Qui dove il mare luccica (II)

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«Come ti senti?»

Biagio è seduto sotto il pergolato, un accappatoio simil vestaglia a proteggerlo dalla brezza del primo pomeriggio, un bicchiere di acqua naturale da sorseggiare quando l'infermiera gli porterà le sue pastiglie.

«Uno schifo, grazie.»

Sorrido, sebbene possa sembrare un controsenso: quale mente malvagia gioirebbe di fronte alle sofferenze di un amico? Io, perché così a lungo Biagio si è nascosto dietro a un dito, che questa improvvisa ammissione ha il sapore di una boccata d'aria fresca.

«L'importante è saperlo, immagino.»

Mi sistemo sulla sedia di vimini e osservo il panorama, le fontane di pietra asciutte, i roseti circolari che ricordano un giardino inglese. Qui a Verona il clima è più mite che in Germania e con l'arrivo della primavera la natura si è ridestata al massimo del suo splendore.

«È un bel posto» sussurro, concentrata sul volo circolare di due api.

«È una clinica» ribatte Biagio.

«È un punto di partenza.»

«Basta che non sia un punto di arrivo.»

Con uno sbuffo trattenuto mi giro verso di lui, inumidisco la punta delle dita nel bicchiere e gli lancio alcune goccioline d'acqua sul viso:

«Sei un terribile rompipalle!»

Lui borbotta che glielo dicono in molti e in effetti il dossier di informazioni che ho estrapolato alle infermiere ha confermato come Biagio sia il peggior paziente della clinica. Mai contento, sempre maleducato, spesso burbero. Se nei primi due mesi i medici gli hanno vietato ogni visita per aiutarlo a recuperare sé stesso, poi, stremati dalla sopportazione, hanno aperto i cancelli e supplicato ogni passante di portarselo via.

«Sei venuta per seccarmi come al tuo solito» mi accusa. L'infermiera si avvicina con il blister delle medicine. Appena la adocchia, Biagio la fulmina. «Ha ragione mio padre. Di quelle come te non ci si libera neanche con l'accalappiacani!»

«Ehi, guarda che il cane sei tu!» mi fingo offesa, ricordando il soprannome del liceo.

«Giusto, tu sei femmina, quindi sei una cagn-»

«Non ci provare!» Allungo la mano per rubare un tarassaco fiorito tra due palladiane del sentiero. È una grande palla di piume bianche, le soffio sul viso di Biagio. «Non credere che solo perché sei disabile avrò pietà!»

Biagio starnutisce e alla fine il famoso bicchiere d'acqua per le pastiglie finisce svuotato sulla mia faccia.

«Mi sei mancata» mi dice con un sorriso, quando il mascara va in liquefazione assieme a qualche goccia di matita per occhi.

Guarda come se la sghignazza, ora che sono il ritratto di un panda disegnato ad acquarello da un pittore distratto!

«Un altro bicchiere, infermiera! Mi serve!» strillo, con la mano alzata.

E intanto Biagio dice che la clinica non è un bar, dove suoni la campanella e il personale accorre con del whiskey su un vassoio. Per fortuna, ribatto io. Quale ospizio servirebbe alcolici ai malati?

«Avevi ragione, Nin» sospira al termine dei nostri siparietti. Con un tovagliolo mi asciugo il viso, senza pulirlo da un'ombra di confusione. «Su Carli. Che era una scema, una perdita di tempo. Appena ha saputo dell'aneurisma, ha smesso di rispondermi. Ha addirittura bloccato la mia pagina Facebook.»

«Mi dispiace, davvero.»

Biagio scrolla le spalle. Nonostante lo scudo della vestaglia crema, le intravedo così sottili da sembrare uno scheletro in via di decomposizione.

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