Tornare al lavoro risultò più dura di quanto avessi immaginato, soprattutto a causa degli avvenimenti della notte precedente.
Quella notte era trascorsa tra mille domande, mentre camminavo avanti e indietro nella mia camera, alla fine avevo accumulato un paio d’ore di sonno prima del suono della sveglia.
Avevo cercato un senso al comportamento di Dylan, alle sue parole, eppure non l’avevo trovato. Il mio cuore si era frantumato nel sentirlo parlare del suo passato, di sua madre, ma ancor di più quando se n’era andato rifiutando un’altra volta il mio aiuto.
Lui vive in una bolla, in un mondo tutto suo al quale nessuno può accedere, neppure io.
Per lui chiedere aiuto non è un’opzione, non lo è mai stata, a volte però è l’unica che abbiamo.
Tenersi dentro cose come il dolore, la sofferenza e la paura, ti consuma, ti deteriora.
Ti trasforma in un involucro di carne e di ossa privo di anima, completamente vuoto al suo interno.
Io lo sapevo bene, l’apatia ha vissuto dentro di me a lungo, così tanto da farmi dimenticare il sapore delle mie emozioni. Tenersi tutto dentro non porta a nulla, rifiutare le emozioni neppure.
Se soffri vuol dire che sei ancora vivo, se sei felice vuol dire che stai vivendo.
Ogni emozione è giusta, è necessaria, senza di esse saremmo come una scatola vuota.
Eppure lui...a lui piace la sua scatola.
Le sue emozioni non gli piacciono, le sue lacrime non gli piacciono.
Invece per me…
Quelle sono le cose che più amo di lui.
Pensare a questo era inutile però, stavolta dovevo prendere una posizione.
Avrei fatto qualsiasi cosa pur di aiutarlo, pur di eliminare ogni briciola del suo dolore, spazzarlo via dal suo cuore, ma non potevo.
Non se lui non me lo permetteva.
Perciò stavolta avrei aspettato….e basta.
Aspettare.
A volte è necessario, a volte dimostra tanto amore.
Aspetti qualcuno solo quando lo ami, perciò io avrei aspettato.
Aspettato che facesse pace con i suoi demoni, aspettato che tornasse in sé, aspettato che vincesse la sua battaglia.
Aspettato che tornasse da me.
Non l’avrei cercato, non sarei corsa da lui, non gli avrei messo fretta.
Amare significa anche questo, aspettare, ed io lo amavo.
Però amare significa anche lasciare andare qualcuno che non vuole più stare con te, e per quello….
Non ero ancora pronta per quello.
<Tutto okay?>
La voce calma di Mason mi strappò dai miei pensieri intrusivi.
<Cosa?>
<Ho chiesto se stai bene.>
<Oh si, benissimo.>
<Allora perché stai lavando quelle tazzine come se ti avessero fatto qualcosa di male?>
Bloccai le mani insaponate che reggevano la tazzina, non mi ero accorta di quanto fossi assorta nei miei pensieri, tanto da lavare decine di tazzine senza neppure rendermene conto. Se le mie mani insaponate non provassero che le avessi lavate io probabilmente non ci crederei.
<Ho detto che sto bene.>
Lo guardai come se fosse colpa sua, come se mi avesse spinta lui verso quei pensieri quasi ossessivi.
<Calmati tigre, io e le tazzine non abbiamo nessuna colpa.>
Mason aveva la capacità di strapparmi un sorriso in un attimo, anche quando tutto andava male, anche quando avevo voglia di prendere a calci il mondo. La sua ironia aveva qualcosa di magnetico, qualcosa che ti trascinava con sé e ti faceva dimenticare perché fossi arrabbiata un attimo prima.
È per questo che risi quasi di gusto dopo quella sua battuta, e quasi mi dimenticai di tutti quei pensieri.
Continuai ad osservare la porta però, lavando quelle tazzine.
Speravo si aprisse, speravo che lui entrasse, che venisse a dirmi che non dovevo avere paura, che lui ci sarebbe sempre stato.
Al mio fianco, sempre.
Ma non fu così.
Con mia grande sorpresa e quasi con terrore, l’unica persona che aprì quella porta fu Ellie. Non appena vidi il suo sguardo, mentre si avvicinava a me con grandi falcate, capii che erano in arrivo grossi guai.
Ultimamente qualcosa si era rotto fra noi, ed era colpa mia.
Le bugie non portano niente di buono, ed io gliene avevo dette in abbondanza negli ultimi tempi.
Prima o poi è necessario saldare quel conto, il conto con l’universo.
Prima o poi qualcosa si rompe, è il prezzo delle bugie, un prezzo che devi pagare che tu lo voglia o no.
<Ciao.>
Dissi, con la voce quasi tremante.
<Perché non mi hai più richiamata?>
Il suo sguardo era di fuoco, se fossimo state dentro ad una qualche saga fantasy probabilmente si sarebbe trasformata in un drago e avrebbe incenerito ogni angolo del bar, me compresa.
<Ellie io...>
<Non prenderti la briga di rispondere.>
Mi zittì con un gesto della mano, io ebbi il buon senso di tacere.
Conoscevo Ellie da troppo tempo per non sapere come gestire la sua rabbia, quella era la parte in cui mi sputava addosso tutto il suo veleno, ed io dovevo selezionare attentamente le mie parole perché a quel punto c’erano due possibilità:
O mi perdonava e dimenticava ogni cosa o non mi perdonava fino al resto dei suoi giorni.
È sempre stata una persona molto rancorosa, io lo sapevo bene, perciò mi preparai già ad affrontare la seconda opzione.
<Non ho voglia di sentire un’altra delle tue bugie, perché è questo che fai da tutto questo tempo, non è così? Menti come se fosse normale, come se io non fossi la tua migliore amica dalla quarta elementare.>
Nonostante fosse evidente il suo alto livello di rabbia, non si scompose neanche un po'. La sua voce rimase ad un tono moderato, non si formò nessuna ruga sulla sua fronte ed i suoi occhi non accennarono a lasciare andare i miei.
<Ellie ci sono cose che tu...>
<Cosa?>
Mi interruppe e stavolta il suo tono si fece più alto.
<Ci sono cose che io cosa, Aly? Non posso capire?>
Iniziò a camminare avanti e indietro per tutta la lunghezza del bancone del bar.
<Certo, non posso, perché tu sei l’unica a conoscere certe sofferenze. È questo che credi?>
<No, Ellie.>
Cercai di parlare in tono calmo, per farle capire che non avevo nessuna intenzione di litigare con lei.
<Allora perché non posso capire Aly, illuminami.>
Rimasi zitta mentre lei camminava ancora avanti e indietro senza degnarmi di uno sguardo, mi girai verso Mason in cerca di un qualche aiuto ma anche lui evitava di guardarmi, fingendo di pulire dei cucchiai che erano ormai così lucidi da potersi specchiare.
<Dimmi la verità adesso Aly...>
Ellie si avvicinò e poggiò i gomiti sul bancone.
<Dimmi, perché durante la festa alla casa al lago sei scappata via all’improvviso?>
I suoi occhi osservavano ogni centimetro del mio viso, mentre su di me piombava il peso di tutte quelle bugie.
<Dimmi, perché hai pensato che non dovessi sapere che tuo padre stava tornando in quel posto?>
Unì le mani sotto al mento ed il suo sguardo si fece più incandescente.
<Dimmi perché cazzo mi ha chiamata tua nonna alle due del mattino chiedendomi dove fossi.>
Se non conoscessi Ellie abbastanza, avrei giurato di aver visto delle lacrime bagnare i suoi occhi grandi, ma piangere non era da lei.
<Ma soprattutto Aly, dimmi perché non avevo la minima idea di dove fossi, dimmi perché non so più che cosa succede nella tua vita, dimmi perché mi hai tagliata fuori.>
Quasi mi sentii costretta ad arretrare dopo quelle parole.
Tagliata fuori.
È esattamente ciò che avevo fatto, l’avevo tagliata fuori dalla mia vita.
C’erano troppe cose non dette, troppe bugie, avevo commesso troppi errori. Avevo lasciato quel problema alla me del futuro, ma adesso c’era solo una me del presente.
Il momento di affrontare tutta quella situazione che avevo creato era arrivato ed io non sapevo come uscirne.
Avrei potuto dire la verità, ma dopo la notte precedente quell’opzione mi sembrava ancora più sbagliata di quanto non lo sembrasse prima.
Non potevo dirle di Dylan, non potevo rischiare che fosse testimone della rottura definitiva del mio cuore, semmai fosse successo. Dovevo aspettare, dovevo prima essere sicura, dovevo limitare i danni.
<Non posso.>
Parlai con un filo di voce, la gola secca per via del nodo che nel frattempo si era formato.
<Non posso darti le risposte che cerchi Ellie, non ancora almeno.>
Sapevo cosa sarebbe successo dopo quelle mie parole, lo sapevo bene, ma ero pronta ad accoglierlo, era necessario.
<Bene.>
Parlò dopo secondi che mi parsero infiniti, il suo sguardo ormai spento, deluso.
<Allora sai cosa? Sono ben felice di uscire definitivamente dalla tua vita, la mia presenza non ti disturberà più.>
Si girò e si diresse verso la porta, mentre io mi sforzavo per mantenere calmo il mio respiro.
<Ricorda che c’ero io durante le tue notti più buie Aly, ricorda che ero io a tenerti la mano.>
<Lo so bene.>
Risposi quasi tra i singhiozzi, era ormai troppo difficile trattenere le lacrime di fronte a quella scena.
<Eppure non te ne importa niente.>
Non risposi mentre lei arrivava alla porta e l’apriva, poi si girò a guardarmi.
<Ma che ti è successo?>
Disse, poi uscì e sparì dalla mia visuale.
Avrei voluto accasciarmi a terra e piangere per ore o forse giorni, ma non lo feci.
Ellie era la mia migliore amica da che ne avessi memoria, era al mio fianco durante tutti i dolori della mia vita, dai più grandi ai più piccoli.
Aveva disinfettato e messo un cerotto su tutte le mie ferite, dalle ginocchia sbucciate alle crepe sul cuore, gioito con me per ogni vittoria e pianto con me per ogni sconfitta.
Lei era il mio punto fermo, la mia persona preferita, il mio arcobaleno dopo la pioggia.
Avevo rovinato tutto, e lo sapevo bene, ma era necessario.
Qualcosa dentro di me e nella mia vita stava cambiando, e una vocina nella testa mi diceva che non sarebbe finita bene.
Non volevo trascinarla a fondo con me, non di nuovo.
Aveva già sacrificato tanto della sua vita per me, adesso era arrivato il momento di pensare a sé stessa.
Glielo dovevo, le dovevo la felicità.
Eppure, per quanto quelle ragioni sembrassero valide, il mio cuore si era spezzato vedendola uscire da quella porta.
Avevo una sorella, e l’avevo persa.
Fa un male del cazzo.

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Come amano le stelle
RomanceLa vita ha preso a calci Alya troppe volte, per troppo tempo. Le ha portato via la mamma troppo presto, lasciandola da sola a fare i conti con la malattia mentale del padre. Le cicatrici sul suo cuore sono troppo vecchie, troppo profonde, e Alya è...