Capitolo XXVI

335 16 6
                                    

Non credeva di avere altre lacrime in corpo da poter versare.

Pensava di averle già esaurite tutte di fronte al suo disprezzo, mentre invece non aveva smesso più di piangere dal momento che si era rintanata all'interno di quel bagno dove lui l’aveva mandata.

Andrè non era più il suo angelo caduto giù dal cielo, ma il carnefice che le avrebbe fatto pagare a caro prezzo ogni istante che d'ora in avanti avrebbero condiviso insieme.

Perché per colpa sua era cambiato e nonostante gli avesse aperto il cuore sui propri sentimenti, aveva smesso di fidarsi di lei, finendo per costruirsi una corazza intorno che adesso difficilmente le avrebbe più permesso di scalfire.

Ma lo amava e si sarebbe accorto presto che pur impegnandosi con tutte le sue forze, solo a darle il peggio di sé stesso, non sarebbe mai riuscito a farla rassegnare.

Si avviò al catino stringendosi alla brocca piena d’acqua che versò copiosa nel lavabo, raccogliendola tra le sue mani e intanto osservando il suo riflesso in quello specchio limpido e pulito, e con amarezza rammentando il modo in cui l’aveva definita: sporca come le menzogne che le aveva raccontato e come la sua coscienza per averlo tradito a dispetto del fratello.

E stupidamente, provandone anche un po’ di invidia perché adesso, pur volendo, non sarebbe più riuscita a rilavarsela di nuovo.

Lei non sarebbe stata più così pulita e come l'acqua che vedeva scivolarle tra le dita, non sarebbe più potuta ritornare indietro sui propri passi.

Nello specchio sulla parete in cui si guardò subito dopo, notò anche le tracce di quell’amplesso che lui le aveva strappato quasi con la forza: che come colla appiccicosa imbrattavano ancora la sua guancia e un lato della bocca, eppure come prima, non provandone disgusto, bensì interpretandole come la prova che avesse bevuto la sua essenza più intima e profonda: come l'impronta del piacere che lei gli aveva offerto e di un ricordo ora stampato sulla propria pelle.

Il ricordo di una sua prima volta che invece di sconvolgerla come si aspettava, le era piaciuta così tanto da essere già pronta a ripeterla di nuovo, avendole dato modo di viverlo e di respirarlo, e di assaggiare la sua vera linfa facendo suo anche il suo sapore.

Il suo sapore: che poteva gustare ancora in bocca, sulla lingua e contro il palato, caldo e un po’ salato, come l’odore della sua pelle che si sentiva ugualmente addosso, maschile e inebriante come il sentore del peccato da cui s’era lasciata corrompere quel giorno.

Era folle?

Sì, era impazzita e già dal momento in cui le loro strade si erano incrociate.

Nell'attimo stesso in cui l'aveva visto la prima volta, incrotrandone lo sguardo e quelle sue iridi di ghiaccio che l’avevano trafitta come due lame.

E altro che cappio al collo!

Se lo massaggiò ripensando alle parole del fratello, poiché gli aveva detto di non averlo quando invece ne avvertiva distintamente il peso addosso.

Ma tutto sommato, contenta di portarlo, perché fin quando lui glielo avrebbe stretto in gola pure soltanto per capriccio, sarebbe significato potergli stare ancora accanto e di non averlo perso definitivamente.

Quando ne riuscì linda e lustra almeno nell'aspetto, fu scortata di nuovo nel salone dove era stata accolta inizialmente, ma stavolta, respirando un’aria tesa fin quando sua madre non si decise finalmente a farsi viva: seduta sul divano e relegata a un silenzio atroce mentre lui se ne restò affacciato di fronte ad una delle finestre, a guardare fuori per tutto il tempo.

In seguito l'incontro con sua madre fu invece, una vera rivelazione, poiché ciò che le disse fu non meno sconvolgente dall'avere avuto a che fare con i suoi due figli quel pomeriggio, dato che le si offrì non soltanto come insegnante per le sue doti canore ma addirittura da tutrice, finendo per invitarla a vivere con loro in quel castello immenso, per poterle garantire un'istruzione degna di nota.

ɪʟ ᴍᴏsᴛʀᴏ ᴅᴇɪ ᴍɪᴇɪ sᴏɢɴɪ ~ 𝐼𝑙 𝐶𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora