sarebbe mai stato d’accordo con una tale proposta. Andare alla festa di una confraternita con un ragazzo mentre lui è a chilometri di distanza. Alex l’avrebbe considerato un tradimento.
Ma Dylan ha superato la prova, ed io ne fui sollevata.
<Sembra divertente, promettimi solo di fare attenzione.>
<Lo farò, e poi ci sarà Mason con me.>
<Si ma sono stato alle feste delle confraternite, a volte possono essere...eccessive.>
<Dylan...>
<Si?>
<Non preoccuparti.>
Sbuffò leggermente, probabilmente carico di preoccupazione che però non voleva farmi notare.
<Ricordati solo di quanto sei bella e di quanto sia facile innamorarsi di te, non permettere che accada a qualcuno che non sia io.>
<Gli altri potranno anche innamorarsi di me, ma il mio cuore è già completamente, totalmente, vergognosamente tuo.>
Non potevo vederlo, ma sapevo che stava sorridendo. Lo sapevo perché era ciò che stavo facendo anch’io.
<Per sempre Aly? Me lo prometti?>
<Te lo prometto, per sempre.>
Anche quella era solo una promessa che poteva facilmente essere infranta, io però ci credevo. Ci credevo con tutta me stessa e questo doveva bastare. Non sarebbe mai potuto accadere niente in grado di farmi cambiare idea.
Io ero sua, il mio cuore era suo. E suo sarebbe rimasto, per sempre. Non volevo donarlo a nessun altro, non volevo lasciarlo sfiorare da nessun altro.
Lui e solo lui aveva la chiave. Lui era il custode del mio cuore.
Stupido, fragile, ferito cuore.
Pieno di schegge e crepe, eppure batti ancora.
Sei sopravvissuto alle tempeste ma adesso meriti il sole.
Lasciati cullare da quest’angelo dagli occhi verdi, e lascia che il tuo battito risuoni anche nel suo di petto.
Due cuori spezzati se uniti ne formano uno intero. Così eravamo noi, due metà mancanti, solo insieme eravamo completi.
Avere un cuore in due non è certamente un’impresa facile, ma non potremmo mai vivere con una sola metà, ne serve uno intero per farlo. E io ce l’avevo solo se lui mi stava accanto.
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Come amano le stelle
RomanceLa vita ha preso a calci Alya troppe volte, per troppo tempo. Le ha portato via la mamma troppo presto, lasciandola da sola a fare i conti con la malattia mentale del padre. Le cicatrici sul suo cuore sono troppo vecchie, troppo profonde, e Alya è...