8. Paternità e frustrazione

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Pov Michele

"Potremmo provare a prendere una tata, magari solo la mattina" mi sentii dire da Sara, mentre allattava Emilia.

Ogni volta mi giravo, cercando di fare altro.

Vedere quel seno nudo, racchiuso in reggiseni provocanti che si ostinava a portare nonostante non fosse comodo per l'allattamento mi mandava fuori di testa.
Mi sentivo una merda a sessualizzare una parte del corpo che ora fungeva solo da sostegno vitale per mia figlia.

"Ma assolutamente no" ribattei.

"Per quale motivo?" mi chiese lei, piccata.

"Ma perché dovrei lasciare che sia una sconosciuta a crescere mia figlia?" obiettai io.

"Perché siamo letteralmente distrutti e non riusciamo ad avere un'interazione normale tra noi due e neanche a dormire in maniera decente?" spiegò lei, con un tono di voce che sottolineava tutta l'ovvietà della sua risposta e che mi fece innervosire.

"Non ce l'ho avuta io una tata, vogliamo prenderla noi? Vuoi veramente un'estranea in casa tua?"

"Vorrei semplicemente dormire e ritornare a sentirmi una donna" disse lei.

"E guardami, almeno, quando ti parlo" ribatté subito dopo, stizzita.

Mi girai con un sopracciglio alzato e indicai il suo reggiseno fucsia decisamente vistoso. "Mi sembra che tu non abbia problemi a sentirti donna" la pungolai.

Sbuffò, allacciando il cardigan. "Scusa se non voglio mettere quegli orribili reggiseni da allattamento, diamine, ho ventitré anni. Non sapevo che un reggiseno audace fosse sufficiente per sentirmi donna" mi rispose per le rime.

"Sei una mamma" obiettai.

Poi il pianto di Emilia ci interruppe, prima che la conversazione prendesse una piega decisamente infuocata.

Erano mesi che sentivo la sua frustrazione palpabile e anche io non ero da meno.

Certo, i pianti di Emilia erano veramente sfiancanti e mi portavano via le energie ma era mia figlia ed ero disposto a fare qualche sacrificio.
Ero convinto che un giorno avrei sorriso a ricordarmi di quel periodo e non avevo intenzione di mettere in casa qualcun altro che potesse interferire con la famiglia.

Lei, invece, sbuffava sempre più vistosamente ai numerosi capricci di nostra figlia e le leggevo l'insofferenza sul viso.

Spesso, quando camminava per i corridoi con Emilia urlante, sbatteva i piedi a sua volta, come se anche lei stesse facendo i capricci.

La osservai alzarsi dal divanetto di fronte al camino e, spostando un pupazzo con il piede, iniziò a dondolare per cercare di calmarla.

La casa era una disastro nonostante una volta a settimana venissero due ragazze a pulirla.
Non avevamo la forza di fare altro, la sera era già tanto se ci riscaldavamo al microonde le monoporzioni congelate che ci dava mia madre.

Aveva indosso un paio di leggins grigi che strizzavano alla perfezione le sue gambe toniche.

Forse la gravidanza le aveva lasciato qualche chiletto in più, ma nei punti giusti e odiavo quella sensazione che provavo sempre più spesso.

Mi sembrava un sacrilegio che lei riuscisse a essere provocante nonostante fosse una madre.

C'era bisogno di continuare a mettere perizomi e reggiseni di pizzo? O di indossare cardigan corti o leggins troppo aderenti?

Era decisamente fuori luogo.

Stavamo crescendo nostra figlia e lei si ostinava a volersi vestire in maniera che non mi sembrava consona.

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