Canestro matto (III)

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Dopo quel tuffo nel mare di aprile, mi sono posta l'obiettivo di dosare la presenza di Marco con un contagocce di massima precisione. Non si può assumere un farmaco che regola il battito cardiaco senza rispettare la quantità indicata dal foglietto illustrativo. La certezza è che l'effetto arrecato non sarà un beneficio, ma un biglietto di sola andata per l'aldilà.

Non posso sopportare un solo altro secondo di Marco. Oggi, anche se lo scambio verbale delle nostre voci è stato limitato, l'ho visto troppo, ho pensato troppo, ho fantasticato troppo. E lui, all'apice del suo splendore, sembra impegnarsi a incenerirmi in una radiazione continua.

Mentre tira pacche sulle spalle ai suoi compagni di squadra.

Mentre varca l'ingresso dello Yeti e punta il buffet offerto da Celeste.

Mentre tracanna senza ritegno gli alcolici che gli offrono per festeggiare.

Celeste gli gravita attorno come una zanzara attratta dal sangue, ubriaca del loro riavvicinamento: la famosa pausa di riflessione ha tutta l'aria di finire con un ricongiungimento e non con un taglio netto.

Li guardo abbracciarsi nella sala con il palco per l'orchestra e i tavoloni colmi di cibo, li spio dalla penombra, vicina al bancone del locale.

Marie, Celeste.

È solo un nome che cambia.

Respiro l'odore di fumo e whiskey tra le venature mogano del bancone e penso di squagliarmela inosservata: Yuri è preso a meditare piani di distruzione contro l'arredamento chic voluto da Celeste, Biagio è tornato in clinica con Anna e Marlyn.

Tento un passo verso l'uscita, ma Alex, vassoio carico di boccali, mi taglia la strada, segnale divino che mi fa capire quanto sarei maleducata a evaporare senza un "complimenti" o un "ci si vede".

Arretro nell'angolino, un filo di musica che le orecchie faticano a percepire. Lo soverchia il vociare animato della calca, Marco che con la squadra innalza inni da stadio.

Quando ripenso al primo attimo in cui ho messo piede allo Yeti, nulla sembra più lo stesso. E non parlo del binomio, ma del locale, con i divanetti maculati dai pomodori e il tavolino di cristallo che un martello per piastrelle ha stranamente sbeccato sull'angolo.

Ma nonostante il tocco femminile di Celeste abbia contaminato il fascino selvaggio del pub, dietro la carta da parati floreale, lo Yeti nasconde ancora la sua anima rock.

La respiro nell'aroma di tabacco che ha intaccato le spine della birra; la vedo nei fori dove un tempo erano avvitate le targhette pro-alcol; la ammiro nei vecchi poster vintage, adesso adornati da cornici madreperlacee.

«Grazie per essere venuti» saluta Celeste, nei panni della padrona di casa. «E oggi un giro in onore della squadra lo offro io.»

Alza un bicchiere d'acqua frizzante e porta qualche stuzzichino da sgranocchiare ai giocatori accanto a Marco. L'anima dello Yeti mi sussurra che un giorno Celeste se ne andrà e allora il locale tornerà a brillare della sua scura naturalezza.

«Questo posto non sembra più lo stesso, vero?» commenta una voce al mio fianco.

Trasalisco, stanata dalla penombra dove mi nascondevo per studiare la scena.

«Non ti volevo spaventare» sussurra Valter.

Ancora sudato per le strilla di incoraggiamento, si butta sullo sgabello sotto la volta a botte, un boccale di birra rossa svuotato per metà.

«Ti guardo e ricordo la ragazzina che sedeva in prima fila alle partite, urlando a squarciagola quando Marco faceva canestro» mi dice. Mi studia con gli occhi sottili, esamina in profondità quali segreti nascondo nella carne. «Chissà dov'è finita adesso, quella ragazzina.»

Binomio - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora