VI - Seconda parte

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Gli occhi gonfi, lucidi e rossi di chi aveva passato tutta la giornata a piangere e dormire.
Si vedeva, non era nella sua forma migliore.
Kimberly che al suo aspetto esteriore contava tantissimo, curandone ogni minimo dettaglio, impiegando anche dalle due alle cinque ore se necessario, per rendersi impeccabile o perlomeno perfetta ai suoi occhi.
Quel giorno non aveva voglia di perdersi in certe cerimonie, chiusa da tutta la mattina in camera sua, stringendosi al cuscino, piangendo sdraiata sul suo letto principesco.

Saltò anche il pranzo, nonostante sua mamma cercando di prenderla per la gola, preparò il suo piatto preferito: la sua specialissima quiche di uova, pancetta e brie. Dopo tutto, non c'era da stupirsi se quel giorno non avesse mangiato nulla, era una giornata particolarmente dura per la sua piccola bambina, ma doveva fare comunque un tentativo, una madre cerca di fare tutto il possibile per far star meglio il proprio figlio.

Coi capelli raccolti in un disordinato chignon, un largo pigiama e il suo plaid rosa avvolto attorno, finalmente si alzò e percorse il corridoio; sua mamma non fece in tempo a raggiungerla, che si chiuse la porta dello stanzino alle spalle, chiudendola a chiave.

Il modo migliore per esternare quello che aveva dentro era sicuramente quello di prendere i pennelli e disegnare, ma quel giorno era riluttante nel farlo, avendo paura che la sua mente potesse produrre di nuovo quelle immagini orribili, non avrebbe avuto la forza per sostenerle, se la sua mente avesse preso di nuovo il sopravvento e fosse caduta di nuovo in quello stato di completo abbandono fino al compimento del suo operato con un altro apocalittico dipinto riguardante chissà quale omicidio, non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe potuto fermare le sue lacrime.

Sentendosi però completamente cosciente di sé in quel momento, decise di tentare.
Acceso lo stereo partì Petrucciani.
Intinse i pennelli nei colori e iniziò a dipingere.
Ogni pennellata era un'emozione che usciva fuori depositandosi sulla tela, legata a quel difficile, e non abbastanza lontano, giorno di cui ne ricorreva memoria.

Road to midnight intonava in quella stanza mentre Kimberly lasciava fluire i suoi sentimenti e i colori del tramonto prendevano posto sulla tela.

Un prato di girasoli prese forma, ma Kim non usò il bel giallo vivo caratteristico di questi, bensì un giallo smorto e i fiori, in quanto il sole calante, stavano col capo chino e i petali racchiusi in sé stessi: i due più grandi disegnati volutamente in evidenza rispetto gli altri, erano rivolti l'uno verso l'altro, vicini, quasi si abbandonassero tra loro in un abbraccio.

Se non è poesia questa... seppur senza utilizzo di alcuna parola.

Kimberly aveva reso perfettamente idea di come si sentisse. Ben sette anni prima, l'era venuto a mancare il padre. Era un noto ufficiale della marina e quel lontano 4 novembre, come spesso accadeva, era imbarcato e lontano dalla sua famiglia. Fu una giornata di pioggia intensa che si mutò in tempesta col calar del sole, divenendo sempre più violenta a causa dell'incessante e fortissimo vento che nebulizzava la sommità delle coste e la visibilità diventava così nulla; anche le enormi onde che si vennero a formare contribuirono a ridurre la visibilità, l'alta scogliera non fu avvistata in tempo, lo schianto fu drastico, e i soccorsi furono vani.

Il mare burrascoso era interrottamente ricoperto da banchi di schiuma; si stimò che fu un mare molto grosso quella notte, di forza dieci. Il tratto percorso era quello della Manica, la nave stava andando lì per attraccare, ma prima che ci riuscisse, il mare inghiottì diverse vite, tra cui quella del signor Barbier, padre di Kim, il cui corpo non fu mai ritrovato, disperso, inghiottito, risucchiato, dalle profondità degli abissi.

Kim era una bambina quando quella tragedia colpì la famiglia.

Era così legata al proprio padre e da allora viveva segretamente in una soffocante tristezza che ogni anno, in quel 4 novembre, si faceva insistente e insopportabile e, come conseguenza, riemergeva tutto ciò che lei teneva racchiuso e soffocato dentro sé stessa.

Mite ora il suo cuore palpita sopravvivendo appena e non va oltre il debole respiro di una vita fragile che implora pietà, felicità.

Kimberly aveva perso suo padre, l'uomo che amorevolmente l'aveva cresciuta. Non le era stata data l'opportunità di salutarlo, solo un lungo ed eterno addio forzato; mai voluto, mai espresso.

Anni passati nella speranza che almeno il corpo fosse ritrovato, rifugiato dal mare in qualche costa nel mondo. Vana speranza.

Il signor Barbier era un uomo diviso a metà. I ricordi legati alla famiglia erano quasi tutti piacevoli: un padre affettuoso che viziava con innumerevoli e costosi regali la figlia, sperando di compensare così tutta la sua assenza per via del lavoro. Ma Kim ne ricordava anche le giornate cupe, dove si mostrava triste e arrabbiato e alzava la voce con la sua mamma. Una sera, ricordava, mentre la sapevano a dormire nella sua stanza da un bel pezzo, sentì un gran frastuono, come vetro frantumarsi per terra e sua madre piangere implorava che si calmasse: "Smettila ti prego, sveglierai la bambina". Di urla e rumori ne sentiva tanti, ma al sorgere del sole, ritrovava i suoi amorevoli genitori di nuovo felici che la riempivano d'amore.

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- Kim tesoro, c'è Heloise al telefono.

- Kim come stai? - un lungo silenzio seguì alla mia domanda: - Posso venire da te se ti fa stare meglio, se tu vuoi, dillo e sono subito da te.

Seguirono dei singhiozzi e poi le lacrime.

- Hel no, non venire. Non c'è nulla che tu possa fare al momento.

- Sicura? Nemmeno starmene lì seduta accanto a te per passarti i fazzoletti?

- Sì, sicura. Domani dovrei tornare a scuola.

- Ci vediamo domani, se cambi idea, chiamami.

Chiuse il telefono.

Fui sollevata nel sapere che si era ripresa dalla malattia, dato che mi disse che sarebbe tornata a scuola l'indomani, ma sentirla così triste mi riempiva il cuore di amarezza, specie perché non potevo fare nulla per aiutarla, in questi casi, non esiste niente che si possa dire per tirar su il morale. Così, inutile, avrei voluto fare e aver la capacità di fare qualsiasi cosa. Mi resi conto che l'unica cosa giusta fosse quella di lasciarle un po' di tempo per sé.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora