Capitolo Ventotto

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Pov. Leila

Il quattro maggio finalmente è arrivato.

Sembrava solo un lontano miraggio, ed invece eccolo qui. Da oggi finalmente si torna a vivere.

Tutto lentamente torna alla normalità, o quasi.

La gente si riversa timorosa per le strade, le mascherine a coprire i visi spaventati.

Molte attività tirano su le saracinesche, rimaste chiuse per troppo tempo.

I miei coetanei si ritrovano per strada, nei parchi. Ridono, scherzano, si abbracciano.

Sembra tutto così surreale.

Questi due mesi sono bastati a capovolgere il nostro concetto di normalità.

Fino a due mesi fa tutto questo era quotidianità. Uscire con gli amici, passeggiare, andare al lavoro.

Ora invece è diventato un gesto straordinario, un atto di coraggio - o di incoscienza - a seconda dei casi.

Mi guardo intorno, in attesa di vedere Omar arrivare.

La mia mano è quasi guarita, rimangono solo piccole cicatrici come ricordo del mio crollo emotivo.

Dopo quella mattina, i rapporti tra me ed Andrea sono stati pressoché minimi.

Lei ha preso le distanze da me, forse ferita dalle mie scelte.

Apro e chiudo la mano, cercando di dimenticare il modo dolce in cui l'ha curata.

Mi guardo nervosamente intorno, cercando la macchina di Omar.

Arriverà a breve.

Lo vedrò nuovamente dopo più di due settimane.

Ho la nausea alla sola idea.

Mi sento così a disagio mentre lo aspetto sotto casa, incapace di rimanere un solo attimo di più dentro quella casa.

Le persone camminano veloci davanti a me, tenendo le distanze. Io le guardo allontanarsi come fantasmi per le strade della città, provando ad immaginare quali demoni portino sulle loro spalle.

Quali traumi questa pandemia abbia scaturito in loro.

Quando riporto lo sguardo davanti a me, lo vedo.

Omar è seduto in macchina, mi sta guardando. Lo sguardo è serio, ma non appena incontra i miei occhi non riesce a trattenere un sorriso

 "Ehi" sussurro, la voce leggermente incrinata.

Difficile dire se sia dovuta dalla felicità di vederlo o dal fatto che io non vorrei essere qui, ma a casa mia con Lei.

Alzo la testa verso la nostra finestra, mi sembra di intravedere una figura dietro il vetro colpito dal sole.

Scuoto la testa

 "Ciao Leila" mi sorride lui, avvicinandosi a me.

Mi abbraccia forte, per poi baciarmi.

Quelle labbra che amavo alla follia, ora mi sembrano così estranee.

Non le riconosco più.

Mi stacco velocemente da quell'abbraccio soffocante, cercando di mascherare il disagio che mi provoca essere qui con lui

 "Come stai?" cerco di spostare l'attenzione dal mio gesto, con scarsi risultati.

Lui, infatti, sembra cogliere il mio disagio.

Stringe più forte il volante tra le mani, poi mette in moto l'auto

 "Bene" sembra quasi un ringhio "Tu come stai?"

L'Attimo EffimeroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora