Sul filo del silenzio (I)

21 5 10
                                    


Devo calmarmi. Prendere un grande respiro, riempire i polmoni e impedire al cuore di esplodere in brandelli di polpa e sangue condannandomi a morte certa. Se seguo il lume della logica e non mi lascio distrarre dai bagliori fascinosi e ingannevoli dei sentimenti, so di avere fatto la scelta giusta.

Devo procedere piano.

Un passo equivale al rischio di calare la caviglia in una tagliola. E non sono ancora addestrata a cavarmela da me.

Devo andare con ordine, vietare a quelle pallottole di ricordi e ti amo e binomio di cogliermi impreparata, di sballottarmi a destra e manca, come un fazzoletto in disfacimento nell'oblò della lavatrice.

Non posso credere di averlo fatto. Non posso credere di avere sbattuto quelle parole – digli che è finita – davanti all'uditorio dell'intero Yeti, in faccia alla folla di amici che sono cresciuti sotto il cielo di un binomio che spacciavo per eterno.

Adesso quel cielo si è squarciato, io l'ho squarciato, aprendo con una lama una fenditura nel colore azzurro della cartapesta, vedendolo collassare in pulviscoli di pergamena sopra i nasi sbigottiti dell'intera Viacampo. Il binomio è morto, reciteranno i giornali, Nina Adami, la debole del duo, ha macchiato le sue mani di un omicidio.

Scariche di brividi muovono le braccia, come se per sette anni avessi tenuto le dita avvinghiate a una barra di corrente. Adesso, anche se l'interruttore è spento, sono così assuefatta dall'elettricità da non smettere di tremare.

Ho spezzato il binomio: è un concetto troppo grande per essere contenuto nelle dimensioni di un cranio umano, è una sensazione così ampia che trabocca dalle orecchie, dagli occhi, dalle narici, dai miliardi di pori sulla pelle.

Cammino in riva al lago, barcollo come se i sassi fossero palline rotonde e i piedi non sapessero mantenere l'equilibrio. Ora che sono arrivata al pontile, accanto al salice piangente e alla torretta di salvataggio, sono un ritratto ad acquarello, sciolta nei colori di trucco e mascara.

Il binomio non c'è più.

Ho allontanato Marco.

Niente più avventure, sorprese ultrastellari, niente più mani ora sicure che esplorano il mio corpo, niente più baci rubati, niente più caldi sorrisi a rassicurarmi nei momenti di debolezza.

Un conato preme sulle labbra, ma lo costringo a ritornare nel regno della bile. Perché niente più binomio significa anche niente più delusioni, niente più promesse mancate, niente più tuffi nel baratro della disperazione. Niente più lame che mi squarciano dall'ombelico alla testa, niente più Xanax che ottenebra i pensieri, niente più speranze che spiccano il volo in alto, ma poi collidono a terra.

Allora respiro di nuovo. E non appena mi ricordo la mia forza, la mia intelligenza, il desiderio di dipingere all'orizzonte un futuro sereno, tolgo quelle spine di gelo che perforavano le valvole del cuore.

Restano i buchi, non ho ancora cerotti sufficienti per sigillare le ferite, ma li troverò, con calma e con ordine, senza la fretta di rituffarmi dal grattacielo più alto del mondo priva di una fune di sicurezza.

Avanzo in punta di piedi sul pontile – il nostro pontile – e trovo le sedie rosse ancora inchiodate all'estremità, vicine allo strapiombo del lago. Sono marcite per gli schizzi di acqua dolce e le intemperie di grandine e pioggia. Sono scrostate dai raggi violenti del sole. Sono fracassate dalle manine dei bambini che ci giocavano e dalle percosse di turisti ubriachi e molesti.

Distrutte, proprio come il binomio.

Distrutte, ma non abbastanza.

Sono libera, Marco, lo vedi?

Binomio - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora