Cap. XXXIII

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29 gennaio, 1999.

Devono esserci venti gradi sotto lo zero. Almeno.

Quando attraversa il muro, sembra che le schegge di ghiaccio le passino attraverso la pelle. Ogni muscolo si irrigidisce, ogni articolazione si incastra. I suoi occhi si chiudono istintivamente, come per difendersi, e infila le mani nelle tasche già fredde dell'accappatoio.

Ma in qualche modo costringe le sue palpebre ad aprirsi. Guarda la nuvola di vapore del suo respiro alzarsi davanti a lei mentre il suo sguardo si posa su di lui.

È seduto sul divano come si farebbe leggendo il giornale del mattino. Casualmente. Liberamente.
Un ginocchio appoggiato su, il gomito appoggiato su di esso. Come se le sue dita non fossero blu scuro. Come se non fosse congelato contro il cuoio. Può vedere dove è fuso con i suoi vestiti. La sua pelle.

Lui la guarda di sbieco, e i suoi occhi sono vacui.

"Granger," annuisce. Sembra annoiato.

E lei vuole schiaffeggiarlo di nuovo. Bastardo crudele e insensibile.

"Cosa fai?" chiede invece, la voce tremante dal freddo. Ha già perso sensibilità alle dita dei piedi.

"Mi godo una serata tutta per me", è la sua risposta, e proprio così, tutta la sua cautela vola fuori dalla finestra, risucchiata da lei proprio come il calore.

"No, non lo fai," sputa. "Sei egoista. Disgustosamente egoista."

Il suo sguardo non cambia, ma la sua postura si adatta. Si siede un po' più indietro. La guarda dall'alto in basso. Non dice niente.

"I tuoi amici sono là fuori." Indica dietro di sé con rabbia, il respiro che esce a raffiche di vapore. "Preoccupatoi da morire. Li hai trascinati tutti fuori dal letto per stare attorno a questo tuo ridicolo igloo insanguinato, e stanno lanciando inutili incantesimi cercando di salvarti la vita."

Lui sbatte le palpebre.

Lei fuma. "Pansy è dovuta venire alla torre dei Grifondoro per prendermi. Ha dovuto minacciare per entrare. Sei stato tu a farglielo fare. Tu."

Sbuffa, allora. Esamina le sue unghie. "Pansy, in Grifondoro. Questa si che è una bella immagine."

"Perché non prendi niente sul serio?!" grida, la voce che rimbalza sulle pareti ghiacciate.

E solo una frazione della strana, indifferente nebbia sui suoi occhi che si dirada. Lui la guarda. "Perché pensi sempre che io stia cercando di morire?".

Incrocia le braccia sul petto: un duplice scopo, proteggersi dal freddo e da lui. "Forse perché ti metti sempre in situazioni mortali. Correggimi se sbaglio."

"Sembravi molto più educata dall'altra parte del ghiaccio", dice.

"Bene, ora che posso vedere quanto sei un bambino ..." Non riesce a trattenersi. Non riesce a frenare la rabbia accumulata da quella notte, anche se sa che deve stare più attenta. Sa che questo è precario. Ma lei non può fermarlo. È compulsivo.

Malfoy fa scrocchiare le nocche. Riprende la sua espressione annoiata. "Non è quello che hai sempre pensato di me?".

Lei sospira con furia. "Non avere pietà di te stesso."

Lascia cadere entrambi i gomiti sulle ginocchia. Si strofina un occhio. "Perché sei qui, Granger?".

E lei farfuglia - gesticola senza meta, cercando e fallendo di formare una sorta di risposta a questo.

"Questo non ha niente a che fare con te", dice.

"Stai scherzando, Malfoy?" Comincia a camminare. Sembra che il sangue le si stia congelando nelle vene, e lei sta cercando di impedire alle ginocchia di bloccarsi. "Tu... guardati, ti stai autodistruggendo! Questo è un grido d'aiuto..."

Breath Mints/Battle Scars | By Onyx&Elm.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora