Vedrai che partirà (III)

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Qualcuno potrebbe ribattere che anch'io e Marco ormai, incollati dall'etichetta del binomio, rientriamo nel concetto di abitudine e che, come Celeste, siamo un souvenir sullo scaffale di una mensola dimenticata da Dio. In effetti l'oggetto-ricordo che rappresentiamo è un vaso frantumato e riunito da mille strati di colla, la prova di tutte quelle volte in cui ci siamo sentiti rompere e ricomporre. Ma nonostante le crepe e le rammendature, non ci sono granelli di polvere sulla nostra superficie. Nessuno, vedendo il nostro souvenir, lo crederebbe datato o antiquato. Lo definirebbe semplicemente vissuto, nelle gioie e nei dolori, ma anche nella determinazione di aggiornarsi e modificarsi. Io e Marco non saremo mai solo abitudine, perché in ogni fase della nostra vita siamo stati attenti a trasformarci, a non accontentarci della monotonia.

Anche il gioco dei cartoncini è una nuova crepa nel coccio, ma al tempo stesso la certezza che per me e Marco non è ancora giunta la parola fine, che possiamo ancora inventarci mille avventure per sentirci eterni.

Quando il 25 luglio il cellulare suona e un allarmato Marco mi prega di correre da lui, il grillo non sbuffa e si rintana nel suo cappello a cilindro, dicendo: "Ancora Marco?"

Al contrario scalpita sulle zampine che c'è una nuova posta in gioco.

«Tragedia, Nanà! Tragedia, Nanà!» declama Marco, appena mi vede. Danza intorno a uno scatolone vuoto come se fosse uno sciamano del centro Africa durante un rituale d'iniziazione.

«Come potrebbe una tragedia riguardare uno scatolone?»

«Ma Nanà! Non lo vedi in che stato è?»

Il cervello, colpa dell'afa che mi appiattisce sul divano, impiega un minuto per connettere e accorgersi che nel centro dello scatolone c'è una scritta in matita: Rat-man, proprietà di Marco. Non buttarlo (ti prego, mamma); non vendere (ti prego, papà).

E adesso lo scatolone è vuoto.

«I tuoi fumetti preferiti» gli dico. «Quelli che leggevi durante le ore della Lorenzi. Con quel topo supereroe. Cestino o eBay

Marco continua a pigiare i talloni sul parquet, due batuffoli di polvere in testa, perché lo scatolone si trovava nel ripostiglio, tra le scatole di scarpe e i lego condannati al dimenticatoio.

«Mio padre» sibila con la mano chiusa a noce. «Decisamente mio padre.»

Quindi eBay.

«È tutta colpa tua, Nanà!» E io che c'entro? «Non studiavo e non passavo gli esami di medicina perché avevo litigato con te e mio padre era arrabbiato e mi diceva che lo avrebbe fatto, ma io non credevo fosse tanto subdolo.»

Apriamo una parentesi sul livello di meschinità di Massimo, cosa di cui sono praticamente certa, chiudiamola e arriviamo a un nuovo punto: perché Marco, nel pieno degli esami di medicina, dovrebbe volere i suoi vecchi fumetti?

Replica che è questione di vita e di morte, che gli servono, è materia inerente all'esame, ed è come se a Valentina avessero portato via i suoi smalti, a Giacomo le moto, a me i libri, a una madre il figlio...

«Ho capito» taglio corto. «Quindi li dobbiamo recuperare?»

Non saprei descrivere il lampo di gioia che attraversa il viso di Marco, perché la forza delle parole non sarebbe sufficiente. So solo che mi trovo stritolata nel suo abbraccio, mentre mi fa rotolare come una trottola impazzita e strilla un altissimo "Ti amo" che riaprirà la stagione del gossip a Viacampo.

«Ti giochi il secondo pago penitenza, mio caro» rido io. «Altro che amore. Qui qualcuno sta per perdere la partita.»


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