Era uno di quei pomeriggi in cui non si ha voglia di niente se non di stare sdraiata a letto, con le gambe distese al muro e la schiena sul letto poggiata verticalmente, con la testa cadente che dondola giù dal bordo del materasso; the great gig in the sky che, come un lieve sussurro, si intonava perfettamente con il mio senso di pigrizia impedendo a me stessa di far qualsiasi cosa, tranne che di restare lì ferma, smorta, rilassata.
Mio fratello Matt era di sotto, per una volta non disturbava la mia quiete accavallando ciò che stavo ascoltando con altrettanti suoni, assordanti e privi di musicalità, che lui chiamava musica; non sono mai riuscita a capire come facesse ad ascoltare quel fracasso che per altro, a causa di un solo muro che pareva esser fatto di cartone tanto fosse sottile a separare le nostre camere, spesso mi costringeva a indossare le cuffie, cosa che odio - non può esserci confronto con la musica che fluisce libera dalle casse dello stereo ad alto volume e invade e pervade la stanza, e un paio di cuffie.
Qualche ora dopo, nonostante la mia grande inettitudine alla vita quella giornata, fui costretta a scender di sotto per via della cena servita in tavola: in casa mia bisognava precipitarsi quando la mamma annunciava la cena, perché detestava quando, pronta e servita su piatto, restasse a freddarsi. Fortunatamente quella sera mamma aveva preparato il suo delizioso pollo in crosta, nessuno lo faceva tanto buono come lei: le cosce rosolate e croccanti che scricchiolano a ogni morso; il suo segreto era mettere della mollica sopra prima che questo si cuocesse, in modo che dentro al forno, assieme ai rametti di rosmarino e aromi, si solidificassero creando una patina croccante fuori, ma che permette di lasciarlo tenerissimo dentro; il tutto accompagnato da ottime patate impregnate di burro, da contorno.
– Com'è andata la partita, tesorino? – Matt non sopportava più di essere chiamato dalla mamma con nomignoli dolci ma lei non sembrava curarsene, dopo tutto, sosteneva ch'era solo per via di quel passaggio quasi obbligatorio che tutti prima o poi sono costretti a passare: l'adolescenza. Matt, infatti, era diventato più chiuso, ribelle, scontroso e si allontanava da tutto quello che rientrava nella sfera familiare.
– Non c'è male.
– Avete vinto?
– Sono riuscito a parare due tiri, il terzo no, così la partita si è conclusa in parità.
– Mi spiace tesoro, ma è comunque un ottimo risultato.
– Sì, bravo figliolo. – Intervenne mio padre, con ancora il boccone in bocca, incitato dallo sguardo di mia madre che voleva che incoraggiasse suo figlio.
A Matt però non importava che suo padre non lo riempisse di complimenti, è un ragazzo modesto. Secondo me, anche se non sono molto competente in materia in quanto mi disinteresso quasi completamente degli sport, Matt se la cavava piuttosto bene anche se spesso tornava con ematomi giganti qua e là sul suo corpo e una volta si era pure fratturato la caviglia.
Quella sera dovevo incontrarmi con Kimberly, secondo gli accordi presi all'uscita dalla scuola. L'idea non mi dispiaceva, avendo ancora quella voglia di non far nulla che mi stava appiccicata addosso da tutto il pomeriggio, vedere Kim era ciò che avrebbe tolto di mezzo quella sensazione.
Presi la mia felpa nera sottobraccio: – Mi vedo con Kim, massimo un'oretta e rientro – gridai, con un piede dentro casa e uno fuori l'uscio.
– Non è prudente stare in giro, specie di notte, di questi tempi.
– Ma mamma...
– No, niente discussioni. Fila in camera tua, adesso.Non ero mai stata una di quelle ragazze a cui viene proibito di uscire la sera infrasettimanale, anche durante il periodo scolastico, i miei erano abbastanza tolleranti nei miei confronti, l'unica regola era che rientrassi presto: "non è sabato, vedi di rincasare ad un'ora decente, domani hai scuola".
Quella sera fu diverso per ciò che avveniva nella nostra cittadina. Lo capivo. Ma non avevo voglia di starmene a casa.
Così mi avviai verso casa di Kim uscendo dalla finestra.Kimberly era la mia migliore amica, ci conoscevamo fin dai tempi della scuola elementare ed eravamo, per utilizzare un gergo giovanile, "culo e camicia". Lei era una ragazza allegra, socievole, spigliata e ... bellissima. Io quella timida, con poca autostima, che vorrebbe essere sempre invisibile.
Kimberly non era d'accordo con me, anzi mi riempiva sempre di "paroline dolci", per usare un eufemismo, quando lamentavo di non vedermi di bell'aspetto e non mancava di ricordarmi che le mie insicurezze fossero infondate, che in realtà è solo tutta una visione distorta che avevo solamente io di me stessa. Tuttavia, io continuavo a vedermi come una bottiglia di aranciata: la tipica forma arrotondata sopra, stretta al centro e larga sotto. Odiavo le mie gambe corte e piene, sarebbe stato bello essere alta con un paio di gambe slanciate come quelle delle modelle, come quelle di Kim. Lei sì che le ha belle, gliele avevo sempre invidiate e ogni volta che glielo facessi notare lei rispondeva che avrebbe voluto le mie curve.
Detestavo anche i miei nei sul viso: uno sulla guancia, uno sul naso, come fosse un piercing, l'ultimo alla fine della coda dell'occhio destro. Simboli di bellezza un corno!
Il cielo era blu oltremare, limpido e sereno. L'umidità, che aleggiava nell'aria, raggelava le ossa; non mi pentii di essermi portata la felpa.
Kim non abitava lontano da casa mia, anzi ci separavano solamente un paio di strade.
Lungo la strada, incontrai Marc, Leon e Fabien. Se solo Kim fosse stata già con me... Fabien è il suo tipo di ragazzo ideale; anzi per lei era già il suo ragazzo, anche se lui non ne era al corrente.
Fantasticava sempre su di lui e quando lo vedeva, le si illuminavano gli occhi come due stelle.Non avevo mai incrociato l'amore, anzi sembravamo essere due perfetti sconosciuti che non avevano nemmeno voglia di stringersi la mano.
Fabien mi guardò intensamente, con le pupille dilatate fisse su di me, incrociò il mio sguardo e non lo lasciò più andare, in attesa di qualcosa... poi, con un lieve imbarazzo, forse accortosi della mia espressione perplessa, si voltò rapidamente e con fare disinvolto si accarezzò il pizzetto sul mento, abbozzandomi un saluto con fare fermo e deciso, stringendomi la mano forte, come se non volesse più lasciarla andare. Marc e Lion, quasi fossi stata trasparente, continuarono a camminare e parlare tra di loro.. Quindi Fabien li raggiunse, si fermò a guardarmi e mi fece un sorrisino, poi con il classico gesto della mano portata in fronte, mi fece il saluto marines.
– Hel! – Kim mi venne incontro con i suoi capelli incantevoli che ondeggiavano all'aria. – Che te ne pare? Belli vero? Mia mamma oggi ha comprato il ferro per boccoli e ha voluto collaudarlo su di me, non li trovi bellissimi?
– Davvero carini.
– Tutto qua? La solita! Anche tu dovresti fare qualcosa ai tuoi capelli ogni tanto, anziché tenerli attaccati in una coda, dovresti lasciarli vaporosi all'aria e valorizzare quel meraviglioso color mogano che ti ritrovi. Smorzeresti un poco il pallore del tuo viso.
– Ma a me piace il colore della mia pelle, forse è una delle poche cose che apprezzo di me.
Kim alzò le braccia in segno di resa.
– So già che mi pentirò di quello che sto per dire, ma... ho visto Fabien e gli altri venendo qua.
– Davvero? Dove? Cosa stavano facendo?
– Non lo so, Kim.
– Avresti dovuto chiederglielo, così potevamo raggiungerli.
Stavo per risponderle quando ripensai al modo in cui mi aveva guardata Fabien. Era un bene che non fosse stata presente anche lei, se ne sarebbe accorta e ci sarebbe rimasta malissimo. La cosa per me non aveva alcuna importanza così decisi di non dirle quel particolare.
– Allora Hel, che facciamo stasera?Feci spallucce, non ero in vena di far niente. Camminammo fino al parco, illuminate dalla lunga fila di lampioni che si estendevano per tutto l'isolato tranne che per un breve punto, dove a far luce c'era il solo chiaro di luna, come piaceva a me, bianca, debole, che esaltava il pallore del mio viso ma, per fortuna, non l'espressione apatica che conservavo quella sera.
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Rovhtàri e la dimora delle ombre
FantasyHai mai sentito parlare di Incubi e Succubi? Abiette creature che si nutrono prevalentemente delle tue paure più intense, e per cibarsene, ti inducono a provarle in maniera feroce e spietata. L o r o sono i veri protagonisti di questa vicenda...