<Quando torni?>
Me ne stavo sdraiata sul letto a pancia in su, a guardare il soffitto, mentre facevo a Dylan la stessa identica domanda di ieri. Era già una settimana che gliela ponevo, ed anche la sua risposta era sempre la stessa.
Presto.
Ma quel momento sembrava non arrivare mai.
Mi mancava, non potevo negarlo. Ormai quella mancanza era parte di me, per quanto ripetessi a me stessa che stare lontani era la cosa giusta al momento, quella lontananza mi stava logorando.
Era passata una settimana, settimana in cui avevamo parlato al telefono tutte le sere per ore. Mi raccontava di Boston, dei suoi zii, ero anche riuscita a strappargli qualche racconto sulla sua infanzia.
Sua zia si chiama Rose, suo zio Richard, e ha tre cugini: James, David e Gwen.
Non ha detto molto su di loro, solo che James è il più grande, mentre Gwen la più piccola. Gwen è sempre stata come una sorellina per lui, con David ha sempre avuto un rapporto tranquillo, ma con James non vanno molto d’accordo.
Non era molto, ma era un passo avanti, lo stavo conoscendo di più.
<Ti prometto che saremo di nuovo insieme molto presto.>
Rispose, dopo l’ennesima volta in cui gli ponevo quella domanda.
<Lo dici sempre, è già passata una settimana.>
<Lo so, ma l’attesa aumenta il desiderio.>
<Stronzate.>
Sbuffai, rigirandomi nel letto a pancia in giù.
<Domani andrai a quella festa?>
<Devo, Ellie mi ucciderebbe altrimenti.>
Ridacchiò.
<Perché ci tiene così tanto?>
<Ha conosciuto delle ragazze ad un corso di danza, vuole fare colpo con questa festa, credo si senta esclusa dal gruppo o roba del genere.>
<Perché farsi nuove amiche se ha già te che sei la migliore?>
<Non sono la migliore, anzi sono una pessima amica, non le ho neanche detto di te.>
O dell’incontro con Alex, pensai.
<A proposito, quando pensi di farlo?>
<Presto.>
Lo imitai, sorridendo, sentii sorridere anche lui da dietro il telefono.
<Meglio andare a dormire allora, domani ti aspetta una grande festa.>
Mi lamentai emettendo brontolii.
<Quante probabilità ci sono che ad un certo punto della serata entrerai come i principi azzurri delle favole e mi salverai da quell’inferno?>
<Scarsissime probabilità, somiglio più al cattivo della storia che al principe azzurro.>
<Allora rapiscimi, ti prego.>
<Probabilmente lo farò, un giorno.>
Quando ci salutammo avevo un sorriso enorme stampato sulla faccia. Per quanto mi pesasse stare lontani quelle telefonate erano ormai come aria pulita in mezzo alla nebbia per me, mi facevano stare bene.
L’indomani, mentre mi preparavo per la festa, i nervi mi stavano divorando viva.
Non avevo detto ad Ellie di aver incontrato suo fratello, così come lei non mi aveva detto che era tornato in città. Non l’avevo detto neppure a Mason, così come a Dylan. Insomma, non l’avevo detto a nessuno. A dirla tutta stavo cercando di convincere me stessa di averlo sognato.
Uscii di casa senza aver cenato, mi succedeva spesso quando i nervi mi assalivano in questa maniera. Il mio stomaco si chiudeva, si contorceva, come se dentro qualcuno ci stesse facendo delle capriole. Non era la prima volta che uscivo senza aver mangiato, c’ero abituata. Non appena mi sarebbe passata l’ansia avrei trovato qualcosa da sgranocchiare alla festa.
Arrivai alla casa al lago della famiglia di Ellie con un po' di ritardo, pioveva, ed io odiavo guidare con la pioggia. Avevo accostato più volte per calmare la mia ansia, ma ormai ce l’avevo fatta.
Arrivai davanti alla porta e suonai il campanello, aspettandomi di vedere il sorriso di Ellie non appena avesse aperto, ma non è ciò che vidi.
Mi ritrovai davanti occhi marroni e un oceano di ricordi.
Lui era lì.
Alex era lì e mi fissava da davanti la porta, mentre io quasi non ci vedevo più.
<Aly stai...stai bene?>
Non risposi, nessun suono uscii dalla mia bocca. Ero immobile, zitta.
<Aly eccoti finalmente, non sai quanto ero preoccupata, so che non ti piace guidare con la pioggia.>
Ellie arrivò dal fondo della stanza, senza curarsi del fratello mi prese sotto braccio e mi accompagnò dentro casa, mentre io me ne stavo ancora muta.
Passammo vicino ad un tavolo dove un ragazzo si stava versando da bere, senza pensarci afferrai il bicchiere che stava riempiendo e continuai a camminare con Ellie senza neppure scusarmi con lui. Ero sotto shock, forse l’alcol mi avrebbe aiutata a riprendermi.
<Stai bene?>
In effetti l’alcol aiutò, era così amaro che fui costretta a fare una smorfia e le mie corde vocali ripresero a funzionare.
<C’è tuo fratello.>
Dissi ad un certo punto.
<Cosa?>
<C’è tuo fratello, qui, mi ha aperto la porta.>
<Oh Alex, si, è tornato qualche giorno fa. Lui mi ha...mi ha detto che voi due vi siete incontrati e che è tutto risolto tra voi, è la verità? Non l’avrei mai fatto venire altrimenti, se mi ha mentito giuro che...>
<No.>
Cercai in me tutto l’auto controllo possibile, dovevo essere forte. Dovevo comportarmi da persona matura, non potevo lasciare che lui o il nostro passato mi perseguitassero ancora.
<È tutto okay, non ti ha mentito.>
<Dio, menomale. Non ho tempo per picchiarlo ora.>
Accennai un sorriso falsissimo.
<Torno subito, vado a controllare che Liam e Phil non si siano scolati tutta la birra.>
Mi lasciò lì impalata, mentre cercavo di elaborare la cosa e capire come comportarmi.
Alex aveva mentito ad Ellie dicendole che avevamo chiarito, non lo avevamo fatto e non sarebbe mai successo. Io lo odiavo, con tutta me stessa, e questo lui lo sapeva. Quelle sue inutili scuse non avrebbero mai cambiato nulla. Ma forse, per il bene di Ellie, era meglio così. Era meglio fingere che fosse tutto risolto, che io avessi dimenticato e che non serbavo più rancore nei confronti di suo fratello. Io però non avevo dimenticato, e mai l’avrei fatto.
<Grazie.>
La sua voce alle mie spalle mi fece trasalire, strappandomi dai miei pensieri, istintivamente iniziai a tremare, ma mi voltai comunque.
<Per cosa?>
<Per aver mentito a mia sorella, per difendermi.>
Mi avvicinai lentamente a lui, decisa e sicura.
<Sia chiara una cosa, ho mentito ad Ellie perché è meglio così, per lei e per me. Non per difenderti, quello l’ho già fatto troppe volte.>
<Lo so.>
Ero ormai ad un centimetro dalla sua faccia, eppure non avevo paura, mi sentivo più forte di lui.
<Questa piccola bugia non significa niente, non ti ho perdonato e mai lo farò. Stammi lontano Alex.>
Mi voltai e mi allontanai, camminando come una donna sicura di sé, come se il mondo potesse inchinarsi ai miei piedi.
Dopo mezz’ora però, il mondo più che altro sembrava schiacciarmi. I pensieri mi stavano facendo scoppiare la testa, Ellie era troppo impegnata con le sue nuove amiche perciò io ero da sola senza nessuno con cui parlare. La frustrazione mi spinse a bere qualche drink di troppo, e dopo non so quanto tempo iniziai a sentirmi debole. Le palpebre mi pesavano come mattoni, le gambe quasi mi cedevano e la testa girava come uno yo-yo. Un letto, mi serviva un letto, avevo bisogno di stendermi.
Salii a fatica le scale, con l’intento di raggiungere la camera di Ellie, la stessa camera in cui dormivo ogni volta che passavo lì il fine settimana. L’unico problema, era che quella camera era l’ultima infondo al corridoio, e dopo aver salito a fatica le scale mi sembrava lontanissima. Avanzai lentamente, appoggiandomi alla parete, ma ad ogni passo le gambe si facevano sempre più deboli. La porta che fissavo senza sosta davanti a me sembrava muoversi e allontanarsi sempre di più, piccole macchie nere riempirono la mia visuale ai lati, finché un’ultima macchia si posizionò al centro ed io vidi tutto nero. Sentii il mio corpo cadere a terra senza forza, senza che io potessi fare niente per sorreggermi e rimettermi in piedi, le mie orecchie smisero di sentire qualsiasi suono ed io cessai di esistere per un attimo.
Quando pian piano ripresi conoscenza, non ci vedevo ancora, ma sentivo una voce che mi chiamava nel buio.
<Cazzo Aly svegliati!>
Percepivo carezze leggere sul mio viso.
<Torna qui Aly!>
Sentivo qualcosa di morbido sotto di me ed un petto caldo contro la mia schiena, labbra vicino al mio orecchio.
<Torna da me stellina.>
Era lui, era lì.
Quando iniziai a pensare che fosse solo un sogno, la mia vista tornò lentamente a colori, iniziai a riconoscere la camera di Ellie e la morbidezza del suo materasso sul quale stavo sdraiata. Alzai lo sguardo sopra di me e due occhi verdi colmi di preoccupazione e sollievo incontrarono i miei.
<Sei tu.>
Dissi, quasi in un sospiro.
<Si piccola, sono io, come ti senti?>
<Bene, io...>
Ubriaca, ecco come mi sentivo, ubriaca e stupida.
Cercai le forze per mettermi a sedere ma non ci riuscii.
<No, non alzarti.>
Mi concessi di rimanere tra le sue braccia, mentre lui ancora mi accarezzava ed io lottavo con le mie palpebre affinché non si chiudessero un’altra volta.
<Perché non mi hai detto che tornavi?>
<Volevo farti una sorpresa.>
Mi sentii ancora più stupida. Era tornato senza avvisarmi per farmi una sorpresa ed io mi ero ridotta in queste condizioni, la sorpresa l’avevo fatta io a lui a quanto pare.
Stupida, stupida, stupida.
<Cos’è successo?>
<Niente.>
<Non mi pare.>
Continuò ad accarezzarmi il viso.
<Io...>
Balbettai.
<Si ecco io...potrei essermi dimenticata di mangiare e potrei aver bevuto qualche drink di troppo.>
Dissi di getto, senza neppure prendere aria.
<Cristo Aly, come ti è venuto in mente?>
<Mi ero ripromessa di mangiare qualcosa appena arrivata qui, ma poi ho visto Alex e ho sentito più il bisogno di bere che di mangiare.>
<Alex?>
Dannazione. Erano successe così tante cose nelle ultime ore che mi ero dimenticata della piccola bugia che avevo detto. Dylan non sapeva che Alex era tornato ed io ero stata così stupida e ubriaca da averglielo rivelato in questo modo, di punto in bianco.
<Quell’Alex?>
Scivolò da sotto di me, alzandosi in piedi, venendo di fronte a me.
<Te l’avrei detto.>
Cercai di giustificarmi.
<Volevo solo aspettare che tornassi prima di farlo.>
<Lo stronzo che ti ha picchiata è tornato e tu hai deciso di non dirmelo? Cazzo Aly!>
Iniziò a camminare avanti e indietro passandosi una mano tra i capelli.
<Ho detto che te l’avrei detto, prima o poi.>
<Prima o poi? E se nel frattempo ti avesse messo le mani addosso mentre io ero a chilometri di distanza? A quel punto che avrei dovuto fare?>
<Non mi metterà più le mani addosso.>
Dissi decisa, capivo il motivo della sua rabbia ma iniziava a sembrarmi esagerata.
<Come puoi dirlo?>
<Lui è...pentito.>
Si zittì, voltandosi di scatto verso di me.
<Ci hai parlato?>
Quasi mi immobilizzai, il suo sguardo era come di fuoco, mi stava bruciando.
<Ho dovuto.>
<Quando?>
<Alla festa della confraternita, l’ho incontrato lì.>
<Una settimana fa...>
Non parlai, mi sentivo così piccola e stupida.
<Una cazzo di settimana, sette giorni, centosessantotto ore, e tu me lo dici solo adesso?>
<Io...>
<E se ti fosse successo qualcosa? Dio...>
<Non è successo niente. E poi cosa avresti fatto se te l’avessi detto? Saresti venuto qui per picchiare anche lui?>
<Se fosse stato necessario l’avrei fatto, lo farei tutt’ora. Se solo ti toccasse, se ti guardasse per un minuto di troppo, se provasse anche solo a rivolgerti la parola, non esiterei a sporcarmi le mani con il suo sangue e mi piacerebbe anche.>
Rabbrividii dopo quelle parole, sentendomi incapace di replicare.
<Avresti dovuto dirmelo una settimana fa.>
<Forse non l’ho fatto perché sapevo che avresti reagito così.>
<Così come? Come uno che vuole proteggerti? Perché che ti piaccia o no è questo quello che faccio, e non me ne frega un cazzo se per farlo qualcuno dovrà farsi male.>
<Io non ho bisogno della tua protezione!>
Sbottai, esausta.
<Ah no?>
<No.>
<Bene allora.>
A passo veloce si avvicinò alla porta e l’aprì, io capii che stava per andarsene.
Ma esitò, si voltò leggermente verso di me, quasi come se stesse combattendo una battaglia tra cuore e cervello.
<Fanculo.>
Disse, poi se ne andò.
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Come amano le stelle
RomanceLa vita ha preso a calci Alya troppe volte, per troppo tempo. Le ha portato via la mamma troppo presto, lasciandola da sola a fare i conti con la malattia mentale del padre. Le cicatrici sul suo cuore sono troppo vecchie, troppo profonde, e Alya è...