Uelcom (II)

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Qui a Friburgo nessuno nutre delle aspettative nei miei confronti. Nessuno vuole che sia una buona amica, un'attenta studentessa, una brava ragazza. Nessuno vuole che rompa il binomio, o che le modifichi, o che vada oltre. Nessuno si arrabbia se non scrivo la tesi, o se invece la scrivo. È questo che mi piace: nessuno mi conosce, quindi nessuno mi assilla.

La vita scorre lenta, è come un lunghissimo bagno con sali e schiuma in una vasca a idromassaggio gigantesca. Posso lasciarmi cullare dallo sciabordio dell'acqua, prendermela con comodo, senza che sbalzi d'umore o eventi a sorpresa mi facciano imbiancare i capelli allo scadere di un secondo.

In Germania le tende sembrano non esistere, e così la mattina mi sveglio sempre al sorgere dell'alba, per colpa della luce violenta che filtra dall'oblò e, di tanto in tanto, per gli schiamazzi dei vicini che rincasano dopo una nottata brava.

Quando un raggio di sole infastidisce le ciglia, raggiungo in punta di piedi la piastra elettrica e ascolto il borbottio del caffè, respiro l'aroma diffondersi per il monolocale. Marco si alza poco dopo, la sua sveglia il rumore del cilindro che schiuma il cappuccino.

«Buongiorno, Nanà. Che facciamo oggi?»

Mi saluta sempre con un bacio sulla fronte, oppure strofinando il naso sulla mia testa, un gatto coccolone in cerca di attenzioni.

Le prime due settimane passeggiamo. Ci perdiamo nella folla di studenti, nei resti degli addobbi di Natale che stanno per essere inscatolati in attesa di un nuovo anno; giochiamo a fare gli equilibristi sui bordi delle strade, camminiamo a ridosso dei canali d'acqua che accostano i marciapiedi del centro storico, come diramazioni di ruscelli in una foresta.

È una cittadina fiabesca, Friburgo, con un fascino da cartolina. Piccola, con i tetti a punta e il rosso di alcuni edifici, le decorazioni in legno sulle pareti bianche, le vie strette di sampietrini.

«Qui si studiano le tue cose letterarie» mi dice Marco, durante una delle nostre esplorazioni. Università Albert Ludwig, e ad accoglierci ai lati di una scalinata due statue di grandi geni del passato: Omero e Aristotele.

«Crodelia sarà felice di sapere che ho raggiunto la meta» rido. «Biblioteca: la mia futura dimora.»

«Dimora?» borbotta Marco, tenendomi sottobraccio. «Vuol dire che stai per lasciare il nostro nido d'amore per quattro libri puzzolenti e intarmati?»

Il solito scemo.

Averlo al mio fianco equivale a bere una tisana depurativa, uno di quegli intrugli amarissimi che risanano il corpo dalle tossine del passato. Stringerlo quando dormiamo mi inietta la convinzione che tutto andrà bene: ora che sono di nuovo tra le sue braccia, nemmeno l'Apocalisse potrebbe ferirmi.

Quando Marco riprende le lezioni, gli attimi trascorsi assieme diminuiscono, ma l'intensità dei piccoli momenti cresce a dismisura, così come la consapevolezza che tra di noi si sia forgiata di nuovo una chimica perfetta.

Spesso, come in questo istante, mentre lavoro alla tesi, la chat di Skype emette un trillo.

Zucca_to: Qui c'è un disperato studente di medicina, bisognoso di una botta di calorie. Waffle alla banana per pranzo, Nanà! <3

La Nana con l'accento: Ma non ho voglia di fare la spesa!

Zucca_to: Cambia nickname! I waffle, pleeease!

Santa Nina: Non hai tre anni!

Zucca_to: Dobbiamo lavorare sui tuoi nickname, quando torno a casa. I waffle!

Binomio - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora