2. L'eredità

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Pov Michele

La stavo fissando da quando era entrata nella stanza.
Non si poteva dire che fosse brutta, anzi... e di solito non mi lasciavo andare a certi pensieri, le donne erano così terribilmente stupide che avevo imparato a controllare certi istinti.

A me bastava Ilaria, con qualche borsetta stava in silenzio e non avevo troppe preoccupazioni.
Ero consapevole che davano solo problemi, non mi piaceva averci a che fare. Avevo fatto un'accurata selezione per trovare Ilaria ma questa ragazza era diversa.
Aveva tutta l'aria di essere una di quelle che pretendevano tanto. Sicudamente era troppo indipendente per i miei gusti, però era un bel vedere.

Mi stupii ancora una volta di me stesso, non riuscivo a distogliere gli occhi da lei.
La squadrai da capo a piedi: i pantaloni neri a palazzo lasciavano immaginare delle gambe da capogiro e un bel sedere alto e rotondo, il punto vita era ben segnato dalla camicia sotto i pantaloni e anche il seno era alto, sodo e decisamente della taglia giusta, il collo era lungo e flessuoso, i capelli color miele le arrivavano a metà schiena, erano ondulati e dovevano essere decisamente troppo morbidi.
Ma un bel fisico potevano avercelo tutte. Bastavano un po' di palestra e una dieta adeguata.
Il viso, invece, mi lasciava senza parole: le labbra carnose, il nasino piccolo e dritto, due occhioni da gatta verdi smeraldo con ciglia chilometriche. Sembrava disegnato, ed era probabilmente uno dei visi più belli che io avessi mai visto.
Si avvicinò per sedersi al tavolo e il suo profumo mi colpì come uno schiaffo in faccia.
Non era un profumo costoso, e di profumi ne avevo sentiti tanti nel corso di tutte le feste che organizzava mia madre.

Era ammaliante, dolce, con una nota speziata che mi ricordava un viaggio che avevo fatto nel deserto.

Mi sembrava di riconoscere un tocco di fragola, un po' di vaniglia, e quella dannata spezia che non riuscivo a ricondurre a niente.

La fissai per tutto il tempo e probabilmente se ne accorse visto che mi piantò i suoi occhioni in faccia e mi fulminò letteralmente, se avesse potuto probabilmente mi avrebbe fatto prendere fuoco.
Quegli smeraldi erano talmente verdi che le pietre preziose nella cassaforte di mia madre erano opache se messe a confronto con lei.

Ascoltai tutta la lettura del testamento, e come avevamo previsto, le divisioni dell'intero patrimonio erano affidate a noi, solo che quando sentii la cifra che mi sarebbe arrivata ebbi un capogiro: trenta milioni erano tantissimi, e se sommati alle quote della società elettrica, che avrebbero fruttato due milioni l'anno almeno e, aggiungendoci i soldi che già avevo nel mio conto corrente e il mio lavoro, che non avevo intenzione di lasciare, realizzai che potevo stare bene per questa vita e altre due vite successive.

Quando l'avvocato lesse la restante busta mi sentii tradito, letteralmente fregato dal mio stesso sangue, incastrato, intrappolato, ricattato.

Tutti quei soldi facevano gola, li avrei voluti, già pensavo a come spenderli e a quale macchina comprare, ma per averli avrei dovuto sposare quella lì. L'ultima donna che avrei voluto sposare sulla faccia della terra perché probabilmente non l'avrei zittita con una borsetta firmata.

Ascoltai, sotto shock, il discorso che fece all'avvocato, e no, non l'avrei decisamente zittita con i regali costosi e, diamine, non volevo sposarla nemmeno morto ma me la sarei fatta andare bene pur di prendere quei dannati soldi che mi spettavano di diritto ma lei era irremovibile. Voleva rinunciare, non ne voleva proprio sapere.

Poi quel genio del male di mio padre ebbe la brillante idea di darle dell'arrampicatrice sociale e lei, con un'audacia che non avevano nemmeno i suoi pari, gli disse che aveva poca logica e scappò via senza neanche salutare. 

Che caratterino.

Se non fosse stato per quella bellezza soprannaturale che mi attirava nonostante di solito non mi lasciassi andare a simili pensieri con nessuna, probabilmente l'avrei presa a male parole.

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