{ chiariscuro }

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Sospirava più intensamente ogni minuto che passava lì dentro, con una bambina addormentata in braccio e un attacco di panico che sembrava non volersi manifestare. Anche la paura di Giudith era talmente spaventata che preferiva rimanere al sicuro in quel corpo accovacciato a terra.
Sentiva che i polmoni si rimpicciolivano sempre più ad ogni espirazione; poteva percepire il caldo del sangue nelle vene che continuava a scorrere imperturbabile.

Al piano di sotto s'erano quietate le grida e non si generavano più rumori.
Nessun oggetto si schiantava più contro il pavimento; vi era, anzi, un silenzio anomalo.
Era uno di quei momenti di tranquillità e pace estrema che ti spaventano, come quando dei bambini piccoli smettono di fare i capricci e litigare tra di loro. Di solito una madre si allerta.
Ecco che successe la stessa cosa con Giudith.

≪ Ida, tesoro, penso sia passato tutto ≫ affermò la ragazza.
Cercò di sollevare quel corpicino inerme che la schiacciava ancora di più verso il basso, ma senza successo.
≪ Ida... ≫.
La bambina mugugnò appena, poi si levò dal petto di Giudith e voltò il capo verso la porta della cabina.
La luce che entrava dagli spifferi delle barre di plastica le penetrarono le pupille, così dovette stropicciarsi gli occhi e voltarsi di nuovo in cerca del viso della più grande che era, tuttavia, perso nel buio.
Ida sì alzò di scatto e per poco non inciampò su uno degli oggetti sconosciuti che vi erano lì sparsi. Poi spalancò la porticina e sparì dietro l'angolo.

Giudith venne pervasa da un forte fastidio per il contatto diretto tra i suoi occhi delicati e quel fascio di luce improvviso. Si era adattata alle tenebre come un felino che scruta il mondo di notte.
Si inginocchiò per gattonare fuori da quel ripostiglio senza sbattere la testa contro l'appendiabiti. Al silenzio venne a sostituirsi il rumore dei passetti veloci della bambina bionda che scendevano le scale di legno.

≪ IDA! ≫ gridò una voce femminile dal piano terra.

≪ Jeg er bange! ≫ continuò la piccola.

≪ Jeg ved... jeg ved ≫.

Curiosa, Giudith si affacciò dalla balconata ancora stordita dalla luce e dall'ansia.
Victoria era in piedi: stava bene, non era stata gravemente ferita, mostrava solo un taglio sul collo e uno sulla gamba, probabilmente per via della pioggia di cristalli accaduta poco prima.
Stringeva a sé la cugina, aveva gli occhi chiusi e le mani tremanti che avvicinavano il capo della bambina alla sua pancia. Ida aveva le braccia attorno alla vita della bassista che raggiungeva solo in punta di piedi. Una macchia di sangue aveva sporcato il suo vestitino vicino all'orlo.
Quando la bionda aprì di nuovo gli occhi, il suo sguardo incrociò quello di Giudith. Lei si fiondò verso il corrimano delle scale al quale si tenne con forza, come se la sua vita dipendesse da esso, e percorse ad alta velocità quei gradini. Le cominciò subito a mancare il respiro, il viso si fece più rosso del solito. Non appena si trovò a qualche centimetro dalla riccia, si buttò tra le sue braccia e cadde a terra in ginocchio.
Ora era lei che, come una bambina, si teneva stretta ai vestiti dell'altra.
Cominciò a versare lacrime densissime dagli occhi che strinse con gran decisione. Aveva paura di riaprirli e non trovare più quella ragazza che amava tanto.
Giudith si sedette a terra, anche lei in ginocchio, e accettò che Victoria posasse la sua testa sul suo seno.
Le dita della bionda stavano stringendo in modo demoniaco la maglia che aveva indosso l'altra.

≪ Stai bene... ≫ parlò Vic.

≪ Sto bene- ≫.

≪ Stai bene, sei qui, stai bene... sei qui ≫.

≪ Sono qui ≫.
Giudith prese il viso della ragazza tra le sue mani e cominciò a lasciarci tanti baci a stampo che si mischiarono alle lacrime salate e ai capelli d'oro della bassista.
≪ Io sono qui, tu sei qui... stiamo bene ed è tutto finito, non è vero? ≫.
L'altra annuì.

Dopo lo scandalo e lo sconforto generale, si era dedotto che quel gruppo di ragazzi - o meglio vandali - aveva cercato vendetta per Eva e per l'offesa arrecata a casa sua qualche giorno prima.
I quattro artisti si rassegnarono a dedicare il resto della giornata a pulire la villa mezza distrutta, sporca ovunque di sangue e terra. Damiano sembrava essere in forma, senza graffi né lividi; al contrario, Thomas posava con difficoltà il piede destro a terra e zoppicava per il salotto con in mano il telefono. Avevano, infatti, deciso di chiamare la polizia, così da far redigere un ordine restrittivo e tenere lontane quelle bestie.
Ethan era stato picchiato a sangue da uno degli intrusi e ora si ritrovava con un occhio nero, il sangue che colava dal naso e un braccio dolorante.
Si teneva forte l'addome, probabilmente per qualche calcio o pugno che aveva incassato allo stomaco. Per questo fu obbligato a riposarsi.
Ida Sofia si era chiusa nel bagno al piano di sotto a giocare con le sue bambole nella vasca; era rimasta traumatizzata dall'esperienza e quella stanza piccola e buia le dava evidentemente senso di sicurezza.

Dopo un'ora la polizia si presentò bussando alla porta dell'ingresso.
≪ Polizia! ≫.
Damiano andò ad aprire e parlò con loro. C'erano agenti con dei taccuini che prendevano appunti sull'accaduto, mentre gli investigatori raccoglievano da terra pezzi di vetri e coltelli da cucina che erano stati utilizzati per minacce e difese.
≪ Serviranno per le indagini ≫ spiegavano gli ufficiali.
Il sopralluogo non fu così lungo; le prove cosparse di impronte digitali vennero conservate in dei sacchetti di plastica, mentre tutto i dati dei ragazzi e il verbale della vicenda vennero registrati e condivisi con la centrale di polizia più vicina.

Quando furono nuovamente soli, Thomas e Damiano tornarono a ripulire il pavimento di tutti i detriti.
Giudith, invece, aveva accompagnato Ethan al piano di sopra e lo aveva aiutato a lavarsi. Cercava di passare con delicatezza la spugna da bagno lì dove non arrivava il ragazzo per via del dolore al braccio. Quando era finalmente pulito, lo spedì in camera sua a vestirsi mentre lei sarebbe andata a prendere bende, cerotti e pomate.
Scesa in cucina a cercare i medicamenti, la riccia spalancò la porta e notò una figura seduta al tavolo con le mani che le coprivano il viso e una sua gamba che si muoveva convulsamente. Era Victoria; la riconobbe prima ancora di accendere la luce della stanza. Era lì da sola, immersa nelle tenebre entro le quattro pareti, con le serrande abbassate. Questo era decisivamente frutto dell'ansia.
Senza dirle nulla, Giudith le andò vicino e la strinse forte. Il corpo irrigidito si sciolse contro di lei, la gamba smise di saltellare e i respiri si fecero più lenti e profondi.
Il sussulto del petto della bionda venne seguito da un leggero pianto di tensione. Victoria cominciò a far scendere le lacrime, poi prese a singhiozzare, poi ad urlare.

≪ Vicky... ≫.

≪ Giudy... io...≫ l'altra si asciugò gli occhi.
≪ Ho sparato io il colpo ≫.

≪ Hai ucciso qual- ≫.

≪ Non ucciderei mai nessuno ≫ sussurrò Victoria interrompendola.

≪ Ti sei solo spaventata, Vi'? ≫.

≪ Mi sono solo spaventata ≫.
Annuì col capo per qualche secondo.

La pistola che fece apparire dal nulla il batterista fu nascosta prima dell'arrivo della polizia per scampare qualsiasi tipo di accusa.
L'arma venne buttata al Tevere la sera stessa.

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