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«Atterrita da ciò che avevo dinnanzi, mi fermai e attesi, anche se sapevo che più avanti qualcosa aspettasse me per svelarsi.
Sentivo, non volendo, grida e tormento sussurrarsi al mio orecchio e il cuore tremarne. Avvertivo una presenza che non si rivelava, acquattata e speranzosa, ansiosa di agire e prepotentemente afferrare quello che tanto brama.
Tutto era confuso e fatiscente, eppure la paura reale.
Mi muovevo lentamente col passo di chi faceva del vino la sua acqua e dondolante traballa da un lato e l'altro di una strada non definita, una strada al quale mancava un margine, un delineamento, una destinazione.
Il silenzio, così irreale, inondò tutto come una tempesta improvvisa rendendomi fradicia e zuppa di quel sordo suono che incalzava sempre più la mia ansia, lasciandomi sola con la mia mente, unica amica con cui poter parlare in quell'istante.
Più tentavo di combatterlo, più mi faceva impazzire, ma quel luogo impreciso era infetto da qualcosa che valicava la paura, la esasperava fino a far desiderare la morte.

Ero ormai consapevole, non so dire chiaramente perché - come quando capita di sapere qualcosa inspiegabilmente e sai solamente che sta lì sopita in te da molto tempo - che questo, pur sperando che fosse un brutto sogno dal quale non potevo destarmi, era invece la realtà alla quale ero destinata ad andar incontro senza controllo alcuno.
I miei piedi continuavano a muoversi e spingermi avanti, anche se energicamente cercavo di arrestarli e, sentendo le gambe affaticate, pur sapendo che la scelta migliore sarebbe stata quella di fermarsi, tornare indietro a ritroso al punto di partenza; proseguivo: verso quello che tanto mi spaventava.

Finalmente qualcosa prese forma in quell'immenso nulla che era stato finora: gli alberi spogli e rinsecchiti, l'inferriata verde prima della piazza. Tutto sembrava più tetro per via dei colori scuri del buio di quella notte, dalla desolazione nelle strade, per via della tarda ora. Nulla, sedetti in una delle tante panchine presenti e aspettai. Passò del tempo e ancora non successe niente, così ripresi a camminare, ma la direzione che presi si scelse da sola, trovandomi così dinnanzi la fontana.

Trasalii.

Eretto nelle lastre opache della fontana un uomo ciondolava, anch'esso attaccato dai polsi, dalle barre centrali d'acciaio. Zuppo di sangue, che fluiva dalle braccia ricurve della fontana fino a liquefarsi tutt'intorno.

Poi la vidi, un'ascia conficcata sulla sua schiena. Una gigantesca, efferata mano incorporea vi si aggrovigliò, risucchiando vorticosamente quello che parea la sua anima.

Mi svegliai investita da conati di vomito ».

☽𓆩♛𓆪☾

La sensazione di acido pervase la mia bocca per tutta la mattina.
Dopo una dormita poco rinvigorente dovuta tanto al dipinto che Kim mi aveva mostrato a casa sua qualche ora prima, che a quell'incubo così nitido che aveva reso il mio sonno irrequieto.

A scuola fu una di quelle giornate in cui uno studente tiene a fatica eretta la propria testa e a bada la propria bocca, evitando che questa prendesse a sbadigliare continuamente. Ognuno degli studenti faceva sì con la testa ogni qualvolta venisse interrogato dallo sguardo del professore, poi ritornava ai propri pensieri e occupazioni. Annabel era intenta a imbiancare il suo banco con il resto delle unghie che ostentava a limarsi da più di mezz'ora, così come la sua amica, perfetto fedele segugio, faceva con lo smalto. Benjamin guardava disinteressato dalla finestra, mentre Stephan il pavimento. Io cercavo di non rivivere le immagini di un altro corpo morto distraendomi a guardare gli altri, poi vidi Kim, presissima a scrivere qualcosa con tale foga che pareva essere caduta in trance: non poteva trattarsi di appunti presi inerenti alla lezione di letteratura più noiosa della storia; fui così curiosa che cominciai nervosamente a controllare l'orologio, appeso alla parete, con molta insistenza, aspettando finalmente che giungesse  l'ora che segnava l'intervallo per chiederle di cosa si trattasse.

Rovhtàri e la dimora delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora