XXXVIII

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Avevamo messo in atto tutte le più note torture medievali conosciute e create di nuove  che solleticassero i nostri desideri bramosi di sangue e dolore, sotto gli occhi terrorizzati e schifati di chi era costretto ad assistervi.
La mia mente era svuotata, come se una coltre di fumo annebbiasse la mia lucidità.  Avvertivo, seppur lontana, la sensazione di qualcosa che si agitava dentro me sempre più vivacemente e che, col passare del tempo, perdeva la sua energia e scemava fino all'immobilità e la rassegnazione: la mia parte umana. 

Perduta, divertita da quell'euforica malignità che permaneva in quel regno subdolo e terrificante, volevo di più.
Pretendevo più potere, più violenza, più dolore.
La mia fame veniva saziata, ma il mio corpo aveva sempre più appetito.
C'era qualcosa che impediva di riempirmi a dovere e ciò mi rendeva solamente più sadica, più ingorda.  Il Sommo se la rideva, fornendomi tutte le vittime che volessi e accontentando ogni mio desiderio malevolo, dandomi tutti gli strumenti di tortura possibili.

Quando la mia isteria spaventò anche lui, disse:
– È ora che tu, mia diletta, impari a utilizzare a tuo piacimento il kotodama.

Quella frase riaccese, come una candela nell'oscurità, una forte sensazione di entusiamo che, però, s'intrise subito di ansia.
Quella piccolissima Heloise, rinchiusa nel fondo di me stessa, riprese ad agitarsi e io continuati a ignorarla.
– Insegnami.  –  Risposi, concitata.

Così andammo in una stanza fatta di solo cemento, muffa e oscurità. Piena di armi, manichini, recinti; doveva essere una stanza destinata all'allenamento e alla lotta.
– Hai già conosciuto l'immensità del tuo potere. L'hai usato per arrivare salva fin qua su tutte le bestie che ti ho mandato contro. Anche se alcune...  hanno agito di testa loro e sentivano il bisogno di ucciderti, contro il mio volere –  a queste parole soggiunsero alcuni minuti  di silenzio in cui il Sommo stava riflettendo su quanto  appena detto, probabilmente, non trovandovi una risposta.  –  Sapevo che metterti alla prova avrebbe risvegliato in te l'antico potere, ero curioso di come, da sola, lo avresti messo in atto.

–  Perché ho questo potere?

– Perché questo potere appartiene alle Rovhtàri e tu eri destinata a esserlo.  Eri destinata alla Corona, in un regno o nell'altro. La parola Regina è scritta su tutto il tuo corpo –  si avvicinò, annusando la mia pelle, dal collo alle spalle, lungo tutto il braccio che tenne eretto fin ad arrivare alla punta del mio dito medio che baciò con passione.
– Adesso sono la Vostra Regina. 
Non appena pronunciai queste parole, mi rigirò tra le sue braccia, esercitando un appassionato bacio. 
– Ma non sono la Rovhtàri.  Quindi come posso avere questo potere? – quello, meravigliatosi della domanda posta, che gli fece intendere che sapessi più di quanto lui avrebbe  voluto ch'io sapessi, mi rispose: – Lo avresti avuto comunque.  Perché proprio tu, mia bella sposa? Perché tu, tra tutte le terrestri, sei stata scelta?

Attimi di silenzio ribollivano in attesa di una risposta che tardava ormai da tempo ad arrivare.
Scoppiò in una echeggiante risata che riempì tutta la stanza.
– Non lo sai.
Prese nuovamente il mio braccio, la mia mano si aprì smorta verso di lui che, facendo affiorare i suoi affusolati artigli neri, punse lasciando sgorgare qualche goccia del mio sangue, che bramoso si portò alle labbra.
–  La risposta sta nel tuo sangue. Hai sangue elfico nelle tue vene.

Sangue elfico. Sangue elfico nelle mie vene.

Passammo ore in quella stanza, affinché io potessi esercitarmi a padroneggiare a dovere il kotodama. Sapevo che il suo non fosse un magnanimo gesto nei miei confronti e che volesse usarmi chissà par quale suo subdolo scopo, ma non m'importava, finché m'insegnava, avrei appresso tutto quello che potevo, poiché il potere era diventato per me un chiodo fisso appeso al mio interesse.
Mi resi ben presto conto che, con quello, ero in grado di plasmare qualsiasi cosa io volessi.
Potevo invocare, materializzare, trasmutare ogni cosa ma, dovevo conoscere la parlata antica e le conoscenze del Sommo erano fin troppo limitate, ciò restringeva il mio potere e mi innervosiva parecchio. Dovevo sapere, dovevo conoscere, volevo il potere su tutto, ma come?

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Salme svuotate dal loro liquido corporeo, poiché colato interamente sul suolo che ormai era raffermo di sangue, furono fatte trovare penzolanti nell’uscio della porta del palazzo. I cadaveri appartenenti alle vittime che il Sommo aveva fatto fuori finora, erano stati esposti come monito e come provocazione a coloro che giunsero guidati da Maraud. I loro cari dondolavano morti come emblema di ciò che, secondo quanto voleva comunicar loro lo spietato sovrano, sarebbe capitato a tutti quelli che stavano iniziandosi a quella battaglia. 

Compatti come un sol uomo, giunsero ai piedi di quel luogo che rappresentava tutta la loro prigionia. Sguardi di dolore, misti a rabbia, riempirono i volti di tutti gli Incubi e le Succubi che arrivarono mirando quegli impiccati. 

Maraud, dispiegando le sue ali nere, si innalzò e a gran voce disse: – Mio popolo, ci siamo. Davanti a me vedo donne, uomini, uniti nell’intento di eliminare colui il quale non merita di portare sul capo la corona, colui che non merita di governare un mondo che lui stesso ha creato per i suoi atti egoistici e malati, reprimendoci in una condanna eterna che ci fa da troppo tempo da cella.

Oggi, finalmente siamo assieme a fronteggiare il vero nemico, a liberare le nostre vite dalle manette invisibili che ci ha, per tutta la vita, legato ai polsi. Alle mie spalle, il nemico. Celato nei suoi lussuosi spazi che ci attende per eliminare noi, che ci siamo ribellati al suo potere, noi, che stiamo oltraggiando la sua persona con i nostri intenti. Non sarà facile.

Dispone di frecce al suo arco che noi nemmeno immaginiamo, creature capaci di eliminare con un solo sguardo centinaia di vite, un esercito composto da altrettanti Incubi ai quali ha manomesso le menti e che adesso son lì, nonostante tutto, a combattere e morire per lui. Ci aspetta la morte, molti di noi probabilmente non ce la faranno, ma anche da morti, noi avremo vinto, poiché avremo combattuto per noi stessi, per liberarci da Lui, portando via una parte del suo potere che è composto da noi!

Un Re senza popolo a cui dettare le sue leggi, su cui sfogare i suoi vizi, i suoi capricci, la sua ira, è un sovrano indebolito; un sovrano che non può più regnare poiché non ha nessuno che lo asseconda. C’è un motivo per cui io sono come sono, cresciuto come suo figlio, alla sua mercé; potrei essere lì dentro, al suo fianco contro di voi, ma sapete perché invece sto qui fuori?  Perché preferisco morire oggi, combattendo con i miei veri simili, con voi tutti, per essere finalmente me stesso dignitosamente, mostrare a me e a voi tutti chi sono, cosa valgo, che anch’io ho raziocinio e non sono un burattino plasmato dalla sua mente – e così dicendo si voltò puntando il dito indice verso il palazzo – non permettete a nessuno di determinare chi siete, cosa fare, cosa inseguire.

Credete in una cosa? Allora, per essa, combatterete!
Non è la riuscita dei fatti che ci deve spingere oggi, ma l’intento. 
Non sono qui per prendere il suo posto in uno scontro titanico, non mi credo meritevole di divenire il nuovo sovrano, mi dispiace non voglio essere questo, vorrei solo aiutarci tutti a disfarci dalla sua morsa. Non vi fate irreggimentare, mai più!

Avete un’anima, sepolta dentro di voi, la vostra parte umana, non fategliela sottrarre, non sopprimetela come vi è stato chiesto! Non siamo le bestie che vuole che noi crediamo di essere; non siamo come Lui, esseri senza cuore, demoni privi di emozioni, di intelletto e di passioni. Lo sapete, in fondo, e siete qui perché ne avete preso atto. Non sopprimete alla schiavitù, ma agognate la libertà!

Combattiamo tutti assieme per un mondo migliore, un mondo meritevole, vestigio di un nuovo inizio. Per noi, per i nostri cari morti causati dalle sue manie immotivate, per chi diverrà come noi. 
Dall’altra parte, oltre quelle mura, lui sobilla i suoi lacchè, per una causa che è solamente sua. Io vi dico di andare, per il bene di tutti noi!

Una sovrana ci attende, liberiamo ella dalla sua prigionia e rendiamola fautrice del nostro destino, poiché ella ha il potere di rompere il sigillo; a noi spetta dimostrare di esserne meritevoli.
Siete con me? Siete pronti? – Un boato si elevò dalla massa che, motivata dal discorso della loro guida e da sentimenti propri di speranza, stringeva i pugni, irrigidiva i muscoli ed era pronta all’assalto.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora