Brooklyn e caffè (III)

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Marco vorrebbe dirmi altre mille parole. Gliele leggo sulla punta della lingua, incise sulle labbra. Sono le classiche frasi che hanno accompagnato la mia adolescenza, quelle promesse infarcite di zucchero che hanno addolcito gli anni del liceo.

Dopo quella notte alla Scalinata, ho scoperto che la delusione di una speranza mal riposta è una tisana amarissima, un veleno per papille gustative, organi e tessuti. Anche Marco lo pensa. Per questo tiene le sue promesse cucite alle labbra, impedisce loro di prendere suono. Si arruffa i capelli con un asciugamano. E mi chiedo se mi basti riunirmi a lui, per stare bene.

Dovrei sedermi anch'io su quel divano, c'è una tensione che mi spinge a cercare riparo tra le sue braccia, ma la ragnatela che mi attira a lui potrebbe essere una trappola, io una farfallina ingenua nelle grinfie di un ragno velenoso.

Ho già conosciuto il suo morso, mi spaventa. Così non oso una mossa, non lo aiuto ad asciugarsi i capelli e resto impalata nel centro del salotto, a chiedermi che effetto farebbe sfiorare ancora una volta quelle ciocche color grano.

Marco stanotte dormirà sul divano.

Se fossimo "noi", i veri "noi", non resterebbe lì, esiliato dal letto matrimoniale come un marito colpevole. Quante volte abbiamo dormito avvinghiati in pochi centimetri di spazio, una brandina, un asciugamano a bordo spiaggia, un ritaglio di fieno! Potevano essere giacigli striminziti, ma il fatto di essere vicini rappresentava il mondo intero.

"Vieni di là, dormiamo insieme, come un tempo."

Ma non lo dico. Il pensiero di toccarlo mi costringere a contemplare la nostra lontananza. Mi sto buttando anima e cuore nel binomio, per capire che c'è sempre un "ma": quel muro invalicabile si erge ancora tra di noi e i pioli che Marco mi sta porgendo sono troppo sottili per completare la risalita.

«Non guardarmi così» mi sorride. Dovrebbe essere il suo sorriso alla Stregatto. E ancora un "ma": ma adesso non funziona. «Non guardarmi con così poca speranza, Nina. Ti aspetto, da qui all'infinito, per tutto il tempo che vuoi.»

«Io voglio riuscirci...»

Parola stoppata dall'asciugamano gettato a terra, il suo.

E Marco che mi chiede "scusa" con un cenno per questo piccolo atto di violenza.

«Lo so» mi dice. «Lo so che vuoi riuscirci.»

Sembra così grande, con spalle adatte a reggere il peso delle mie paure. Vorrei parlare come un fiume, svuotargli contro i pensieri che mi frullano in testa.

«Lo sai adesso» insisto. Sembri così forte adesso. «Ma se tra due giorni o dieci capisci che è troppo difficile e ti stanchi di me e perdi la pazienza?»

«Ti ho detto che voglio rimediare, Nina.» C'è il fuoco della determinazione nei suoi occhi color cielo. «E ti dico che farò tutto quello che serve, per farti stare bene, per riaverti nella mia vita.»

Il tono disteso aumenta il sospetto che le sue spalle si siano fortificate e che io possa utilizzarle per piangere. Qualsiasi cosa dirò, non scapperà. Poi un ricordo fulmineo:

«Stamattina non la pensavi così. Stamattina sei fuggito al primo ostacolo.»

Marco sussulta. Il cuscino del divano trema sotto quel balzo e la fiamma della determinazione viene sferzata da una folata di dubbio. Poi si rinvigorisce:

«Stamattina è stato troppo per me, tutto d'un colpo.»

Si alza e muove l'ennesimo passo per scavalcare il muro che ci divide. Ma io mi difendo, un nuovo passo indietro, un mattone per allontanarci.

Binomio - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora