29. Gabbia

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Pov Sara

Il ventiquattro  presi la mia macchina, una piccola valigia e mi diressi lì.
Parcheggiai di fronte alla casa pensando che avrei potuto mettere la macchina in garage ma non ne valeva la pena.
Accesi la luce, accesi il riscaldamento e mi misi a studiare sul tavolo dello studio, domattina, anche se sarebbe stato Natale, avrei messo a posto il casino che avevano fatto gli acquazzoni.
Cercai di non farmi sopraffare troppo dai pensieri guardando il divano su cui avevamo dormito un anno fa.

Mi svegliai di buon'ora, risposi ai messaggi di auguri delle mie amiche e mi diressi nel ripostiglio, avevo visto che c'era della vernice, un trapano e una scala.
Smanettare con quelle cose mi rilassava, non avrei pensato al fatto che era Natale, che stavo nella villa in cui avevo deciso di sposarlo il giorno di santo Stefano di un anno fa, nella villa che aveva ospitato la cena del mio matrimonio che era stato un disastro.
Mettere a posto con le mie mani le cose era come se mi permettesse di mettere in ordine anche la mia vita.
E soprattutto, essendo un lavoro faticoso e in cui si doveva stare concentrati, mi stancava e non mi faceva pensare.

Tolsi la parte umida sotto la finestra con la carta vetrata e iniziai a passare una mano di vernice su tutta la parete.

Staccai dalla parete il piccolo armadio che era fissato al muro, presi il trapano e tolsi le viti.

"Ma che cazzo stai facendo?" mi sentii dire dietro.
Sussultai sulla scala rischiando di perdere l'equilibrio e urlai per lo spavento.

"Stai attenta!" mi urlò dietro, tenendomi per le gambe.

Oddio era di nuovo lui.
Lo odiavo.
Era un incubo.

Mi girai, guardandolo truce. "Io dovrei stare attenta?
Tu mi spunti da dietro e mi parli mentre sono su una scala, volevi ammazzarmi?" gli gridai.

"Il punto è che non dovresti stare su una scala, che cazzo stai facendo con il trapano in mano?" disse, guardandomi dal basso verso l'alto.

"Sto rimettendo a posto l'armadio che ho accidentalmente rovinato lasciando la finestra aperta" mi giustificai.
Subito dopo lo accusai: "Smetterai mai di apparirmi dietro in ogni cazzo di situazione come un fantasma? È esasperante!" sbottai.

"Penso che il tuo conto in banca ti permetta di chiamare qualcuno, scendi da lì, per piacere" mi ribatté, ironico, ignorando l'accusa che gli avevo lanciato.

"Mi piace farlo da sola, e non prendo ordini da te" ribattei, piccata.

"Ti serve una mano?" mi chiese lui, sconsolato.

"No, e poi non credo che sapresti usare un trapano o tinteggiare il legno" lo offesi.

"Dio, se sei acida" disse, uscendo dalla stanza.

Meglio così, finii di fare ciò che stavo facendo.
Avevo passato la livella anche sul legno e passai una mano di vernice.
Guardai l'orologio, erano praticamente le quattro di pomeriggio.

Ero venuta qui con l'intenzione di rimettere a posto un casino e con il buon proposito di non pensarlo e mi era di nuovo, per la milionesima volta, spuntato dietro.
Senza salutare ovviamente.
Iniziavo davvero a pensare che qualcuno da lassù volesse torturarmi.

Pov Michele

Tutto sommato mi era passata.
Era tornato tutto nella norma, andavo al lavoro, tornavo persino a casa.
Avevo dovuto parlare con i miei genitori che mi avevano ulteriormente rimproverato perché tutti avevano parlato del matrimonio per mesi e di come ci eravamo ritirati senza salutare.
Avevo provato a spiegare che non era una mia proprietà e che ero contento che avesse scelto qualcosa di quel giorno ma quando mi avevano chiesto dove fosse la mia cara e adorata mogliettina, avevo di nuovo dato di matto.
Probabilmente avevano capito che ci tenessi e avevano infilato il coltello nella piaga.
Mia mamma continuava a guardarmi, a scuotere la testa e a bisbigliare a mio padre che era solo un'arrampicatrice sociale come loro avevano sempre saputo e che io mi ero fatto infinocchiare da un bel faccino.
Ci tornavo, perché erano i miei genitori, ma non era proprio piacevole.

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