13. Quello che ho perso

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Pov Michele

Ci eravamo lasciati da un mese e ogni singolo giorno che avevo passato con quella consapevolezza mi era sembrato una tortura.

Come al solito, mi ero accorto di quello che avevo avuto quando l'avevo perso.

Ero stato annebbiato dalla rabbia e dalla frustrazione e gliel'avevo scaricata addosso.
Aveva tentato troppe volte di prendermi con le pinze, di farmi capire che ci teneva, di fare pace... e io l'avevo sempre malamente allontanata.

Adesso si era distaccata lei, e io mi ero accorto di essere semplicemente un coglione che non sapeva minimamente comportarsi con le altre persone.

Appena mi aveva annunciato che eravamo single, la nebbia, che mi aveva fottuto il cervello e aveva inquinato le mie idee e i miei sentimenti, si era dissipata, rischiarandomi la mente.

Non era colpa sua.
Era su di me che avrei dovuto lavorare, per il bene di Emilia.

Ma ormai era tardi.

Lei era fiorita piano piano, rinascendo in quella nuova condizione di libertà.

Io, invece, stavo appassendo.

Se lei era luce, io ero ombra.

I problemi del sonno di mia figlia si erano risolti e l'avevamo persino iscritta al nido, nonostante ad agosto sarebbe stato chiuso ed era solo maggio.

Improvvisamente la notte e la mattina in quella casa regnava un silenzio pesante, quasi innaturale.

Le urla e le lacrime che l'avevano animata per otto mesi, si erano acquetate, lasciandoci da soli a fare i conti con il silenzio.

Io avevo ripreso ad allenarmi, lei usciva a prendere il sole di maggio che si stava rivelando splendente.

★······★······★

Tolsi le AirPods, godendomi l'aria pulita del giardino dopo una leggera corsa.

Poi aguzzai le orecchie, sentendo la sua risata pulita in piscina.

Mi avvicinai alla siepe che separava il resto del giardino dalla piscina e la guardai di soppiatto.

Era sdraiata con un asciugamano sul bordo, il corpo reso scintillante dall'olio abbronzante che rifletteva il sole e un dannatissimo costumino bianco, talmente striminzito da farmi mozzare il respiro in gola.

Perché diavolo si ostinava a mettersi quei perizomi che dovevano essere illegali addosso a lei?

Mi sentii un cretino.

Era mia moglie.
Era mia.

L'avevo persa.

Poi sentii la voce squillante di Francesca al telefono, in vivavoce.

Mi sentii un intruso e anche un guardone, ma non mi schiodai da lì.

"Senti, tesoro, quando hai intenzione di riprendere la tua vita sessuale, eh?" la pungolò l'amica.

Trattenni il fiato. Non dovevo essere lì.

"Non ricominciare, non mi sento pronta, ancora" bofonchiò lei.

"Oh, andiamo! Non hai neanche ventiquattro anni e sei libera come l'aria, che stai aspettando? Hai l'imbarazzo della scelta: Lorenzo, Davide, Matteo!" continuò lei.

Quei nomi mi colpirono come uno schiaffo in faccia.

"Ma va, ti pare. Lorenzo è solo carino quando vado a prendere Emilia all'asilo, lo sa che ho una figlia... sei esagerata, Francy" sorrise lei.

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