Due sedie per uno (I)

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Secondo anno di università

Autunno


Gli zucconi non vincono le borse di studio. È scritto nel codice delle università serie, quelle che te lo stampano perfino sulla tessera dello studente: sei uno zuccone, l'Erasmus lo vedrai solo se ti fumerai una canna del Brucaliffo. Mentre raggiungo Marco alle sedie rosse, il cuore pulsa battiti irregolari, come in quegli attimi che precedono un esame importantissimo.

Persino il grillo fatica a mettere in ordine i pensieri: perché Marco dovrebbe avere vinto una borsa di studio? Che conseguenze avrà per il binomio? Precisamente dove si trova questa Friburgo? Sì, lo so che dovrei saperlo, ma al momento la cartina dell'Europa è un caos di linee ingarbugliate e sfuocate.

"Più lontano di Bologna. Dovunque sia, questo postaccio crucco è più lontano di Bologna. E soprattutto è un altro passo in avanti che Marco farà, senza di te."

Poi mi rassicura:

"Non era il tuo obiettivo allontanarti da Marco, smettere di dipendere da lui? Prendi questo Erasmus come una spinta a migliorarvi".

L'unica sensazione che migliora è il senso di vomito sul palato. Incolpo il momento grigio, Zeno, la mia fragilità. Mi cibo dell'aria del lago per farmi forza, del sole tiepido di metà settembre per convincermi a sorridere, perché qualsiasi scelta Marco farà non sarò io a trattenerlo. E adesso vorrei uccidere il grillo parlante, perché si è messo addosso un completino rosa da cameriera e sta strillando: "Think!", "Pensa!", in una pessima imitazione di Aretha Franklin.

«Ricordi la mail che ti dicevo durante la cena al ristorante con Celeste?»

Marco me lo chiede senza salutarmi. È una domanda che impugna un martelletto da giudice e lo schiaccia sul grillo come nel gioco "Ammazza la talpa".

«Sì» confermo. Mi tengo a riva. Non so se mi voglia vicina o lontana. «È la mail che non hai aperto.»

«Beh, oggi l'ho aperta.»

Solo allora si gira, una maschera sul viso, una barriera che mi impedisce di capire che cosa stia pensando. E sì, il grillo è resuscitato e mi sta fracassando le tempie a forza di "Think".

«L'ho stampata. Tieni» mi dice Marco, un invito a raggiungerlo sul pontile, vicino a un cigno nero che si lava le piume sulla superficie dell'acqua.

Prendo il foglio che mi ha allungato, bianco intonaco, inchiostro nero e lo stemma dell'Alma Mater Studiorum nell'angolo sinistro. Poi in lettere confuse il messaggio del rettore, la lieta novella.

Intravedo una meta: Friburgo. Poi un periodo: fine ottobre - aprile, un semestre che Marco trascorrerà senza di me, e io con un solo cartoncino non lo potrò cercare e la sua vita... ai miei occhi diventerà quella di un estraneo.

Gli ripasso il foglio.

«Bello il discorso del rettore, no?» scherza Marco. «Si complimenta per l'impegno e i miglioramenti compiuti dall'inizio della mia carriera. Ah, hai visto? Si complimenta anche per il superamento di un test di tedesco in A2, cose che saprebbero fare anche i bimbi delle elementari!»

A2. Pensavo fosse un'autostrada, il ricordo dei chilometri che ci separeranno. Io e Marco siamo sempre stati legati da un elastico che si poteva tirare. Era una fune ad alta flessibilità, resistente a qualsiasi urto e maltrattamento. Ma se l'aggiunta di altri chilometri riuscisse a tranciarla?

«Vedi, mi sono pure giocato l'unico cartoncino rosso per darti la notizia. Non hai niente da dire?»

Spezza il foglietto stropicciato. Sono rimasta in silenzio, mi sono imposta di sorridere, ma le mie labbra inarcate sembrano il ghigno di una paresi dentaria applicata storta.

Binomio - 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora