XXXIII

62 17 104
                                    

☽𓆩♛𓆪☾

- Tu, dannato! Hai profanato la tua Regina. Che punizione ti meriti? Ti lascerei a marcire qui dentro saziandoti solo dei tuoi rimpianti. Ma sarebbe troppo gentile da parte mia.

Aeglos giaceva per terra su un suolo reso sporco, fetido e umido dal piscio delle vittime che vi erano state prima di lui, momentaneamente spostate per lasciarlo in isolamento.

- Sarebbe impari lasciarti qui, come il cane rognoso che sei, a poltrire chiuso in una cella. Trovo più adeguato lasciarti subire la stessa sofferenza che hai imposto alla mia Lilith. - Ci pensò un momento: - Ma sì, ti manderò il Popobawa, riceverai la stessa sorte, ogni giorno della tua miserabile esistenza!

A quell'affermazione Aeglos mutò in viso, inorridito dalla sorte che gli sarebbe capitata. Avrebbe voluto morire subito, togliendosi la vita egli stesso se avesse potuto.
Il Popobawa è un essere disgustoso capace di usare il suo corpo liquido per allungarsi e deformarsi generando lunghi filamenti e potenti tentacoli. Possiede una bocca irta di denti affilati e un ampio occhio viscoso, dalla pupilla dilatata a dismisura, velata da una patina opaca giallastra che lo rende ripugnante; inoltre è dotato di un pene enorme, cosa che peraltro non è elemento di poco conto poiché esso è consono immobilizzare una vittima, spingendone il volto contro il pavimento... e sodomizzarla per un'ora e più. Il raggiungimento del suo appagamento non è egualmente piacevole per la sua vittima che ne viene stuprata e violentata con modi orribili e dolorosi, causati dal suo membro di dimensioni enormi irto di aculei acuminati e dai molteplici tentacoli che avrebbero abusato contemporaneamente di ogni apertura della sua vittima. La sua mente sarebbe stata brutalmente resa sempre meno lucida, fino a che, sprofondando nel dolore e nel terrore di quella creatura, di lui non ne sarebbe rimasto altro che un folle inetto.

Congedandosi con una maligna risata, tipica di un essere spregevole, il Sommo lasciò il suo prigioniero nell'obliante terrore della sua sorte, con lo spavento costante di non sapere quando il Popobawa sarebbe giunto per compiere le sue immonde intenzioni.

☽𓆩♛𓆪☾

Pronta, bellissima nelle mie sontuose vesti, priva di qualsiasi gioiello ornamentale fatta eccezione per qualche fermaglio sulla mia morbida treccia; poiché io stessa nel mio aspetto, ero un gioiello brillante che emanava luce propria raggiandola a tutti quelli che si trovavano a mirarmi. Accompagnata dalla mia minuta ancella e scortata da ulteriori due guardie, fui fatta rientrare nella sala del trono.

- Incantevole, la Vostra presenza abbaglia i miei occhi regali. Siete pronta?

Calai lo sguardo, asserendo.

- Guardami quando ti parlo e rispondimi quando ti porgo una domanda, donna!

Le sue espressioni regali erano così presto mutate al primo sussulto d'ira. Non volevo piegarmi alle sue condizioni, ma fui costretta a chinarmi ugualmente per via di quelle manette che portavo ai polsi come gioielli che, scaricando su di me una potentissima energia elettrica, mi costrinsero a una scelta: obbedire, o sopperire a quel dolore acuto.

- Sono pronta.

- Sono pronta, Mio Signore, questo devi dire quando ti rivolgi a me - un'altra scossa pervase il mio corpo e riluttante corressi la mia risposta: - Sono pronta, Mio Signore.

Venne verso me, mi afferrò il mento e volgendomi prima da un lato e poi dall'altro, esaminò il mio viso.

Mi porse la mano e l'afferrai e con quella sospesa a mezz'aria, sostenuta dalla sua raggrinzita presa, mi condusse fuori le mura di quel palazzo, sul vertice del terrazzo e affacciandoci vidi uno sconfinato esercito di mostri dalle fattezze più strane e inquietanti: a emergere comunque era la presenza degli Incubi e delle Succubi che occupavano tutte le prime file, quelli però erano bellissimi.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora