XXXIII - Parte II

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Di tutto ciò che le si poteva materializzare dinanzi gli occhi, nella vastità di un mondo sconosciuto pieno di tantissime creature, quella restava la più inaspettata. Lacrime caddero subito dai suoi occhi che piansero alla vista di quell'essere. Lo aveva aspettato, sognato, agognato tanto, ma adesso, così alla sprovvista, quel momento l'aveva immobilizzata.

- Papà.

Tutti conoscevano la storia sulla sventurata sorte del padre di Kimberly, scomparso via mare molti anni addietro. Nessuno poteva immaginare ch'egli poteva essere ancora vivo, ma in un altro mondo.

Si precipitò correndo verso di lui, non desiderando altro che risentire l'abbraccio di quelle possenti braccia che le avevano sempre dato calore, il buon odore paterno, l'affetto che sprigiona il corpo caldo di una persona amata. Lo aveva creduto morto, nonostante per anni aveva sperato in un suo ritorno, poiché mai era stata trovata la salma, mai era stato dichiarato il suo effettivo decesso. Era lì. Il suo dolce papà, era vivo.

L'amorevole abbraccio che si aspettava, fu invece sostituito da una brutale reazione. Quello l'afferrò dal collo e, con la freddezza di una macchina calcolatrice, la sollevò per aria. Kimberly divenne paonazza, per l'aria che subito le venne meno, soffocata da quell'impugnatura salda e per quel comportamento che la lasciò completamente attonita.

- Kimberly! - urlò Fabien precipitandosi incontro quella bestia.

Lo colpì, dritto allo sterno, con un pugno pieno di tutta la forza che aveva in corpo, ma quello servì solamente a far spostare il suo sguardo dalla sua presa, a lui, guardandolo come se fosse un moscerino insignificante. Servendosi del corpo della ragazza che penzolante era bloccata alla sua presa, lo scaraventò colpendolo con la sua amica che venne utilizzata come arma, lasciandola volare via a sua volta. I due ragazzi si trovarono diversi metri più avanti, storditi, l'uno sopra l'altro, come corpi morti sul suolo.

Kimberly riprese coscienza, sentendosi finalmente libera di rintrodurre aria alle sue condotte respiratorie, ma rimase a terra, scavando con le dita sul terreno tutta la sua frustrazione.

Cos'era peggio? Sapere che il suo papà fosse morto o degenerato in un mostro sanguinario che neppure la riconosceva?

La rabbia si impossessò di sé e le lacrime spingevano fuori tutta la sua tristezza. Traballante, si alzò in piedi e iniziò a urlare con voce singhiozzante: - Papà, papà, svegliati! Sono io il tuo muffin vanigliato, ti prego, guardami, ascolta la mia voce... torna in te!

Cercava di farlo rinvenire, di capire se dentro quel corpo mostruoso albergava ancora il suo animo; ma quelle parole non fecero alcuna differenza.

- Dormi amore, dormi bella, fai la nanna mia piccola stella, non avere più paura, ora papà ti culla con premura, niente al mondo può farti male, né la pioggia né un temporale... - cantò dolcemente, con voce sommessa, la ninna nanna che le recitava quando fuori c'era la tempesta che, con il forte rumore prodotto dai tuoni, non riusciva a farla dormire poiché ne aveva paura. I suoi occhi demoniaci tornarono per un piccolo istante con il naturale aspetto del suo papà, che contrattosi rimase lì, a fissarla.

- TI PREGO TORNA IN TE, torna da me, dal tuo piccolo muffin.

Quello sembrò sentire la sua voce, ma non fu abbastanza. L'essere che aveva preso il suo posto ormai era radicato in sé, non permettendogli di retrocedere alla forma umana. Lei, annebbiata dai suoi sentimenti, che volevano riconoscere in quell'Incubo nient'altro che la figura paterna che tanto aveva sognato di riavere con sé, non si accorse che lo sguardo di quello era tornato quello malvagio di prima e che quella bestia non avrebbe riconosciuto il grado di parentela e avrebbe sicuramente tentato nuovamente di ucciderla.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora