XXXIV - Terza Parte

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                                            ☽𓆩♛𓆪☾

La tormentata serata era giunta al suo termine, dopo aver subito le ripetute infiltrazioni corporali del Sommo, che mi avevano fatto desiderare finanche la mia fulminea morte pur di porre fine a quello straziante rapporto sessuale indesiderato, finalmente, sdraiata sul letto, piangevo nelle mie vesti umane che esponevano i lividi spuntatimi per via delle brutali percosse sulle mie carni delicate; i graffi subiti per il piacere sadico di un demone che si divertiva a penetrarmi con irruenza godendo di quel lussurioso atto e, contestualmente, dell’ agonia provata per via di tutte le sue gesta violente.

Indolenzita, mi sentivo profanata della mia essenza e lercia, restavo con sguardo fisso a mirare il soffitto che mi ricordava la solitudine in un mondo a cui non volevo prender parte. Se questo avrebbe dovuto essere il mio modus vivendi, tanto valeva sopperire all’istante.
Giorno e notte si distinguono solo dai ritmi  delle azioni degli abitanti di quel regno.  Lo scorrere delle ore batte solo un tempo: lento.

Lotto per abbattere quel pensiero fisso e non riesco, perché sono allo strenuo delle forze. Non sono sicura di poter fronteggiare una sola notte in più, resto a soffocare il dolore nei singhiozzi.  Ho più speranza che la felicità filtri ancora nelle mie vene? O mi appiglio all’augurio di restare completamente vuota da ogni ricordo e ritrovare la pace?
Un'imperiale tristezza mi mette in ginocchio.
Fa male spegnere il sorriso, chiudere gli occhi e serrare le labbra.
Sporca, sudicia… nessuna spugna potrà mai lavare via questo dolore. 

Da un infervorante atto passato tra le braccia di Aeglos, questo, violento e abusante, era la mia personale punizione.

Sentii schiudersi la porta, sarei voluta restare sola con la mia vergogna e con le mie lacrime che bruciavano come carboni ardenti, scivolando sommessamente dai miei occhi privi di ogni barlume di vita. 
Era la mia ancella, che attese dalla sua sovrana il permesso di entrare. 
– Magoa, oh Magoa, ti prego, siedi accanto a me. 
Quella, impacciata, mi sedette accanto, in punta al letto, come se le sembrasse inappropriato poggiare il suo corpo nello stesso letto in cui stava sdraiato quello regale della sua padrona. 

– Ho bisogno di un altro bagno, Magoa, ti prego, potresti prepararmelo? 
Silenziosamente, si mise subito all’opera e non appena concluse, con delicatezza rientrò nella camera e mi suggerì di approfittare del tepore delle acque, per riscaldare le mie spoglie. 
– Magoa, posso parlare con te? Confidarmi come un’amica? Posso fidarmi e contare sul fatto che non una sola parola sarà mai riferita a nessun altro?
– Mia Signora, sono qui a sua disposizione e ogni sua richiesta sarà sempre accolta da me con obbedienza.
– Non voglio che tu mi obbedisca, non voglio che tu sia mia schiava, voglio che tu sia mia amica, non ho intenzione di trattarti come una serva.
Gli occhi della piccola succube si meravigliarono di tanta dolcezza. Nessuno, prima di allora, aveva mai parlato con lei come un suo pari, nessuno mai l’aveva fatta sentire diversamente da quello che era: una schiava.

– Perché sono qua? Tu di certo saprai perché son stata strappata alla mia vita e condotta in questo mondo tremendo. 
– Io non potrei… – rimase impietrita a quella domanda tanto da sbiancare nel volto.
– Ti prego Magoa – nuove lacrime discesero il mio viso – ho bisogno che qualcuno mi dica qualcosa, non posso vivere un’esistenza tanto vile senza neppure sapere il perché… te ne prego. 
– Mia Signora, se ve lo dicessi, e il Sommo lo venisse a sapere, io… 
– Non voglio metterti in pericolo, se non puoi parlare, non ti forzerò, ma almeno potresti asserire o negare con un solo gesto della tua testa alle mie domande? Se sono io che deduco le cose, tu non ne avrai alcuna colpa. Ci stai? 
– Sì, mia Signora, chieda pure. 

–So più cose di quello che ci si aspetti. Ad esempio, so di essere stata strappata a un altro regno che avrei dovuto governare, è vero? – la succube fu colta da un’espressione di stupore, poi fece di sì col capo. – E sono stata portata qui, invece, per impedire il compiersi del mio dovere, ovvero sigillarvi nuovamente tutti a Kalennorath come prigionieri – ancora una volta quella reclinò il capo, annuendo.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora