Capitolo XLVI

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“E’ stato il duca a farti questo?”

“Già, ma ti assicuro che anche la sua faccia non è ridotta meglio!”

“Hai avuto un bel coraggio a sfidarlo. Potrebbe vendicarsi!”

“Non ho paura di lui e ha avuto quello che si meritava!”

Dopo la scazzottata nel bosco, Michel era andato dalla figlia del fornaio. 

A causa del temporale, la festa dell’Assunta era finita prima del previsto e lui se ne era approfittato per andare da lei volendone sapere di più su quel figlio di puttana. 

Era il suo padrone in fondo, e chi meglio di lei poteva conoscerlo come si deve!

Convinto infatti, che nascondesse qualcosa di ancora più inquietante sotto la superficie e inoltre, non sentendosi affatto tranquillo, all’idea che Donna si trovasse proprio con lui in quel preciso istante. 

Così l’aveva chiamata lanciandole dei sassolini contro la finestra della sua stanza situata proprio al di sopra della panetteria del padre.

Panetteria che s’affacciava in una piccola viuzza stretta e fatiscente, così come lo era anche tutto il resto della facciata della loro casa.

Una cosa che aveva già fatto tante altre volte, e in effetti, vedendola sgusciare fuori dall’ingresso solo due secondi dopo senza che lui dovesse aspettare più di tanto.

E per andare nel granaio che si trovava proprio di fianco alla loro bottega, a dispetto di suo padre che dormiva come un ghiro nel suo letto e che come sempre, non si era accorto proprio di niente.

Ma a differenza delle altre volte, trovandosi sottoposto alle sue cure innanzitutto, per quelle ferite lasciate dalla rissa con il duca e con le quali, ovviamente, l’aveva sorpresa non appena gliele aveva scorte in faccia.

Il labbro rotto e quel naso incrostato di sangue che gli faceva ancora un male cane, porca puttana! 

“Parlami del duca!” Però le chiese nel frattempo.

“E cosa vuoi sapere con esattezza?”

“Ci sei mai stata insieme?”

“Ma che domande mi fai? Non sono una poco di buono sai?”

“Scusa se non ti credo!” Alzò il suo sopracciglio: “Ma per come mi sei saltata addosso fin dapprincipio, dubito fortemente che tu non sia caduta in tentazione anche con uno dei tuoi padroni? Sono due bocconcini prelibati… in fondo, e a te piace troppo il sesso per rinunciarvi!”

“Cosa vuoi che ti dica? Non sono il mio tipo!”

“Non sono il tuo tipo? Mi stai prendendo per il culo?”

“Non ti sto mentendo. E' vero, mi piace fare sesso e questo è un male?” Esclamò a quel punto: “Lavoro tutto il giorno alla bottega e mio padre è un tiranno che mi sta facendo sprecare gli anni più belli della mia vita in questo modo. Ma sono giovane, sono bella e me ne approfitto quando mi si presenta l'occasione! Ma i miei padroni...!” Scosse la testa: “No, io quelli non li guardo neppure da lontano e non andrei con loro neppure se mi pagassero oro!” 

“E perché mai? Sono ricchi, sono attraenti. E non sono forse il sogno di una qualsiasi ragazza della tua età?”

“Un incubo vorrai dire!”

"Un incubo?" Le fece eco.

Ma lei distolse il viso e strinse le sue mani a pugni quasi a farsele sbiancare.

Sembrò turbata ed il silenzio scese di colpo tra di loro immobilizzando anche l'aria che stavano respirando.

I suoi occhi le si calarono in grembo incapaci di incontrarlo e uno stuolo di domande si formarono nella sua testa esigendo che presto gli rispondesse.

ɪʟ ᴍᴏsᴛʀᴏ ᴅᴇɪ ᴍɪᴇɪ sᴏɢɴɪ ~ 𝐼𝑙 𝐶𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora