Mostri dal passato

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Mi ci volle un po' per trovare la confraternita in cui si sarebbe tenuta la festa, Mason mi aveva inviato l’indirizzo ma avevo scoperto a mie spese che perdersi dentro quel campus era più facile di quanto pensassi. Alla fine, quando arrivai, mi presi un attimo prima di scendere dall’auto. Sentivo la musica provenire da quel grande palazzo, vedevo la gente sul portico con bicchieri colorati in mano, intenti a chiacchierare o a sbaciucchiarsi. Sentii il panico salire lungo la schiena, annodarsi nello stomaco. Ero stata a molte feste di recente, più di quante avessi immaginato, ma non ero mai stata sola. Ellie era sempre stata al mio fianco, e in un modo o nell’altro anche Dylan. In qualche modo, con loro al mio fianco, situazioni del genere mi facevano meno paura. Quella era la prima volta che mi ritrovavo in un luogo stracolmo di gente senza conoscere nessuno, certo c’era Mason, ma prima avrei dovuto trovarlo. Sarei dovuta entrare lì mentre i loro sguardi si posavano su di me, mentre si chiedevano chi fossi, da dove vengo. Mi avrebbero giudicata per il mio abbigliamento, o magari per i miei capelli, o forse per il rossetto rosso che avevo voluto mettere per sembrare più grande.
Le paranoie stavano già iniziando a provocarmi un attacco di panico, sentivo già l’aria mancarmi, il cuore trottare come un cavallo imbizzarrito. Una parte di me avrebbe voluto rimettere in moto l’auto e tornare a casa, lì dove nessuno poteva giudicarmi, dove non mi sarei sentita fuori posto. L’altra parte di me, quella più sicura di sé, voleva entrare lì a testa alta e smettere di avere paura. L’avevo promesso a Mason, volevo tanto essere sua amica e questo poteva essere un buon inizio.
In quel momento c’era solo una persona in grado di aiutarmi. Tirai fuori il cellulare dalla borsetta e composi il numero, rispose dopo tre squilli, e la sua voce fece sì che il mio cuore rallentasse un po'.
<Ehi stellina, non dovresti essere ad una festa?>
<Io...sono qui fuori.>
Iniziai a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli, mi avrebbe presa per stupida se gli avessi detto che avevo paura?
<Perché non entri? Qualcosa non va?>
<Io ho...si ecco...ho...>
<Paura?>
No, non mi avrebbe presa per stupida, lui mi capiva. Comprendeva tutte le mie sfumature e non le giudicava mai.
<È la prima volta che vado ad una festa in cui non conosco nessuno, di solito c’è Ellie, e ci sei tu. Ma adesso tu non ci sei, ed Ellie neppure, sono da sola. E se non trovassi Mason? Se avesse avuto un imprevisto e si fosse dimenticato di avvisarmi? Se nessuno mi rivolgesse la parola ed io finissi in un angolo tutta sola mentre la gente si domanda cosa ci fa lì una come me? Se mi giudicassero per i miei capelli?>
Lo sentii ridere appena.
<Che hanno che non va i tuoi capelli? Io li adoro.>
<Si ma...>
<Ehi, calmati.>
Tirai un lungo respiro, sentendo il cuore alleggerirsi e l’aria entrare nei polmoni.
<Sono sicuro che troverai Mason e che lui non ti lascerà mai sola. E una come te, come dici tu, è esattamente dove deve stare. Non aver paura stellina, andrà tutto bene.>
Sorrisi, lui accarezzava la mia anima come nessuno aveva fatto mai.
<Magari potrei tornare a casa e dire a Mason che sono malata, io non credo di farcela.>
<Ce la farai invece, ne sono certo.>
<Si ma...>
<Aly...>
<Si?>
<Chiudi questa telefonata e va lì dentro. Potresti andare sulla luna e tornare se solo lo volessi, puoi affrontare una stupida festa. Se qualcosa va male ti autorizzo a fingere un mal di testa e tornare a casa.>
Scherzò.
<D’accordo, però posso chiamarti quando sarò tornata a casa?>
<Devi assolutamente farlo, io ti aspetto qui.>
<Allora vado.>
<Aly...>
<Si?>
<Sorridi.>
Ed lo feci, indossai il più bello dei miei sorrisi ed andai lì dentro.
All’entrata due ragazze con smaglianti sorrisi simili al mio, mi accolsero dandomi una maschera, solo allora mi ricordai del tema della festa.
Guardandomi intorno notai che i ragazzi possedevano maschere nere mentre le ragazze bianche. Le maschere coprivano gli occhi e appena il naso, il mio sorriso era ormai l’unica cosa che si sarebbe vista. Ma come avrei trovato Mason se con quelle maschere sembravano tutti uguali?
Dopo aver dato un’occhiata in giro sperando di notare un paio di labbra minimamente familiari, decisi di fermarmi e telefonare a Mason.
<Aly ma dove sei finita? Ti sei persa?>
<Sono qui, ma non ti vedo, dove sei?>
<Non riesco a sentirti, la musica è troppo alta, io sono….>
La sua voce iniziò a saltellare, non riuscii più a sentirlo, ma prima che la telefonata si interrompesse sentii:
<le scale.>
Poi più nulla. Richiamarlo sarebbe stato inutile, saremmo finiti allo stesso modo, ma “le scale” era un indizio. Mi sarebbe bastato trovare una scalinata e probabilmente avrei trovato Mason.
Con mia grande sfortuna, mi resi conto presto che le scale di quel posto erano più di quelle che avevo immaginato. Ne avevo controllate già due, facendomi spazio tra gente ubriaca sugli scalini, musica così alta da stordirmi e ragazze che mi fissavano come se fossi un extra-terrestre. Alla terza scalinata ne avevo già abbastanza. Decisi di percorrerla e cercare un bagno al piano di sopra, avevo bisogno di un attimo, mi sembrava già di impazzire. Tutte le mie paure stavano già diventando realtà, Dylan si era sbagliato.
Quando finalmente trovai il bagno, dopo aver aspettato non so quanto affinché si liberasse, chiusi la porta a chiave per godere di quella momentanea tranquillità. Assaporai il silenzio, cercando di capire se fosse meglio cercare ancora Mason oppure tornare a casa e fargli delle scuse domani. Mi osservai allo specchio, con ancora quella stupida maschera indosso, e mi resi conto che il blu dei miei occhi spiccava sotto lo strato bianco della maschera. La Aly mascherata mi piaceva. Decisi di farmi una foto ed inviarla a Dylan.
Mentre mi scattavo forse troppe foto, ognuna con una posa diversa per poi individuare la più bella, qualcuno iniziò a bussare alla porta con insistenza.
<Solo un attimo.>
<Muoviti cazzo.>
Gli sentii dire da dietro la parente.
Iniziai a sfogliare le fotografie in cerca della migliore, ed ecco che bussò ancora.
<Ho detto solo un attimo.>
Urlai per assicurarmi che sentisse.
<Senti non ce l’ho un attimo, sto per pisciarmi addosso.>
Trovai finalmente la foto che pareva la migliore e la inviai a Dylan, mi diedi l’ultima occhiata allo specchio e poi uscii senza neanche guardare in faccia l’arrogante che aveva bussato così insistentemente.
Mi sedetti su uno degli scalini, aspettando una risposta da Dylan, valutando ancora l’opzione di andare via. Forse avrei trovato Mason se avessi continuato a cercare, ma sarei riuscita a divertirmi? Ormai ne dubitavo fortemente, il mio umore era già rovinato, e mi sembrava evidente che quello non fosse il mio posto. Da quando ero arrivata nessuno mi aveva rivolto la parola, le mie non erano più paure ma la cruda realtà.
Ad un certo punto il cellulare vibrò, ed io sorrisi come una bambina davanti ad un giocattolo nuovo leggendo cosa stava scritto sullo schermo.
Dylan: Spero tu ti stia divertendo. Ps: sei bellissima.
Se solo mi stessi davvero divertendo…
Aprii la tastiera per scrivergli che non mi stavo divertendo affatto ma una voce alle mie spalle mi interruppe.
<Credo tu abbia perso questo.>
Mi voltai e trovai un ragazzo, con la sua maschera nera e con il mio braccialetto in mano.
Era un braccialetto con su inciso “quanto le stelle”, me l’aveva regalato papà per il mio settimo compleanno, da allora non l’avevo mai tolto. Doveva essermi caduto in bagno.
<Si è mio, deve essermi caduto. Ti ringrazio.>
Lo presi senza soffermarmi a guardare il ragazzo e mi rigirai posando lo sguardo dove stava prima, sul cellulare per rispondere a Dylan.
<Conoscevo una persona che ne aveva uno uguale.>
<Impossibile, l’incisione l’ha fatta mio padre apposta per me, non può esistere un altro uguale.>
Gli risposi senza neanche voltarmi, mentre lui se ne stava ancora in piedi dietro di me come uno spettro. Pensai che doveva essere uno di quelli che usa le solite frasi per approcciarsi con una ragazza, ma con me cascava male, non poteva sapere che quel bracciale poteva essere solo mio.
<Aveva riccioli bruni come i tuoi e occhi blu come l’oceano.>
Non risposi, quelle erano cose che poteva notare chiunque, non avrebbe di certo attirato la mia attenzione in questo modo.
<Le piacevano più i libri delle persone, scriveva poesie e aveva paura del buio.>
Questo invece non poteva averlo indovinato. Certo, sono tutte cose abbastanza comuni e facilmente intuibili, ma come aveva potuto avere una tale fortuna?
Non mi girai ancora, ma il mio cuore iniziò a correre, lo sguardo assente ancora sullo schermo del cellulare. Nella mia mente si fece spazio un’ipotesi ed io iniziai silenziosamente a pregare di sbagliarmi.
<Soffriva di attacchi di panico, e quando ne aveva uno io le dicevo...>
<Conta le stelle Aly.>
Conclusi la sua frase, tremando, capendo che il mostro del mio passato era arrivato anche nel mio presente.

Come amano le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora