Casa

734 34 3
                                    

La famiglia è una cosa assai complicata.
Ci sono volte in cui ti pesa, volte in cui quella casa non sembra tua, sembra una prigione, una comoda cella. A volte pensi che la vorresti diversa, forse meno rumorosa, meno complicata, più normale.
Altre volte invece ti rendi conto che è tutto ciò che hai e tutto ciò che vuoi.
Ad un certo punto, ti rendi conto che quella famiglia scombinata è l’unica cosa che ti tiene ancora su questo mondo. Ti rendi conto che il Natale non sarebbe Natale senza quel pranzo infinito e quelle risate chiassose, la vita non sarebbe la stessa senza la serata giochi del giovedì, senza la colazione in pigiama della domenica.
Arriva un momento nella vita, in cui ti rendi conto che casa è l’unico posto in cui puoi davvero essere te stessa, l’unico in cui non serve nascondersi o vergognarsi. L’unico posto in cui puoi girovagare con su una vecchia maglietta ed i capelli legati in due treccine, l’unico in cui puoi mangiare con le mani o camminare con solo i calzini.
È l’unico posto in cui non importa se sei in perfette condizioni o con i capelli arruffati, non importa se indossi un bel vestito o se ti sei truccata adeguatamente. Dentro quelle mura tu sei solo tu, e va bene così.
La famiglia è un bene prezioso, e non è un privilegio riservato a tutti.
Famiglia significa non essere soli, non potrai mai esserlo, ci sarà sempre qualcuno dietro la tua porta chiusa a chiave ad aspettare che tu apra.
Famiglia significa pazienza, perché non importa quanto tu ti senta giù, aspetterà che ti torni la voglia di sorridere.
La famiglia è quella che sa che quando sei triste ti piace guardare vecchi film sotto una soffice coperta, è quella che sa che non ti piacciono i broccoli, o che quando sei felice ti piace ascoltare la musica ad alto volume.
La famiglia sa che ti arrotoli i capelli sul dito quando hai l’ansia, sa che giocherelli con la collanina a forma di cuore quando l’attacco di panico diventa pesante, sa che indossi quella collanina da quando avevi sedici anni. La famiglia sa tutto, anche prima che lo sappia tu, anche prima che tu ammetta di saperlo.
Ti conosce, sa come leggerti, sa come guarirti.
La mia famiglia, per esempio, sa che non mi sono mai piaciute le grandi feste per il mio compleanno, e sa anche che non ho mai voluto una torta ma dei paffuti muffin al cioccolato.
È così che trascorsi il giorno del mio ventesimo compleanno, infatti.
Una giornata tutta per me, per noi, con i muffin e tante risate. Vere risate.
Finalmente quel giorno, dopo tanto tempo, sorrisi di pancia, sorrisi di cuore.
Mi godetti ogni istante, mi godetti il peso di Noah seduto sulle mie ginocchia mentre spargeva il cioccolato del suo muffin ovunque, mi godetti il tocco delicato della mano di papà che ogni tanto stringeva la mia sotto il tavolo, il calore degli abbracci lunghi della nonna e l’armonia della grossa risata del nonno.
Per un attimo, la mia vita mi parse perfetta, ed io avrei voluto che restasse così.
Avrei voluto cancellare Dylan dalla mia mente, lui e tutto quell’amore che provavo, così smisurato e forse sbagliato. Avrei voluto cancellare dalla mia memoria quegli ultimi mesi, tornare a quando non conoscevo nessun ragazzo bello e tormentato, a quando le mie ferite erano solo mie e non le avevo mostrate a nessuno. Sarei voluta tornare a quando Ellie era mia sorella, a quando non c’erano segreti tra di noi, a quando quei momenti in cui stavamo distese sul suo letto a parlare erano l’ossigeno della mia vita.
Sarebbe stato tutto più facile se Martin McFly fosse apparso improvvisamente nel giardino di casa mia e avesse deciso di lasciare a me la sua macchina del tempo, avrei potuto mettere a posto molte cose.
Ma niente era mai facile, soprattutto non per me.
Poco prima di cena, quel giorno, dopo essermi isolata dal mondo per godermi la mia famiglia, presi il telefono con la speranza di trovare un messaggio di auguri da parte di Ellie. Era sempre stata al mio fianco per ogni compleanno, aveva sempre fatto il conto alla rovescia nonostante fosse una cosa che detestavo e mi regalava sempre un libro spicy che non avrei mai comprato di mia spontanea volontà, ma che alla fine apprezzavo sempre. Con lei i miei compleanni erano sempre colorati e gioiosi, anche nei periodi più bui della mia vita.
Mi mancava, ed avrei tanto voluto ricevere i suoi auguri quel giorno, avrebbe significato che ancora mi pensava e che la nostra lontananza pesava sul suo cuore come sul mio.
Ma quando sbloccai il telefono non trovai nessun messaggio a suo nome, ed io capii che per come mi ero comportata non lo meritavo neppure.
C’era invece un messaggio di Mason, ed aprendolo mi preparai a leggere cose tipo “dove sei finita?”, “devi reagire Aly”, “mi sto stancando di queste tue vibes negative”. Ma il messaggio in realtà diceva:

Mason: Brutta stronza con gli occhi blu, perché non mi hai detto che è il tuo compleanno?

Sorrisi di fronte al “Brutta stronza con gli occhi blu” e mi affrettai a rispondere.

Alya: L’avevo dimenticato perfino io, non è importante. =)

Feci per posare il telefono ma prima che potessi raggiungere la tasca posteriore dei jeans vibrò, Mason aveva appena dato inizio ad una serie di messaggi che mi strapparono sorrisi a mai finire.

Mason: Non è importante? Ovvio che lo è.
             E non usare quelle stupide faccine con me, le detesto, sono così antiquate.

Alya: La percezione di “antiquato” è del tutto soggettiva, a me piacciono. =p

Mason: Hanno inserito le emoji in 3D sulla tastiera molto tempo fa, aggiornati.

Alya: Sei solo invidioso perché vorresti anche tu entrare a far parte del mio club esclusivo sulle faccine antiquate. =D

Mason: Preferirei morire, piuttosto.

Alya: XD

Mason: Smettila.

Alya: =,(

Mason: Sono felice di costatare che quanto meno ti è tornato il buon umore, le vibes negative non ti donano.

Alya: Hai insultato le mie faccine definendole “antiquate”, le vibes negative sono ufficialmente tornate.

Mason: Chiedo venia, vostra altezza, ma farai meglio a metterle di nuovo da parte. Non c’è posto per loro stasera.

Alya: Cosa succede stasera?

Mason: Andiamo ad una festa. E no, non puoi rifiutare, è il tuo compleanno.

Alya: Proprio perché è il mio compleanno dovrei avere la libertà di decidere di rifiutare.

Mason: D’accordo, allora è il mio di compleanno.

Alya: Non rubarmi il mio giorno. >=(

Mason: Passo a prenderti alle nove, fatti bella principessa.

La mia volpe si presentò puntuale, come una zanzara che ti ronza vicino all’orecchio di notte mentre tu vuoi disperatamente dormire. Quello però era il mio giorno, ed era stato bello, così bello che sentivo la voglia di vivere addosso.
Volevo indossarla, quella voglia di vivere, come se fosse l’abito migliore nel mio armadio. Volevo zittire la mia volpe e rimettere insieme i miei pezzi. Volevo essere l’orgoglio della mia mamma, la felicità del mio papà, l’esempio di mio fratello.
Ormai non c’era più spazio per le ansie e le paure, non volevo che ce ne fosse, volevo una vita da ricordare, una vita priva di rimpianti.

Alya: Allora ci vediamo alle nove, Signor Antiquato. <3

Mason: Sul serio, smettila con queste faccine.

Sorrisi, poi corsi a prepararmi. Mi ci sarebbe voluto del tempo, avevo intenzione di tirare fuori la versione più bella di me.


Indossai un abito trovato nell’armadio della mamma, sotto consiglio di nonna Anna.
Era blu cobalto, con uno scollo a cuore sul davanti e con una morbida gonna a sbuffo. Lasciai i miei ricci liberi, erano ormai così lunghi da sfiorare la curva del mio sedere, erano luminosi e sbarazzini, mi facevano sentire bella.
Le bocche di tutti i presenti rimasero aperte per qualche minuto quando finalmente scesi al piano di sotto, mi abbracciarono tutti augurandomi ancora una volta buon compleanno, papà mi abbracciò un po' più forte degli altri.
<Sei splendida, scimmietta.>
<Grazie papà, grazie per tutto questo.>
Sorrisi lievemente, staccandomi da lui con gli occhi lucidi, vidi lo stesso luccichio nei suoi.
<Te lo meriti, meriti tutte le cose belle del mondo. Non te le perdere Aly, non perderne neanche una.>
<Sono felice che tu sia di nuovo a casa, papà.>
<Anch’io, tesoro.>
Prima di uscire mi fermai per un attimo sulla porta, li guardai mentre prendevano posto sul divano. Noah che si accovacciava in braccio a papà, la nonna che poggiava la testa sulla spalla del nonno, tutti con un sorriso sul volto. Un sorriso rilassato, sereno, pieno d’amore.
<Per la miseria!>
Mason si lasciò scappare un urlo quando mi vide, se ne stava appoggiato alla sua auto davanti casa mia con le braccia conserte, ed io mi domandai da quanto tempo stava aspettando che uscissi.
<Che c’è?>
<Sei bellissima Aly, sul serio.>
<Cerchi di sedurmi Mason?>
Si stampò sul viso un espressione di ironico disgusto e poi mi aprì la portiera.
<Dio, no.>
Mi avvicinai all’auto e feci per salire.
<So aprirla anche da sola la portiera di un’auto.>
<Senti, Miss faccine antiquate, volevo solo essere galante. È il tuo compleanno, tutte le ragazze sognano di sentirsi delle principesse per il proprio compleanno, questa è la tua carrozza.>
<Mason...>
<Si?>
<La tua auto è ammaccata e scolorita, non ha neppure l’aria condizionata, non è una carrozza.>
<Sali e basta, Alya.>
Sogghignai salendo in auto, mentre Mason ci girava intorno e saliva al mio fianco, poi mise in moto e partì.
Durante il viaggio non gli domandai quale fosse la destinazione, non mi concentrai neppure sulla strada. Mason lasciò a me il privilegio di scegliere la musica, ed io feci partire l’intera playlist di Shawn Mendes, amavo quel ragazzo.
Quando l’auto si fermò, passata l’euforia causata da Shawn, mi guardai intorno.
Il mio sorriso però svanì, il cuore iniziò a battermi forte e le gambe iniziarono a farsi pesanti.
<Mason...>
Dissi, senza distogliere lo sguardo da quella casa blu.
<Come hai fatto a sapere che oggi era il mio compleanno?>
<Non saprei, istinto?>
Mi voltai verso di lui e notai che non sorrideva, nonostante la battuta.
<Chi te lo ha detto?>
Mason sbuffò e mosse le mani sul volate, smettendo di guardami.
<Me lo ha detto Ellie.>
Il mio cuore iniziò a battere ancora più veloce.
<Andiamocene.>
<Aly...>
<Andiamocene.>
Mi appoggiai al sedile ed incrociai le braccia al petto. Volevo andare via. Perché lo aveva fatto? Perché mi aveva portata ad una festa alla casa al lago di Ellie? Sapeva cosa era successo, lui c’era, come ha potuto farmi questo?
<Lasciami spiegare almeno, se poi vorrai ancora andare via lo faremo, te lo prometto.>
Inspirai ed espirai, cercando di calmare il cuore ed il respiro.
<Spiega.>
Dissi, senza guardarlo, con ancora le braccia incrociate al petto. Lui si mosse sul sedile, alzando un ginocchio per voltarsi completamente verso di me.
<Ellie è passata al bar qualche giorno fa.>
La gola mi diventò improvvisamente secca, un nodo si formò nel mio stomaco.
<Mi ha detto che stava organizzando questa festa e mi ha invitato. Poi mi ha detto che sarebbe stato il tuo compleanno e che avrebbe capito se avessi preferito stare con te stasera.>
<Ti ha chiesto lei di invitare anche me?>
<No, ma io ho pensato che ti sarebbe servito.>
Mi voltai verso di lui.
<Chi ti ha dato il diritto di farlo?>
<Nessuno, Aly. Io voglio aiutarti, so che ti manca, so che hai bisogno di lei.>
<Non ho bisogno di nessuno.>
Mi voltai di nuovo e strinsi più forte le braccia al petto.
<Si, invece. Hai bisogno di aiuto, hai bisogno di lei.>
Ripensai alla lettera della mamma ed il mio cuore iniziò a trovare pace.
Sei forte, ma a volte la vita è crudele, non lasciarti schiacciare dai pesi del mondo, non reggerli da sola. Lasciati aiutare, sempre.
Aveva ragione, dovevo lasciarmi aiutare, oppure il mondo avrebbe finito per schiacciarmi.
<Parlale Aly, solo questo, provaci almeno. Ti riporterò a casa non appena me lo chiederai, ma datti una possibilità.>
Non risposi, presi un lungo respiro ed aprii la portiera.
<Comunque vada, Mason>
Dissi, mettendo un piede fuori dall’auto.
<Me la pagherai per questa bastardata.>
<Non vedo l’ora.>

Come amano le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora