Durante il tragitto verso casa mia, sulla moto di Dylan, sentii la necessità di stringermi forte a lui.
Quando arrivammo, mi accompagnò dentro, fino in camera, ed io gli chiesi di restare, di non lasciarmi.
<L’avrei fatto anche se tu non me l’avessi chiesto.> Aveva risposto, poi ci eravamo stesi sul mio letto, l’una affianco all’altro, a fissare il soffitto.
Cercai di calmare la mia anima, il mio cuore, supplicai alle mie gambe di smettere di tremare, ma non ci riuscii. Cercai di convincere me stessa che quello che era successo con Alex non mi aveva toccata, ma non era così. L’aveva fatto.
Aveva provocato uragani dentro di me, raffiche di vento e tuoni e lampi.
Aveva scosso ogni parte di me, allarmato ogni istinto, consumato l’aria e cancellato il colore.
Quando chiudevo gli occhi, mi sembrava di annegare in un mare agitato, di soffocare in mezzo ad una tempesta di sabbia.
Come avevo potuto amare quel ragazzo? Come avevo fatto a vedere del buono in lui?
In lui di buono non c’era niente, era una bestia, un mostro, un essere spaventoso assetato di dolore. Era questo che voleva da me, vedermi soffrire?
Godeva nel vedermi spaventata, in preda al panico, senza ossigeno?
Cercai dentro di me le risposte, cercai di capire, di capirlo, ma non riuscivo a capire.
Non capivo come può una persona che dice di amarti, toglierti la luce dagli occhi, rallentare il tuo battito quasi fino a fermarlo del tutto.
Questo non era amore, non era neppure odio, era un sentimento senza nome, senza corpo né anima. Era come uno spettro che ti da la caccia con il solo intento di prosciugarti, di toglierti tutto ciò che hai e tutto ciò che sei.
<Ehi...>
La voce calma di Dylan mi risvegliò da quello stato di trance in cui ero caduta, persa tra le mie paure.
<Stai bene?>
<Si.>
Risposi immediatamente, come d’istinto, senza neppure fermarmi a pensarci.
<Ti tremano le mani, Aly...>
Abbassai lo sguardo sulle mani che tenevo poggiate in grembo, rendendomi conto solo a quel punto, vedendolo, che tremavano davvero. Non me ne ero resa conto, così persa tra quei pensieri cupi, non avevo neanche sentito tremare le mie stesse mani.
<Vado a fuoco.>
Dissi, ormai esausta, tornando ad alzare lo sguardo verso il soffitto.
<Io...mi fa schifo.>
Presi un lungo respiro, godendomi l’aria che qualche ora prima mi era così tanto mancata.
<Mi fa schifo lui, mi fa schifo quello che ha fatto. Mi fa schifo anche me stessa, perché l’ho amato, ho amato una persona come lui.>
Chiusi le mani a pugno, lasciando che la mia angoscia si trasformasse in rabbia.
<Mi sono fidata, un’altra volta. Anche se per poco, ho creduto davvero che era cambiato, pentito, e mi sono fidata. Non avrei mai dovuto lasciare che accadesse, avrei dovuto evitarlo, non sarei mai dovuta rimanere lì da sola con lui, avrei dovuto...>
<Ehi...>
Mi zittì, facendo scivolare con delicatezza una mano sotto il mio mento e facendomi voltare verso di lui.
<Non è colpa tua.>
I suoi occhi verdi brillavano di tristezza e di rabbia, ed io mi sentii al sicuro, protetta da quello sguardo.
<Ti prego, non darti la colpa, non farlo Aly.>
<Lo so, però io...>
Avvicinò il suo viso al mio, così vicino che i nostri nasi quasi si toccavano, poi parlò quasi sussurrando.
<Fidati di me stellina, non è colpa tua. Non credere che sia così solo perché lo hai amato, amare non è mai una colpa, mai. Hai dato il tuo amore alla persona sbagliata, ma non è colpa tua se non era quella giusta.>
Seguì un silenzio per nulla imbarazzante, anzi accogliente, quieto, giusto.
I nostri sguardi si incastrarono alla perfezione, mentre il colore dei nostri occhi si mischiava diventando uno solo, ed io mi godetti quell’attimo che sapeva di infinito.
<Grazie.>
Sussurrai, rilassando le mani in grembo.
<Grazie per avermi aiutata.>
Sorrise appena, poi alzò una mano e mi scostò una ciocca di capelli dal viso, lentamente, accarezzando il mio viso con le dita.
<Avrei dovuto dargli molto più di un pugno, cazzo.>
Il suo sguardo si indurì, la sua bocca si trasformò in una linea sottile, ed io avrei tanto voluto baciarlo per calmare quei nervi.
<Non importa, va bene così.>
<Si che importa, a me importa.>
Lasciò il palmo della sua mano poggiato sulla mia guancia, muovendo piano il pollice, disegnando piccoli cerchi.
<Non sai quanto mi ha fatto male Aly, vederti così.>
<Lo so.>
<Vorrei ucciderli, tutti quelli che ti fanno del male, vorrei ucciderli tutti.>
Mi scappò un risolino, ammaliata dalla sua aura vendicativa, dal suo atteggiamento da guardia del corpo.
<Cosa c’è da ridere?>
Cercò di nascondere un piccolo sorriso, ma io lo notai comunque.
<Credi che non ne sarei capace?>
Risi ancora piano, lasciando ai miei occhi la libertà di vagare sul suo viso.
<Credo che non mi piaceresti più, a quel punto.>
Si lasciò andare anche lui ad un piccolo sorriso.
<Non li trovi sexy i serial killer? O gli angeli vendicatori magari, sono sicuramente bello come un angelo.>
<La tua modestia mi spiazza ogni volta.>
<Vorresti dire che non sono bello?>
<Mmh, non saprei.>
Avvicinai la mano al suo mento e lo spinsi a mettersi di profilo.
<Fatti dare un’occhiata.>
Continuai a girarlo e rigirarlo, osservandolo, come fanno gli intenditori prima di giudicare un’opera d’arte.
<Non so...>
Dissi poi lasciandogli il viso, sistemandomi con il gomito sul materasso e la testa poggiata alla mano.
<Non mi dice niente.>
Conclusi, sorridendo.
<Ah, no?>
<No.>
Scattò veloce, allungò le mani sui miei fianchi ed iniziò a farmi il solletico.
Mi dimenai, ridendo in maniera esagerata, implorandolo di smettere. Il solletico era una cosa che amavo e odiavo al contempo.
<Ripeti dopo di me.>
Disse, mentre le mie risate sovrastavano la sua voce.
<Dylan è un dio greco.>
<Mai.>
Risi e mi dimenai, finché improvvisamente non mi ritrovai sotto di lui, si fermò e mi osservò dall’alto.
<Che c’è?>
Chiesi, abbassando la voce di qualche tono, pregando che papà non mi avesse sentita.
<Mi piace quando ridi.>
Si spostò da sopra di me e tornò a stendersi al mio fianco, entrambi con lo sguardo rivolto al soffitto.
<Anche a me.>
Ed era vero, mi piaceva il suono della mia risata, soprattutto perché non la udivo da tempo, non così almeno.
Il silenzio calò su di noi, e questa volta fu pesante. Sentivo il rumore dei suoi pensieri, sentivo come lo stavano torturando, li sentivo urlare e sgomitare.
<Devi andartene, vero?>
Decisi di dare voce ai miei, di liberarmi e di mettere un punto, quella notte sarebbe stata la fine di tante cose e l’inizio di molte altre.
<Posso restare fino a domani mattina, non preoccuparti.>
<Non intendevo stanotte.>
Sospirai, sentendo il cuore stranamente leggero, pronto.
<Intendevo da me.>
Lo sentii voltarsi nella mia direzione, così lo imitai e ci ritrovammo di nuovo uno di fronte all’altra.
<Si.>
Rispose piano, spegnendo appena il luccichio che avevo visto prima nei suoi occhi.
<Devo andare.>
Gli sorrisi e lessi la sorpresa per quella reazione nel suo sguardo.
<Ti ricordi la prima notte che abbiamo dormito insieme? In quella casa, per il compleanno di Ellie.>
Tornai a voltarmi verso il soffitto, ma lo sentii sorridere vicino al mio orecchio.
<Non potrei mai dimenticarlo.>
<Ti ricordi cosa mi hai detto quella notte?>
<Ho detto molte cose, stellina.>
<Hai detto che la notte si dicono cose che di giorno non diremmo mai, come se la luna...>
<Ci spingesse ad essere sinceri, si, lo ricordo.>
<Posso farti una richiesta che non ti farei se ci fosse il sole?>
Tornai a voltarmi verso di lui, accorgendomi che non aveva mai smesso di guardarmi con un piccolo sorriso.
<Quella notte ho anche detto che quello che diciamo di notte non vale di giorno, questo lo ricordi?>
<Credo che dovremmo fare un’eccezione per questa volta.>
<Qual è la sua richiesta, signorina?>
<Un ultimo giorno.>
Dissi, con un filo di voce, cercando di non piangere mentre la parola “ultimo” cadeva come un macigno sul mio cuore.
<Regalami un ultimo giorno.>
Sorrise, voltandosi di nuovo verso il soffitto, allungò la mano verso la mia che stava abbandonata sul materasso ed incrociò le sue dita alle mie.
<Un ultimo giorno.>
Sussurrò, con la voce spezzata.

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Come amano le stelle
RomansLa vita ha preso a calci Alya troppe volte, per troppo tempo. Le ha portato via la mamma troppo presto, lasciandola da sola a fare i conti con la malattia mentale del padre. Le cicatrici sul suo cuore sono troppo vecchie, troppo profonde, e Alya è...