Il Louvre chiude alle sette (I)

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Attenzione: si segnala che il capitolo, anche se non in questa prima parte, contiene una scena un po' pesante. D'accordo che oggi tutti scrivono di tutto senza farsi problemi, ma ci tengo a segnalare che potrebbe urtare la sensibilità di alcuni lettori.


Quando esco dal locale, mi sento un'attrice che sfila sul red carpet. Peccato che il mio vestito non sia firmato Dolce e Gabbana. Sono un'attricetta che si è appena imbucata in un camerino per distruggersi e agli occhi di tutti sembra un trampoliere sbilenco, un pagliaccio con il viso macchiato di mascara e rabbia. Ma non importa se domani le riviste di gossip bolleranno il mio look come "bocciato", né se Ivan e Nicola scriveranno un articolo al vetriolo per criticare la mia sfuriata in pubblico. Litigare con Marco ha prosciugato ogni residuo di forza.

Raggiungo il parco ai piedi del ristorante, nel punto in cui è ancora possibile ascoltare il rimbombo della cascata che si infrange sulle rocce. Mi accascio su una panchina vicina a un lampione, con la testa che pendola dallo schienale e gli occhi puntati al cielo. Vorrei perdere ogni capacità sensoriale, la vista, l'udito, perfino la memoria. Perché solo smettere di essere me stessa potrebbe diventare il rimedio per rompere questa catena di odio e amore che mi lega a Marco.

«Perché le relazioni tra uomo e donna devono essere sempre così difficili?»

Qualcuno potrebbe pensare che lo stia chiedendo alle stelle e quel qualcuno sbaglierebbe. È a Nicola che lo sto chiedendo, l'unico giornalista che, dopo essersi rimpinzato di lumache, ha trovato il coraggio di seguire l'attrice.

«Non lo stai chiedendo a un esperto in materia, Nina.»

Si siede accanto a me, senza taccuino e penna d'oca, perché Nicola è troppo buono per fare del gossip sullo psicodramma del quale è stato spettatore.

«Andiamo» ribatto con una risata amara. «Abbiamo vent'anni e ormai le nostre esperienze le abbiamo fatte.»

Per quanto Nicola Ulivieri sia Nicola Ulivieri, anche lui deve avere un cuore funzionante, uno che si è innamorato, che ha perso un battito di paura al primo bacio, ne ha acquisito uno di sicurezza la prima volta, per poi spezzarli entrambi di fronte a una storia finita.

«Certo» ammetto, senza staccare lo sguardo dalle stelle. «Tu non hai sicuramente commesso i miei stessi errori, però...»

«Ho fatto sesso con una persona che si è dichiarata follemente innamorata di me, solo per non pensare a un'altra.»

La sua rivelazione, pronunciata con l'oggettività di un giornalista durante un servizio, mi lascia di gelo. Ed è come se Dio, nei panni di una vecchietta infastidita, mi avesse rovesciato un secchio di acqua gelata in testa.

Ora non sono più le stelle il centro del mio campo visivo, ma Nicola che annuisce per confermare quanto detto. E io sono a corto di fiato perché: si sono o non si sono invertiti i ruoli? Nicola che confessa e io che ascolto?

Il cuore picchietta in una maniera strana, una che non capisco, perché le parole di Nicola mi hanno turbata e nemmeno io ne conosco il motivo. Certo, il confronto nella "scala dei peggio" lo vinco sempre io:

«Posso rilanciare, sai? Ho fatto sesso con una persona che non mi piace, di proposito, per ferirne un'altra. Non so quale dei due crimini sia il peggiore.»

Per un secondo mi sembra che la luce del lampione getti un'ombra scura sul suo naso.

«Lo zuccone se lo merita» mi consola. «Anatolia non aveva colpe.»

Avevo fiutato del tenero già durante la gita in Grecia. Che fosse finita con una notte a letto e un due di picche consegnato il giorno dopo, però, non l'avrei mai detto.

«Mi racconti com'è andata?» gli chiedo. «Voglio dire, è successo dopo la gita in Grecia?»

Donatello e Simone parlavano di furring e sono certa che stessero inventando, però...

«Dopo la maturità, quest'estate» nega. «Lei mi ha chiesto di uscire, io ho accettato. È durato poco, davvero poco, perché sentivo il bisogno di fare qualcosa di nuovo, di voltare pagina, e dopo il liceo avevo paura di restare solo, così...»

Nicola si interrompe, quando la sua pancia emette un borbottio, che nemmeno io so se incolpare al piatto di lumache che si è mangiato o alla tensione che ci sta avvolgendo come una nube di gas tossico. Lo capisco: anch'io avevo paura di perdere i miei amici, di andare troppo lontano; in questo baratro di incertezze, Marco era il mio punto fermo. Quando l'ho perso...

Lascio cadere la testa sulla spalla di Nicola, lo sento tendersi come una fune, poi rilassarsi al suono di un mio sospiro.

«Vorrei avere la sfera del futuro e sapere che cosa dobbiamo fare per essere felici» gli dico.

Quando capisce che non indagherò ulteriormente su Anatolia, mi raggiunge in un identico sospiro. E per un secondo mi sfiora la testa con il mento, forse con le labbra:

«Non pensarci, intanto non pensarci».

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