{ tra le sue braccia }

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Era una settimana intera che pioveva a dirotto, ma per i membri della band questo non importava. Avevano ricevuto da Marta il compito di scrivere quella canzone arrangiata da Thomas il prima possibile, ma nessuno sapeva cosa esprimere attraverso quelle note così malinconiche.

Quando sei una persona meteoropatica, però, settimane come quella ti buttano giù e ti pesano sul cuore. Giudith ne era un esempio.
Quella domenica si annoiava a morte.
Non voleva entrare nella sala prove, perché i ragazzi non facevano altro che litigare sugli accordi da prendere. Non voleva nemmeno girare per la villa, ormai la conosceva a memoria. Non voleva neanche preparare il pranzo, aveva smesso di provare appetito per colpa di tutte quelle tempeste. La piscina, poi, era inaccessibile.
Ricordò che aveva imparato a suonare il piano come autodidatta con dei video online, allora scese in salotto e cercò di replicare qualche canzone. Appena si sedette sullo sgabello, però, si ritrovò infelice.

≪ Così non vedo niente ≫.
Si alzò controvoglia e sospirò. Prese un mucchio di candele che Ethan aveva nascosto in uno sportello e le sparse per la sala; una la posò sul pianoforte.
≪ E l'accendino? ≫ sbuffò.

Salì di sopra, corse in camera di Damiano e cercò nel cassetto della scrivania, ma non lo trovò.
≪ Dove diamine l'avete messo? ≫.
Uscì dalla stanza e chiuse la porta, entrò in quella di Thomas e sbirciò anche lì nel cassetto del tavolo sotto la finestra. Fuori gli alberi si muovevano come uomini spaventati coi capelli al vento.
≪ Eccolo! ≫ prese l'accendino e chiuse con violenza la porta.
Scese di nuovo, che ormai aveva già il fiato corto, e accese le singole candele con prudenza.

≪ Questa villa è interamente in legno, se faccio qualche cazzata siamo morti ≫.

Poté finalmente sedersi al pianoforte. Prese il suo telefono e lo posizionò sul leggio, mentre un tutorial suonava prima che lei potesse mettere mano sui tasti.
≪ Oh, aspetta! ≫.
Quel giorno era molto agitata e tendeva a prendersela con tutto e tutti.

Dopo aver ripassato qualche nota, le sue dita cominciarono a muoversi da sole. La memoria muscolare aveva avuto la meglio e la musica sembrò uscirle dal corpo in autonomia. Non era il pianoforte a suonare, ma la sua anima.
Ricordò il giorno in cui il padre entrò nella sua stanza mentre suonava e la spaventò, perché lei era così concentrata su quelle note che non lo vide neanche entrare. Ripensò alla madre, un po' fredda, che pianse per la melodia che Giudith amava suonare prima di cena, quando lei era in cucina e subiva tutta la tristezza della sua musica.
Le mancavano i suoi genitori, le mancavano tantissimo. E la
feriva il fatto che nessuno dei parenti, dei due padrini o delle madrine si era proposto di ospitarla o di aiutarla a convivere con quel dolore. Era sola, come già detto, al mondo.

Prima che potesse accorgersene, delle lacrime le rigarono il viso e, per questo, metteva a fuoco i tasti con difficoltà.

≪ Papà... ≫.
Si asciugò un occhio.
≪ M-mamma... ≫.
≪ Dove siete? ≫.
Singhiozzava inconsolabile. Quella musica malinconica le stava allargando la frattura che quelle perdite le avevano causato. Sapeva bene che ci sarebbe voluto del tempo prima che quei nomi non la ferissero più in quel modo, ma fino a quel momento aveva bisogno di supporto, specialmente da Victoria.

≪ Non ne posso più! ≫.
Giuditta non poteva rendersene conto, ma la bionda la stava ascoltando sul divano, anche lei mossa da quella musica ma, soprattutto, da quelle parole. Era uscita dalla sala prove per la troppa confusione, per prendere dell'aria, ma Giudith non se ne era accorta. Il piano suonava troppo forte affinché lei potesse accorgersene. Victoria le si avvicinò con prudenza, ma il parquet sotto i suoi piedi scricchiolò.

L'altra si voltò immediatamente, mentre altre lacrime cadevano senza sosta.
≪ Victoria... ≫.

≪ Giudy... ≫  cercò di avvicinarsi sempre con molta cautela, ma notò che qualcosa non andava.

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