Caleb

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Capitolo 16

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Capitolo 16

"Non guardare il sorriso, ma guarda gli occhi. I sorrisi sono di tutti, ma gli occhi tristi che sorridono sono di pochi"

Kappa_07


I polmoni mi dolevano, il sangue mi rimbombava nelle orecchie, i timpani pulsavano per la pressione sanguinea. Cercai di prendere aria ma per quanto ci provassi non ci riuscivo. La sensazione vertiginosa mi fece pesare la testa sulle spalle come se fosse un grosso macigno di pietra nera. Non riuscivo ad avere il controllo delle mie emozioni, tutto dentro e fuori di me era in allerta come se stessi sul procinto di cadere da un precipizio che non aveva mai una fine.

Sentii il freddo infilarsi nelle mie ossa e ghiacciare le mie membra, mentre lo stomaco mi si contorceva come se qualcuno lo stesse dolorosamente strizzando fino a farmi smettere di vivere, davanti agli occhi mi si manifestò un ghigno tanto crudele da rizzarmi i peli sulla nuca, la spina dorsale mi doleva, tutta la schiena mi doleva, come se sapesse che da lì a poco avrebbe subito abusi su abusi fino a ridurmi in brandelli.

«Caleb! Caleb ti prego. Guardami. Respira con...»

Flashback

Era una notte fredda e stava nevicando quando per la prima volta mio padre mi chiamò nel suo studio. Mia madre se ne era andata da due anni, ed io ne avevo compiuto cinque da poco. Fuori stava nevicando, le temperature erano scese sottozero, eppure era così bello guardare fuori dalla finestra e vedere i fiocchi di neve che cadevano indisturbati depositandosi sul suolo un attimo prima di disperdersi nel grande bianco che madre natura aveva così generosamente regalato ai miei occhi. I secondi passavano, e più il viale di casa diventava magico, più io sforzavo i miei occhi per tenerli aperti. Anche la fontana era ghiacciata, l'unica cosa di verde che si vedeva erano i rami degli abeti che circondavano il lato nord della grossa villa dove abitavo. Mi sarebbe piaciuto moltissimo uscire fuori, sdraiarmi a terra e fare l'angelo, ma mio padre continuava a chiamarmi dal suo studio in continuazione. Non volevo andare da lui, quella sera aveva bevuto insieme a una ragazza che si era portato a casa e quando la giovane ragazza dai capelli biondi se ne era andata lui aveva continuato a bere chiuso nel suo studio.

Dentro casa, l'unico rumore a farmi compagnia erano i camini accesi che crepitavano infondendomi un dolce tepore, la legna ardeva, e il fuoco si elevava alto. C'era talmente caldo che le mie gote erano diventate rosse. Il sonno stava giungendo nonostante io non volessi, aprii la bocca diverse volte sbadigliando, prima di appoggiarmi sulla finestra e addormentarmi guardando la neve.

Oh, quanto mi sarebbe piaciuto essere anch'io un fiocco per un solo minuto. Così da comprendere come ci si sente ad essere neve.

«Svegliati moccioso!»

Mio padre, mi sveglio con delle grida brusche, il mio cuore si impennò, avevo molta paura ultimamente da lui. Beveva e mi dava le sberle.

Il tanfo dell'alcol mi otturò le narici quando mi strinse forte il braccio e mi portò di fronte al cammino.

𝙳𝙰𝙻𝙸𝙰 𝙽𝙴𝚁𝙰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora