22. Addio autocontrollo

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Pov Michele

"A che pensi?" mi chiese lei.

"Riflettevo" dissi, vago.

Non sapevo se fossi stato pronto ad aprirmi così tanto.

"Su cosa?" mi pungolò.

"È un ragionamento lungo" cercai di eludere le domande.

"Abbiamo duecentocinquanta chilometri davanti" disse lei, sorridendomi.

La guardai e scossi la testa, con lei mi era impossibile non cedere.

"Stavo pensando che qualche volta non avere il controllo non è così terribile" mi ritrovai a dire.

"Cioè?" mi incalzò lei.

Pensarlo era una cosa, ammetterlo ad alta voce era diverso.

Tirai un'altra boccata alla sigaretta e decisi di dirlo, tanto avevo già perso sia i freni che la dignità con lei.

"Nel senso che nella mia vita ho sempre avuto il controllo su tutto.
Un po' è innato, un po' quando sei figlio di certi genitori te lo insegnano.
Soldi equivale a potere, e per mantenere il potere ci vuole il controllo, su qualsiasi cosa.
Quindi fin da piccolo mi sono sempre assicurato che ogni aspetto della mia vita fosse impeccabile e che non mi sfuggisse.
Anche perché i miei genitori ci tenevano alle apparenze e ogni volta tutto doveva essere perfetto.
Avevo il controllo dei miei voti a scuola, dei miei compagni.
Decidevo io come e quando fare le interrogazioni al liceo e gli esami all'università.
Non ho avuto molti amici, proprio perché avevo, e forse ho tutt'ora, la manìa di voler dominare e controllare ogni singola cosa che mi passa per le mani.
Controllo che poi si è esteso su ogni altro ambito, dal mio corpo alle ragazze.
Del tipo che mi sono abituato a dormire poco e a non essere rincoglionito quando non dormo, a non prendere caffè per svegliarmi, a decidere come e quando bere senza mai ubriacarmi.
L'unico piccolo vizio è il fumo, ma ho sviluppato una grande forza di volontà e se domani decidessi di non fumare più quasi sicuramente ci riuscirei.
Anche nell'ambito sessuale è la stessa cosa, decido io quando eccitarmi o meno, di solito, e questo mi dà un gran bel vantaggio sulle donne, perché non cedo e sono io ad avere il controllo.
Non sono in grado di manipolarmi, un bel visino non mi faceva cedere.
Spesso sono così controllato che non mi accorgo nemmeno se abbiano i capelli biondi o neri.
Se non mi interessa, sono in grado di ignorarle persino se mi passassero nude davanti.
Ogni ragazza che ho avuto, e non sono molte, doveva rispettare certi standard: essere carina, sempre presentabile e ordinata, poco appariscente, silenziosa, discreta, pacata, che non pretendesse troppo da me.
Mia mamma ci teneva molto a farmi comprendere quale tipo di donna andasse bene per me, e a furia di sentire certi discorsi, ci ho creduto.
Fin da quando avevo sei anni mi ammoniva dicendomi che le ragazze che avrei avuto puntavano ai miei soldi, puntavano a essere mia moglie per avere un titolo in società, perché le donne sono così.
Tutte.
Per limitare i danni ne avrei dovuta cercare una non troppo pretenziosa, del tipo che se io ti compro una borsetta e un giorno ti darò la facoltà di prendere la mia carta di credito, tu mi ripaghi con il silenzio, la fedeltà, la dedizione e il non rubarmi la scena.
Una sorta di patto commerciale ed economico, insomma.

Anche in certi ambiti dovevo mantenere il controllo.
Anche lì mia madre era stata chiara.
Se con le loro mutandine ti imbamboleranno, finirai per essere nelle loro mani e ti useranno a loro piacimento.
E quindi in camera da letto mi limitavo a pochi baci, perché si danno in due e io non potevo avere il controllo su quello che avrebbero fatto loro, niente preliminari perché li consideravo cose inutili e pure poco serie, luci spente per lo stesso motivo, missionario perché così avevo il controllo di ogni singola mossa, decidevo io come e quando iniziare o smettere".

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