XXIII

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La vita scorreva, inesorabilmente e indipendentemente, dal volere di tutti quelli che sopperivano alla mancanza lasciata dalla bella Heloise.
La città sembrava essere ritornata alla quiete, poiché da un po’ non si sentiva più parlare di strane aggressioni e omicidi sanguinolenti.

Il comando della polizia aveva rallentato le ricerche, ma non aveva smesso di cercare il colpevole di quei crimini. Per l'ispettore Dupont, andare oltre il dovere civico era diventato un obbligo morale e una missione personale. Dopo aver perso due colleghi sotto i suoi occhi esperti, non poteva accettare che l'abile assassino fosse ancora impunito.

Tuttavia, nessuno aveva più indagato alla ricerca di qualcuno che corrispondesse alla descrizione fornita da Kimberly, poiché la ragazza stessa ne aveva completamente perso il ricordo.

In quella giornata da incubo, quando Kimberly aveva deciso di farsi avanti con la polizia raccontando tutto quello che sapeva per favorire le indagini, qualcuno si era presentato alla sua porta.
Senza che lei ne sapesse nulla, Maraud, pur sapendo che avrebbe messo a rischio la propria sicurezza e la propria fragilità, preferì andare a farle visita invece di nutrirsi come aveva fatto intendere ad Aeglos e soprattutto a Heloise.

Il suo intento era semplice: cancellare dalla sua memoria ogni ricordo di sé con abile rapidità. Inoltre, eliminò anche tutti quei disegni che rappresentavano la sua identità, che non mancarono di colpirlo per la maestria con cui erano stati dipinti. Questo lasciò la ragazza priva della forte voglia di cercarlo e fare giustizia. Ciò che Maraud non poteva prevedere, però, erano gli eventi successivi.

Fabien e Kimberly, accomunati dal dolore della perdita della cara amica, erano diventati più intimi, sebbene non nel modo in cui lei avrebbe sperato.
Quel tardo pomeriggio, camminando in maniera indefinita senza una reale destinazione, parlavano del più e del meno.

– In queste giornate uggiose, adoro stendermi sul letto e lasciarmi cullare dalle dolci note di Shubert, adoro le sue Sonate, la mia preferita è la numero dieci in do maggiore.
– La melodia del piano ti rilassa, eh? Eppure non ti facevo appassionato di musica classica – rispose Kim.
– Perché, a te non piace?
– Mi piace tutta la musica, se fatta bene. Però ho altre inclinazioni, a dire il vero… forse potremmo trovare un accordo con i Pink Floyd? – suggerì lei.
– Quindi sei più una rocker, eh?
– Con Heloise ascoltavamo anche i Ramones, che sono punk. Non penso di dover limitare i miei gusti solamente a un genere, la musica va apprezzata quando ti trasporta, ti strega. Il martellare della sezione ritmica - dei giri di basso come della batteria - è medicina per i miei timpani, ma soprattutto per il mio animo che si contrae come fosse un muscolo. – Kimberly si perse in una raffinata e prolissa spiegazione che Fabien non volle interrompere:

– Le chitarre elettriche mi fanno star bene, i loro suoni somigliano a stridori alternati a ruggiti, dipende da come si vogliono rendere attraverso le relative sfumature.
Tutto ciò, ovviamente, supportato dalla tecnica, dalla bravura e dall'anima dei musicisti che riescono a "sentire" profondamente l'atmosfera e le intenzioni di un brano.
Troppe  volte affidano la propria arte e il proprio talento, in rarissimi casi il proprio genio, a orecchie così troppo spesso indifferenti e pigre al vero ascolto, quello che arriva a rivelare l'ineffabile ma che ha un peso e una sostanza – spiegò Kim.

– Davvero un pensiero profondo. Sono pienamente d’accordo con te, mia bella Kimberly – e un leggero e contenuto rossore avvampò sulle guance di lei.
– Grazie – rispose  poi timidamente.

La loro piacevole passeggiata li portò dinanzi la vecchia cattedrale, ormai in disuso da anni poiché avrebbe avuto bisogno di un dispendioso restauro. Kim era sempre rimasta affascinata da quel luogo, soprattutto per il rosone posto sull’asse della navata principale.

La sua forma circolare e la gamma cromatica dei vetri intrisi di un arcobaleno di sfumature permettevano il passaggio dei raggi solari al suo interno, creando riflessi di luce spettacolari.
– Ti va di entrare? – chiese lei, sperando in una risposta affermativa.
– Se ti va…
Entrando, il rosone, aperto sul fronte della chiesa, era l’elemento decorativo più bello della struttura. I suoi motivi geometrici ispirati alla flora, variamente stilizzati, affascinarono anche Fabien, che rimase alcuni istanti ad ammirarlo.

All’interno si sollevava un grosso polverone a ogni loro passo, lo si notava proprio attraverso quei colorati raggi solari che debolmente filtravano dal rosone.  Ormai la giornata era quasi volta al termine, presto avrebbe regnato la sera.
– Dovremmo affrettarci, tra poco farà buio e, in questi tempi incerti, mia madre preferisce che rientri a casa prima che si faccia troppo tardi. Sta più serena.
– Certo, non ti preoccupare, diamo un’occhiata al rosone da vicino prima, ti va? Seguimi, prendiamo per le scale, – suggerì Fabien.

I due ragazzi salirono le scricchiolanti scale di legno che sembravano quasi sul punto di spezzarsi sotto il loro peso, ma resistettero.
La piccola mansarda si rivelò sterile e buia.
I due ragazzi si sedettero al centro della stanza, per ammirare meglio quel mosaico artistico incastonato alla parete.

Stavano per andarsene quando Kimberly vide un foglietto appallottolato per terra, lo raccolse spinta dalla curiosità  e iniziò a leggerlo.

Quella grafia…
… le era così familiare.

Cari mamma e papà, sono morta.
Non avrei mai pensato di pronunciare queste parole e attribuirle a me così presto; morta.
[…]
Quanto dolore vi farò patire.
Me ne andrò prima io, me ne sono già andata…
Sappiate che non ho avuto scelta, non lo avrei voluto, non sarei capace di farvi volontariamente tanto del male; non trovo le parole per esprimervi quanto ne sia addolorata, quanto vorrei che riusciste a perdonarmi, ma non vi sarà possibile tanto quanto non lo sarà per me perdonare me stessa per quello che sono diventata.
Non sono mai stata una figlia particolarmente ribelle e di grattacapi ve ne ho dati ben pochi, son sempre stata sincera con voi meno che adesso. Non posso spiegarvi la verità…cosa dovrei dirvi?
Sono un mostro.
[…]

Ecco la vostra brava figliola che si ritrova a dovervi rifilare una bugia.

…Ho già ucciso e le circostanze hanno fatto in modo che mi piacesse, come potrei raccontarvi ciò, come potrei farvelo accettare. Non è possibile…
Sto scrivendo tuttora piangendo, non potrò avere l’occasione per salutarvi, abbracciarvi un’ultima volta, sentire il buon profumo di Chanel addosso alla mamma e le braccia confortanti di papà cingersi attorno al mio corpo. E cosa che mi fa ancore più male è abbandonare Matt. Il mio piccolo, odioso, Matt.
[…]

Lacrime, lacrime amare, rigano il mio volto.
È una tortura atroce.
Mi sento morire per la seconda volta e sicuramente questa morte interiore è molto peggiore.
L’Heloise che ricordate non c’è più, sono viva, in un certo senso esisto ancora, ma non esiste più la bambina che avete cresciuto, quello che ero. Adesso per voi, credermi morta, è la cosa migliore, mi vergogno di ciò che mi è accaduto e sono felice, seppur questo sia un pensiero del tutto egoista, che mi ricorderete come un angelo, che non sono e non sarò mai più e non lo merito, ma lo meritate voi.
Mi mancherete, mi mancherete così tanto.
…Questo dolore però è così reale.
Soffrirete a causa mia, vi recherò un dolore che non mi sarà mai perdonato. Ma non è il perdono quello che cerco, tanto all’inferno ci sono già; quanto lo squarcio che resterà in me per avervi tradito, delusi.
Ho deluso anche Kim, tantissimo. Adesso capisco tutti quei miei mutamenti, son diventata ciò che non volevo essere, indotta e allo stesso tempo volendo, ho cambiato me stessa allontanandomi da lei. Ho fatto soffrire anche lei. Kim, amica mia, io non volevo, scusami.
Vi amo con tutta me stessa, giuro, lo farò per sempre. E veglierò sempre su di voi, anche se non lo saprete, sempre.

Addio.
Vi voglio bene.
Heloise Blanc

Cosa avevano appena letto i suoi occhi? Non poteva essere vero.
“E ho deluso anche Kim… ho fatto soffrire anche lei. Io non volevo, scusami”. Quelle parole rimbombavano nella sua testa, non percependone nessun’altra, neppure quelle di Fabien che ostinatamente la chiamavano. Scoppiò in un tremendo pianto e, dopo aver passato quella lettera a Fabien, scappò via.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora