Rose rosse per te (III)

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È stato un bacio da bambini, tanto che una persona adulta lo definirebbe uno sfiorarsi di bocche e respiri. Credevo che quella notte alla Scalinata avesse chiuso i sentimenti per Marco nelle carceri del cuore, che nemmeno un abilissimo ladro sarebbe riuscito ad aprirne la cassaforte e a renderli liberi. Invece un senso di vertigine risale dallo stomaco alla testa, e non è il disprezzo che provo per Zeno, ma uno sfarfallio confuso che mi manda in tilt i pensieri.

È l'effetto di quando bevi una fila di superalcolici a raffica e nel dopo sbronza hai difficoltà a capire dove ti trovi, che cosa è successo. Per non parlare di quel che accadrà: quello è impossibile da stabilire.

Essere una persona razionale mi convince che è stato solo un terribile déjà-vu, che mi sto sgretolando nel nome di ricordi troppo forti, della passione provata un tempo, non per un nuovo sentimento d'amore. Perché noi, in quel senso, siamo il passato, e io non ho la forza e la voglia di soffrire di nuovo.

Così, nel viaggio di ritorno in macchina, non fiatiamo. Non so se anche Marco abbia percepito l'intensità di questo momento, se questo bacio da bambini abbia risvegliato anche i suoi ricordi, la potenzialità di quello che avremmo potuto essere, ma non siamo stati capaci di diventare. Fatto sta che un'uguale paralisi colpisce le sue labbra e mi sembra che le sue mani, strette al volante, tremino, scosse dalla medesima paura che fa oscillare le mie gambe.

Saprei come riattaccare bottone: parlando di Valentina. Proprio prima di andarcene dall'appartamento delle Suore abbiamo trovato un disegno di Saul sul tavolo in cucina, appena uno schizzo, ma con soggetti impossibili da non riconoscere: Valentina e Alex.

Già, proprio Alex, il burbero, impiccione, cameriere dello Yeti. Non so nemmeno quando si siano visti, se non in quel secondo durante il sit-in di Yuri. E non so nemmeno chi dei due abbia mosso il primo passo, come Valentina abbia potuto incaponirsi con un uomo appena conosciuto. Queste domande fanno capolino di tanto in tanto tra i miei pensieri, quando il grillo è talmente stufo di Marco da richiedere l'intervento di un nuovo nome.

Quel pomeriggio, dopo il bacio, la Mitsubishi è entrata nel viale di casa mia e Marco, senza un accenno alla penitenza, mi ha distrutta con la sua crudeltà:

«Bene, devi lanciare tu il prossimo "Non ci vedremo per..."»

Io sono rimasta sul sedile come un sasso, arrabbiata con me stessa per essermi di nuovo illusa. E Marco... ho provato un insensato impulso di prenderlo a pugni, perché ancora una volta si è divertito a giocare con i miei sentimenti.

A complicare la situazione un messaggio di Celeste.

Ho saputo da Marco che adesso esci con qualcuno. Immagino che questo ci permetta di tornare in buoni rapporti. Mi dispiace di averti trattata male, ero fuori di me e ho scordato che in passato siamo state amiche. Che ne dici di fare una cena a quattro? Marco è d'accordo, purché lo sia anche tu. Fammi sapere. Un bacio.

L'SMS di Celeste mette in moto la macina dei pensieri e sono talmente in malafede da annusare puzza di bruciato perfino nei punti e nelle virgole. Quella di Celeste è una trappola; ma no che dico, Celeste è l'angelo di Viacampo, non farebbe del male a un moscerino; sì, ma io non sono un moscerino, sono Nina Adami e quella sera, allo Yeti, ha reso chiaro di odiarmi.

E poi Marco... perché accettare? Un suo sì significa che gli sta bene vedermi con un altro, che ha ufficialmente smesso di guardarmi come una donna, che il pensiero di sapermi con Zeno non genererebbe sulla sua pelle nemmeno un pizzicotto di fastidio. Forse quel bacio è stato per lui la prova di un amore passato.

Lasciare a me l'ultima parola non è un segno di delicatezza, ma un invito a usare uno dei miei cartoncini, visto che gli resta solo un pago penitenza e poi avrà perso la partita. Non mi fa impazzire l'idea di cenare con Marco e Zeno, mi sentirei lo stoppino di una candela tra due fuochi inceneritori. Se mi tirassi indietro, però, Celeste penserebbe che sono ancora legata a Marco o addirittura che Zeno sia il frutto di una mia invenzione. Così, punta nell'orgoglio, scrivo a Zeno e contatto Marco.

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