Sotto le stelle

1.2K 54 5
                                    

Mi svegliai stropicciandomi gli occhi, mentre nella mia mente passavano veloci le immagini della notte precedente. Mi girai verso l’altra parte del letto, per vedere se Dylan fosse già sveglio, speravo di no, volevo ammirare il suo viso mentre dormiva dolcemente. Quando mi girai però lui non c’era, non era al mio fianco. Nella mia mente si fece largo il pensiero che se ne fosse andato senza dirmi nulla, perché per lui tutto quello che era successo non aveva alcun peso, era niente. Pensai che forse quel monologo l’avevo sognato, e che lui non aveva mai detto quelle cose, le avevo solo immaginate nella mia testa. Mi misi a sedere, cercando di elaborare la cosa. Mi girai un’altra volta a guardare il suo posto vuoto accanto a me, quando notai un pezzo di carta ripiegato con il mio nome  sopra sul suo cuscino. Lo presi, provando ad immaginare cosa poteva esserci scritto, delle scuse forse? Delle spiegazioni? Un biglietto d’addio? Lo aprii lentamente, quasi con la paura di leggere il suo contenuto, ma quando iniziai a leggere un sorriso si allargò sul mio volto.

Mi devi un appuntamento stellina.
Venerdì, alle nove, passo a prenderti io.
        
              Ps: sei bellissima quando dormi!

Non diceva perché fosse andato via, ma quelle parole bastavano per mettere a tacere tutti i miei dubbi. Rimasi lì per un po', seduta sul letto con quel pezzo di carta tra le mani, a leggere quelle parole, finché non bussarono alla porta.
<Sto entrando, spero siate vestiti.>
Era Ellie.
Mi affrettai a nascondere il biglietto sotto al cuscino e mi sforzai per assumere le sembianze di qualcuno appena sveglio. Ellie entrò mentre fingevo di sgranchirmi, sbadigliando.
<Lui dov’è?>
Mi domandò sulla soglia, notando che Dylan non era lì.
<Non ne ho idea, mi sono appena svegliata.>
<È successo qualcosa?>
<No Ellie, niente. Così come ieri, smettila di sperarci.>
<Peccato. Prepara le tue cose, partiamo tra venti minuti.>
Ellie uscì dalla porta ed io sorrisi. Per quanto mi dispiaceva mentirle, era estremamente eccitante tenere tutto nascosto.
Quando arrivai a casa quella mattina ero raggiante, un po' per quanto era successo in quei giorni con Dylan, e un po' perché non vedevo l’ora di riabbracciare Noah e papà.
<Alya, Alya, sei tornata!>
Noah mi corse incontro non appena entrai dalla porta, abbracciandomi forte.
<Ho finito il mio progetto per la scuola, quello di cui abbiamo parlato l’altro giorno. Devo consegnarlo domani, ma prima devo assolutamente fartelo vedere.>
Mi prese la mano e mi trascinò verso la sua stanza, senza neanche permettermi di salutare papà.
<Chiudi gli occhi.>
Feci come disse,e lo senti frugare tra le sue cose.
<Okay, apri.>
Quando aprii gli occhi lo vidi davanti a me, con un grosso cartellone colorato tra le mani. Impiegai qualche secondo per capire cosa raffigurava il disegno, ma quando lo capii sentii il cuore scoppiarmi nel petto.
Eravamo noi, io e lui, in cucina a preparare biscotti.
Ricordavo di aver detto a Noah che poteva raffigurare un momento speciale passato con qualcuno di noi, ma non avrei mai pensato che quel qualcuno sarei stata io. Ho sempre pensato che si divertisse di più con nonno Lucas o con papà.
<Siamo noi.>
Dissi, rivolgendogli un grosso sorriso.
<Si, mentre facciamo i biscotti, mi diverto sempre a farli. Soprattutto quando mi fai leccare il cucchiaio.>
Scoppiai a ridere, accarezzandogli i capelli.
<Non eri obbligato a dedicare a me il tuo disegno solo perché ti ho suggerito l’idea.>
<Non l’ho fatto per questo.>
<E allora perché? Ti diverti davvero così tanto a fare i biscotti? Fai cose più divertenti con nonno Lucas.>
Abbassò gli occhi, ripiegando delicatamente il cartellone.
<È vero. Ma tu sei la cosa più simile a una mamma che ho.>
Mi commossi, senza sapere cosa rispondere. Mi limitai ad inginocchiarmi, per raggiungere la sua altezza, e l’abbracciai forte. Mi aveva riempito il cuore di gioia e tristezza contemporaneamente. Mi dispiaceva che Noah non avesse una madre a quest’età, come invece l’avevo avuta io, mi impegnavo ogni giorno affinché sentisse questa mancanza solo in minima parte, e con quel gesto mi aveva dimostrato che ci stavo riuscendo.
Quel giorno passò in fretta, passammo tutta la giornata solo noi tre, a guardare film sul divano e a cucinare biscotti.
Nella mia mente si muoveva tutto velocemente, perché riuscivo solo a pensare al giorno in cui avrei rivisto Dylan. All’improvviso era come se la mia vita fosse un film, e qualcuno lo stava mandando avanti veloce.
Mi ritrovai a venerdì, senza neanche accorgermene, in fibrillazione, aspettando le nove.
Dylan non si era fatto vivo per tutta la settimana al bar, da un lato mi dispiaceva, dall’altro l’attesa aumentava il mio desiderio.
Quella mattina, quando arrivai al bar, Bill era insieme ad un ragazzo.
<Ehi Alya, ti presento Mason. Dato che gli affari vanno molto bene ultimamente ho pensato potesse essere utile un aiuto, perciò lavorerete insieme.>
Era poco più basso di Dylan, carnagione mulatta e capelli neri rasati. Notai dei muscoli sotto la sua maglietta, braccia possenti e pettorali ingombranti. In altre circostanze forse l’avrei giudicato sexy, ma purtroppo o per fortuna il mio cuore era altrove, perciò non mi soffermai sul suo aspetto.
Dopo averci presentati Bill uscì di fretta, incaricandomi di istruirlo. La mattina passò velocemente, mentre gli davo lezioni su come fare un buon caffè o un buon cappuccino con la schiuma. Chiacchierammo molto, e scoprii che non era solo un bel ragazzo tutto muscoli. Studiava anche lui alla NAU, era un ragazzo intelligente, amante della cultura e della storia. Sapevo già che saremmo diventati buoni amici.
Anche il resto della giornata passò in fretta, e d’improvviso mi ritrovai davanti allo specchio, a guardarmi un’ultima volta prima di uscire con Dylan.
Il mio viso aveva tutto un altro aspetto negli ultimi giorni, era luminoso, sempre con il sorriso, un vero sorriso, non uno di circostanza.
Indossavo un vestitino bianco di pizzo, stretto sopra ma che poi ricadeva morbido fin sopra le ginocchia, aveva il colletto e lasciava le mie spalle totalmente scoperte. L’avevo scelto perché adoravo l’idea di Dylan che mi baciava sulle spalle, proprio sulla clavicola, era il mio punto preferito. Volevo assicurarmi che fossero scoperte, nel caso in cui gli fosse venuta voglia di baciarmi proprio lì.
Lasciai i capelli sciolti ricadere sulle spalle, non misi molto trucco, neppure un po' di rossetto, ma mi sentivo bellissima.
Mentre mi studiavo allo specchio il mio telefono vibrò e nel mio stomaco tornò quella sensazione che stava ormai diventando familiare.
Farfalle.
Era Dylan che mi avvisava di essere arrivato, presi in fretta le mie cose e corsi a salutare papà. Gli avevo detto che sarei uscita con Ellie, ci aveva creduto ovviamente, ma dovevo sbrigarmi ad andare via per assicurarmi che non vedesse Dylan.
Quando uscii di casa notai subito che non era con la sua moto. Era alla guida di un pick up rosso fiammante, di quelli aperti dietro. Mi sembrò così strano vederlo alla guida di qualcosa di diverso dalla sua moto, all’improvviso non mi sembrò più un ragazzo, ma un uomo.
<Ciao!>
Dissi sorridendo non appena salita in auto. Lui però non parlò, si avvicinò a me e mi prese il viso tra le mani, guardandomi per un attimo. Poi mi baciò, con un bacio colmo di desiderio, come se avesse vissuto in apnea tutti quei giorni, e ora aveva ripreso a respirare.
<Mi sei mancata, stellina.>
Disse, dopo essersi staccato da quel bacio, ancora con il mio viso tra le mani.
<Sono passati solo pochi giorni.>
Scherzai.
<Mi mancheresti anche dopo qualche secondo.>
Sorrisi, arrossendo. Poi lui lasciò il mio viso e mise in moto.
<Dove andiamo?>
Domandai.
<Sorpresa.>
Ovviamente, con lui era sempre tutto un segreto.
Viaggiammo per circa trenta minuti, durante i quali provai a farmi rivelare la nostra destinazione, con pessimi risultati. Avevo già capito che era un gran testardo, e che se decideva di tenerti nascosto qualcosa non te l’avrebbe rivelata neanche sotto tortura.
Quando finalmente il pick up si fermò mi guardai intorno, ma non si vedeva nulla, era solo una grande vastità di buio pesto. Dylan mi fece scendere dal posto del passeggero, aprì il retro del pick up e ci salimmo entrambi sopra. Continuavo a guardarmi intorno ma continuavo a vedere solo buio. Perché mi aveva portato in quel posto isolato e buio? Per un attimo pensai al peggio.
<Non c’è mai una volta che guardi nella direzione giusta.>
Disse, mentre si sdraiava sul retro del pick up.
<Vieni qui.>
Mi fece segno di distendermi al suo fianco, perciò senza fare domande feci come disse. Una volta sdraiata, mi ritrovai con il naso all’insù. Davanti ai miei occhi c’era un oceano di stelle. Si vedevano benissimo, splendenti e delicate, mi sembrava di sognare.
<È meraviglioso.>
Disse, senza distogliere lo sguardo.
<La vedi quella stella lì?>
Mi girai per un secondo, per seguire la direzione che stava indicando il suo dito. Indicava una stella, una più luminosa delle altre, quasi come se dominasse il cielo.
<È la più luminosa.>
<È Alya.>
Disse, ed il mio nome suonò così bene sulle sue labbra.
<Che intendi?>
Mi girai a guardarlo, senza capire cosa volesse dire. Era forse un modo carino per dirmi una di quelle solite frasi fatte tipo “sei la stella più luminosa del cielo”?
Lui scoppiò a ridere, voltandosi verso di me, ed io iniziai a sentirmi presa in giro.
<Porti il nome di una stella, non lo sapevi?>
Cosa?
<Davvero? No, io non ne avevo idea.>
Rise di nuovo.
<Aspetta...allora è per questo che mi chiami stellina?>
<Perspicace.>
Rispose, sorridendo ancora. Mi fu tutto più chiaro.
Sorrisi anch’io e mi rimisi distesa, con il naso all’insù.
<Come facevi a sapere che c’è una stella con il mio nome?>
<Perché le studio.>
Scattai di colpo e mi misi seduta, guardandolo di nuovo.
<Tu studi le stelle?>
<Si, studio Astronomia all’università.>
Allargai un ampio sorriso, sorpresa. Scoprire quella parte di lui mi riempii di felicità perché io adoravo le stelle, e adesso sapevo che era così anche per lui.
<E così ti piacciono le stelle?>
Lo stuzzicai. Lui si alzò e imitò la mia posizione, così ci ritrovammo faccia a faccia.
<Io amo le stelle.>
Disse, poi mi baciò un’altra volta delicatamente sulle labbra.
Ci sdraiammo di nuovo, io con la testa sul suo petto, lui con la mano tra i miei capelli, ad ammirare quella meravigliosa distesa di luci.
<Dimmi qualcosa di te.>
Chiese dopo qualche minuto di silenzio.
<Tipo cosa? I miei scheletri nell’armadio te li ho già raccontati.>
<Ma io voglio sapere di più su di te, anche cose banali tipo...qual era la tua principessa preferita da bambina? Scommetto Cenerentola.>
Scoppiai a ridere.
<Cosa? Cenerentola è una storia così stupida, come se per essere felici basta trovare il principe azzurro.>
<Allora chi?>
Mi presi del tempo prima di rispondere, conoscevo bene la risposta, ma mi domandavo se lui l’avrebbe capita.
<Mulan.>
Dissi piano.
<Però anche lei trova il principe azzurro alla fine.>
Rispose serio.
<È vero, ma quella è solo una conseguenza. È una ragazza forte, si finge un uomo e va in guerra al posto del padre, perché sapeva che se ci fosse andato lui non sarebbe tornato. Salva lui ed anche il regno. È la rappresentazione della forza delle donne, secondo me. Lei non si lascia salvare dal principe azzurro, al contrario dimostra che sappiamo salvarci anche da sole. Fa tutto questo per il suo papà, ed è ciò che farei anch’io. Non ha mai aspettato di essere salvata, non ha mai aspettato un uomo, lei si salva da sola.>
Restò in silenzio, accarezzandomi i capelli, mentre io ascolto il battito del suo cuore.
<Quindi tu non vuoi essere salvata?>
Rimasi anch’io zitta per un attimo, cercando di elaborare una risposta, ma la domanda mi sembrò così difficile.
<A volte penso che non esiste un modo per salvarmi.>
Dissi piano, quasi in un sussurro.
<Ma se esistesse, si, io vorrei essere salvata.> Aggiunsi.
Si spostò piano, lasciando scivolare la mia testa delicatamente dal suo petto al suo braccio, così che lui potesse mettersi girato verso di me a guardarmi negli occhi.
<Io verrei a salvarti anche se tu fossi giù all’inferno. Attraverserei anche un uragano. Mi getterei dentro ad un incendio. Io farei di tutto per salvarti Alya, devi solo lasciarmelo fare.>
Quelle parole fecero rumore dentro di me, così tanto da farmi tremare il cuore.
<È la prima volta che mi chiami con il mio nome.>
Dissi sorridendo, ancora sopraffatta dalle sue parole.
<Non ti va bene che usi il tuo nome?>
Gli presi il viso tra le mani e mi avvicinai a lui, così tanto che i nostri nasi quasi si toccano.
<Il contrario, vorrei sentirlo sulle tue labbra per sempre.>
Lo baciai, con un bacio che racchiudeva un oceano di emozioni. Un bacio che significava grazie. Un bacio che significava salvami. Un bacio che significava ti amo.
Restammo lì a lungo, uno tra le braccia dell’altra, con i cuori incastrati e le mani intrecciate, a guardare le stelle e a parlare.
<Scegli tu dove andare al prossimo appuntamento.>
Disse ad un certo punto.
<Stai già pensando al prossimo?>
<Certo stellina, che ti piacerebbe fare?>
<Non lo so, scegli tu, per me va bene tutto.>
Fece una pausa, come se stesse pensando.
<Cosa ti piace fare di solito?>
Accennai un sorriso imbarazzato.
<Leggere.>
Risposi.
<Non puoi sempre startene con il naso dietro ad un libro stellina, devi vivere. Cos’altro ti piace fare?>
<Ma io vivo, attraverso i libri. Vivo vite diverse, sono una persona diversa ad ogni libro. Non immagini neanche la quantità di vite che vive un lettore. E, in ogni caso, mi piace molto di più fare questo che uscire, in questo modo evito gli attacchi di panico.>
<Ti succede ancora?>
<A volte, ma riesco a gestirlo. I libri sono stati una salvezza per me.>
Rimase in silenzio per un attimo, come se volesse chiedermi qualcosa ma stava valutando se farlo o no.
<Raccontami com’è.>
<Com’è cosa? Leggere?>
<No, avere un attacco di panico.>
Mi rimisi seduta per guardarlo negli occhi, spiazzata da quella domanda.
<Perché vuoi saperlo?>
<Perché voglio sapere cosa si prova. Cosa provi tu. Voglio entrare nel tuo mondo e comprenderlo.>
Tirai un lungo respiro prima di parlare, raccontare un attacco di panico è un po' come viverlo, ma apprezzavo che volesse comprendere. Molte persone si limitavano solo a giudicare, senza sapere effettivamente cosa si prova.
<Non sono uguali per tutti, suppongo, si presentano i tante forme. Per me è come stare dentro una lavatrice, come se fossi sballottata di qua e di là. Non riesco a concentrarmi su una cosa precisa, sto a girarmi e rigirarmi le mani, mi guardo intorno nervosamente.>
Si mise seduto anche lui e mi prese la mano, quel gesto mi diede la forza per continuare.
<A volte ho l’impressione di avere un grosso sasso al posto del cuore, mi sento un peso nel petto e mi sembra di non respirare. Respiro velocemente e affannosamente, in pratica in realtà non respiro. Il cuore mi batte forte e ho la sensazione che mi giri la testa, alla fine non riesco più a capire se è reale o se è solo una mia impressione. Quando finalmente trovo qualcosa a cui aggrapparmi scompare tutto in un attimo, come se non ci fosse mai stato.>
<E a cosa ti aggrappi di solito?>
<Prima a mia madre. Se c’era lei sapevo di essere al sicuro, dove c’era lei c’era casa, era più facile.>
<E adesso?>
<Ai libri. Non mi restano che quelli.>
Si avvicinò a me piano e mi prese il viso tra le mani, guardandomi dritto negli occhi, ed io sentii il suo sguardo leggermi dentro.
<Ti prego, se dovesse succedere ancora, aggrappati a me. Sarò la tua ancora, è una promessa. Non ti lascerò più cadere.>
Poi mi baciò.
Questa volta era un bacio che significava fidati. Un bacio che significava sono qui.

Come amano le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora