È quasi sera. Così, dopo essere stata in bagno, raggiungo la cella per domire. "Mi vuoi dire chi cazzo è stato?" aspetto ad entrare in cella: sto origliando la conversazione tra Saray e Zulema; interessa anche a me questo argomento.
"Che palle Saray! Non è successo niente, sono stata chiara?"
"No Zulema, dimmelo."
"Fanculo gitana!" esce dalla cella, scontrandosi con me, che fino a un secondo fa ero impegnata ad ascoltare. "Ahh!" geme dal dolore. Ero intentata a chiedere scusa, quando il mio sguardo cade in basso: ha le stampelle. Ha le cazzo di stampelle! Senza darle il tempo di insultarmi, me ne vado. Indovina dove vado? Da Mercedes Carrillo, si.
Fischio per attirare la sua attenzione e appena si volta, sorrido, appoggiandomi allo stipite della cella della sua amica. Noto solo adesso, che è quasi spaventata, ma non lo da molto a notare... è diventata brava. Si alza dalla sedia, lasciando il gioco di carte. "Continuate. Io vado in cella." mi raggiunge e appena è abbastanza vicina, circondo il suo collo con il mio braccio. "Adesso ci facciamo un bel giretto." deglutisce, perdendosi con lo sguardo e appena arriviamo in lavanderia, la porto dietro alle lenzuola, che coprono la visuale delle telecamere. "Macarena, che cazzo vuoi?" scuoto la testa, mentre inarco le labbra. "Niente Mercedes." con mossa veloce afferro il ferro da stiro (la mia mossa speciale), che le sbatto sulla testa per farla svenire (non so nemmeno io come abbia fatto)."Buongiorno." ho in mano il famoso oggetto che Zulema usò per sciogliere Yolanda. Che figlia di puttana.
Rido.
"Scusa, è che non so trattenermi. Sai, i ricordi divertenti..." divento subito dopo seria, per mettere in atto il mio piano. "Macarena che cazzo fai?" si agita appena faccio uscire il vapore dal mio nuovo giocattolo. "Dimmi la verità." mi avvicino a lei, puntandole sul viso la mia arma preferita. "Sei stata tu a ridurre Zulema in quel modo, mh?" la guardo minacciosa dall'alto. Ti avrei già bruciata, se non fosse per il mio sadismo. "Non vuoi rispondere?" "No." annuisco e dopo aver preso uno straccio, glielo metto in bocca per non far sentire le sue urla: aziono il vapore, puntandolo sulla coscia destra. "Te lo richiedo un'ultima volta." le levo lo straccio dalla bocca, mentre continua a gemere dal dolore. "Mi metto a urlare se non mi lasci." "Fallo, tanto o in un modo o nell'altro morirai, qua, per mano mia."
Non so più chi sono, mi sto trasformando in una persona orribile e non va bene, perché finché non raggiungerò il mio obbiettivo, non mi fermerò. "Sei stata tu?" non vuole parlare; prendo il coltellino e glielo infilo sulla stessa coscia, che poco fa ho bruciato. "Cazzo!" sorrido, rimettendole lo straccio in bocca. "Dai, sta durando troppo. Ho sonno Carrillo." afferro la sedia alla mia destra, la metto davanti a Mercedes e poi mi ci siedo. "Vuoi parlare o no?" è impassibile, non mi da segno di niente. Le tiro un montante, che subito le fa gocciolare il sangue dal alto della bocca. "Sei stata tu." levo il coltello dalla coscia, il quale rimetto nella mia tasca e poi le levo lo straccio un'ultima volta. "Voglio sentirti soffrire." aziono il vapore, ma vengo fermata da Mercedes, che mi supplica di lasciarla andare. "Sono stata io. Ma per evitare la sua cazzo di fuga. Lasciami andare cazzo! Sei una fottuta psicopatica!" rido amaramente. "Volevi evitare la sua fuga?" chiedo alzando, confusa, il sopracciglio. "Si..." "Perché mai?" la guardo dritta negli occhi; non capisco. "Perché volevo prendermi io il merito di aver ucciso il fottuto elfo dell'inferno." inizia a ridere, suscitando in me tanto di quel racncore, che mi porta ad azionare il mio giocattolo. "Ci vediamo all'inferno." le rimetto lo straccio (anche se voglio sentirla soffrire, non voglio farmi scoprire) e aziono il vapore, portandolo su tutto il suo corpo fino a che non mi sembra morta.
"Perché non l'ho fatto prima?" ridacchio, mentre mi levo i guanti di lattice, che mi ero messa per non lasciare impronte. "Che fatica." metto in tasca i guanti e passando tra le lenzuola, riesco ad evitare nuovamente le telecamere. Arrivo in cella, che fortunatamente trovo ancora aperta. Non guardo negli occhi nessuno e raggiungo subito il letto. "Dove sei stata?" mi chiede la Riccia, dimenticavo dormisse insieme a me. Ma devo reggere il gioco. "A fumare tante sigarette." annuisce, inarcando le labbra. Vedo Zulema in difficoltà a salire, allora raggiungendola la fermo, sorreggendola poi dai fianchi. "Non fare sforzi, idiota." le accarezzo il fianco destro, mentre fisso Antonia. "Ti levi dal cazzo?" le indico il letto di Zulema e capendo sale su di esso. "Attenta." la stendo sul letto delicatamente. "Forza, fatti un po' più in là." mi guarda con sguardo interrogativo. "Veloce." mentre ci pensa, mi volto verso la Riccia per mandarla nel suo letto. "Dai Bionda, non mi rompere le palle." sbuffo, devo fare sempre tutto da sola. Alzo il lenzuolo e mi stendo in quel piccolo spazio, che Zulema mi ha lasciato. "Non puoi proprio andare un po' più là?" mi lamento, sotto il suo sguardo assonnato. "Bionda noiosa." si sposta più in là, lasciandomi il giusto spazio. "Zulema." mi guardo intorno e dopo le do un bacio veloce sulle labbra, guadagnandomi uno sguardo minaccioso. "Bella sei." le accarezzo la guancia, ma noto del rossore. "Zulema, non diventarmi un pomodoro." sotto il lenzuolo la mia mano viaggia verso la sua intimità, mentre Zulema mi sta uccidendo con lo sguardo, per quel che ho appena detto. "Ma che cazzo vuoi fare?" mi prende la mano, incrociando le nostre dita. "Quando me li regali quei mille gemiti?" le sussurro sensualmente all'orecchio. "Quando te li meriterai." Zulema se solo sapessi quel che ho fatto per te...
Che cazzo ho fatto? Ho ucciso una detenuta e adesso sto scherzando tranquilla sul sesso? Sto diventando come Zulema? Ho paura. Che cazzo ho fatto questa sera? Ho i brividi. L'ansia sta già facendo il suo, meglio dormire.
"Buonanotte Zulema."
"Buonanotte."
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Maledetto Scorpione
FanfictionMacarena e Zulema affronteranno tante difficoltà e, forse, sarà proprio questo a portare le due donne ad unirsi per combattere una battaglia, e non sarà il cercare di uccidersi a vicenda o una semplice rivolta, ma qualcosa di più grande che nemmeno...