𝐗𝐗𝐈𝐗

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Potete andare sulla playlist Spotify dedicata alla storia (link in bio) per ascoltare la canzone dedicata al capitolo  - la canzone è "Goodbye" di Apparat

⚠️Vi consiglio di sentire la canzone dal punto indicato e anche di leggere lo spazio autrice a fine capitolo⚠️

Scorpius guarda intensamente l'uomo davanti a sé, non riuscendo a comprendere cosa voglia intendere con un "ti conosco". È impossibile, lui sarebbe nato molti anni dopo. Adesso sono all'origine di ogni cosa, e a quanto pare anche all'origine di tutto ciò che noi conosciamo.
L'adulto si avvicina di un passo al ragazzo e si volta verso i presenti: «Andate via immediatamente, devo scambiare con lui un paio di parole».
La voce è così severa e dura che non si permettono a contraddire ed escono da quella stanza anche se con curiosità.
Si chiedono cosa volesse dirgli di così tanto importante e lo interrogheranno non appena li avrà richiamati. Devono sapere, meritano di sapere.
«Non pensavo che ti avrei mai conosciuto.»
«Non volevi farlo, infatti.»
«Non volevo perché a quanto pare sapevo chi fossi» prende un grosso respiro e assottiglia gli occhi «E penso che entrambi non sappiamo tutte le verità. Non sai nient'altro di me, vero?»
Scorpius scuote la testa, poi riprende a parlare: «Voglio sapere come fai a conoscermi».
Lucius portò le mani dietro la schiena e iniziò il suo racconto.

➡️"Goodbye", Apparat

17 novembre 2006

Adelaide si era svegliata presto, aveva udito il figlio neonato piangere dalla sua culletta per la fame.
Si alzò in fretta e accorse a sfamarlo: «Ah, diventerai sempre più paffuto così!»
Sorrise nell'ammira le sue guance piene e candide, poi le sue mani stringere i suoi seni mentre veniva allattato.
Ormai Alabaster aveva poco più di un mese, era ancora minuscolo, e la madre era ogni giorno più felice di averlo con sé. Non poteva offrirgli molto, ma di certo il suo grande amore. Era una donna stanca, faceva tutto da sola, però non si lamentava di questo proprio perché era troppo contenta di essere con il figlio, di non essere più sola. Finalmente aveva qualcuno nella sua vita.
Eppure sentiva che qualcosa non andasse nell'ultimo periodo.
Era riuscita a rintracciare il mago di cui aveva sentito parlare nei libri, capace di giocare e gestire il tempo, e lui le aveva detto che aveva sentito qualcosa cambiare nell'aria.
Non sapevano cosa, ma lei aveva un brutto presentimento.
Per ora, però, si concentrava solo su Alabaster, su null'altro.

Il bambino finì di mangiare e si appisolò tra le sue braccia.
Adelaide si sedette sulla propria poltrona e ammirò il cielo grigio e nuvoloso, stava arrivando la pioggia.
Le prime gocce sfiorarono la finestra, diventarono numerose e iniziarono a battere con forza contro il vetro. Prese la bacchetta e accese il fuoco del camino, sperando che il piccolo potesse riscaldarsi.
«Dovremo cercare un'altra sistemazione adesso» pensò, accarezzando la sua testa minuscola.
Chiuse gli occhi e sospirò, cercando di seguire il suono della pioggia e rilassarsi.
Passò così tutta la mattina, senza voler fare altro. La sua stanchezza e il parto l'avevano resa debole, soprattutto perché aveva dovuto dare alla luce quel bambino da sola. Aveva poche energie ma stava bene.
La giornata continuò ancora con quella pioggia insistente, il cielo grigio iniziò a diventare man mano sempre più buio.
E non solo d'incupiva il cielo, ma anche l'atmosfera.
Si sentì strana non appena la sera bussò alla porta, non sapeva spiegarselo.
L'istinto materno non mente mai, si sa, e quello che provava non era solo una fantasia, una supposizione data dalla preoccupazione.
Udì dei passi lenti fuori la porta, riusciva a riconoscerli nonostante il costante crepitio delle gocce d'acqua contro il suolo e il tetto.
Le foglie schiacciate lentamente e con la paura di far rumore, ma non fece in tempo a mettersi in guarda che la porta in legno della sua umile casa fu aperta.

PARALLEL || They deserve betterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora