27. Matrimonio da incubo

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Pov Michele 

Il 15 settembre.
Era arrivato.
Avevo sperato che arrivasse il più tardi possibile. Nel mentre avevo fatto fuori qualche bottiglia di rum in un mese e infiniti pacchetti di Marlboro.
Il mio controllo era andato a farsi fottere.
Avevo litigato pesantemente con Ilaria... l'avevo ignorata subito dopo la chiamata perché dovevo starmene un po' per conto mio a rimettere a posto i pensieri.
Poi alla milionesima chiamata persa, complice qualche percentuale un po' troppo alta di alcool in corpo, avevo risposto urlando al telefono e avevo sfogato tutta la mia rabbia su di lei.
Le avevo detto cose orribili.
Che non me ne era mai fregato niente di lei, che era un'arrampicatrice sociale e basta, che una puttana mi sarebbe costata meno e avrebbe fatto meno danni, che non era nemmeno così bella e così piacevole a letto e che con lei mi annoiavo da morire perché era anche un po' stupida.
Se mi avesse sentito Sara probabilmente mi avrebbe ammazzato per quelle parole.
Aveva pianto al telefono e aveva riattaccato.
Il giorno dopo mi ero reso conto di aver esagerato e che se io facevo delle cazzate mastodontiche non me la potevo prendere con nessun altro.
Però ogni singola parola che le avevo detto era vera, e non avrei mai fatto marcia indietro.

Sopraffatto dai pensieri, la notte non avevo dormito, oggi l'avrei rivista e speravo di poterci chiarire ma al tempo stesso avevo un'ansia senza paragoni.

Era una bellissima giornata, il cielo blu di Roma era impagabile.
Se solo tutto fosse rimasto come meno di un mese fa, oggi non avrei dormito dalla gioia, non dalla disperazione.

Mentre mi preparavo a casa dei miei, il fotografo scattava impazzito.
Quei cazzo di flash mi stavano accecando e non avevo nemmeno chiuso occhio per tutta la notte, avrei voluto urlare.
C'erano amici di famiglia al buffet che mi facevano le congratulazioni e io non ricordavo nemmeno chi fossero.
Questa era l'ipocrisia dell'élite borghese.

Indossai la camicia bianca e lo smoking blu damascato.
Continuavo a sentire i flash e mi stavo innervosendo.
Uscii per fumare intaccando il secondo pacchetto della giornata, il primo lo avevo finito durante la notte.
Sentii mamma lamentarsi che se non avessi spento quella sigaretta il mio completo avrebbe puzzato di fumo.
Al diavolo, tanto a lei non interessavo, potevo pure puzzare come una ciminiera.
La ignorai continuando ad aspirare sul terrazzo e sperai che la nicotina mi calmasse.

In chiesa mi avrebbe accompagnato mio padre, la mia macchina era impegnata con lei.
Da una parte ero al settimo cielo che potesse salirci, immaginarla là dentro con il vestito bianco, mentre veniva da me, mi rendeva felice.
Dall'altra parte sperai che non me la sfregiasse per dispetto, ne sarebbe stata capace.

A ogni metro che percorreva la macchina sentivo un fischio nelle orecchie, non sapevo se fossi pronto davvero.
Mio padre mi guardava di sottecchi, probabilmente si era reso conto che avevo l'umore sotto le scarpe e che doveva essere andato storto qualcosa, anche se non avevo minimamente accennato al fatto che eravamo stati insieme come una coppia al lago.
Avrebbe anche potuto dirmi qualche parola di consolazione, ma non l'aveva mai fatto, e forse non sapeva nemmeno da dove si iniziasse un discorso del genere.

Appena scesi, la piazza di San Pietro semivuota mi fece effetto.
I pochi turisti si girarono a guardarmi. Entrai nella navata addobbata di fiori bianchi che era semplicemente stupenda.
Se avessi potuto esprimere un solo desiderio e avere la certezza che si avverasse, avrei chiesto di far sparire il mese da incubo alle mie spalle e ripartire da dove ci eravamo interrotti al lago.

Mi posizionai davanti l'altare ad aspettarla, stavo collassando di ansia.

Guardai le persone sotto di me, più della metà non li conoscevo.
I miei genitori avevano veramente fatto le cose in grande, saranno state cinquecento persone là sotto.
Con la scusa di sistemare i gemelli, sbirciai il rolex senza farmi vedere.
Qualsiasi cenno di impazienza sarebbe stata maleducazione, lo sapevo bene.

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