Lilla

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Capitolo 29

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Capitolo 29

“Anche se uno sapesse cosa fare, non saprebbe cosa fare comunque. Non saprebbe se lo vuole fare o no.”

CORMAC MCCARTHY

La vita a volte ci sorprende. In genere la mia vita era sempre stata pragmatica e monotona. Mi svegliavo andavo a scuola, andavo a lavorare, studiavo e dormivo.

Non c’era mai stato niente di interessante a farmi perdere il sonno, oppure farmi perdere la ragione. E ripensandoci, lo adoravo.

Si diceva che; basta che una farfalla battesse le ali e si sarebbe scatenato l’inferno. Ebbene, sicuramente la farfalla che apparteneva a me le aveva decisamente battute quelle dannate e meravigliose ali. Non una volta, ma molte, innumerevoli volte per rivoltarmi la vita sottosopra in pochissimo tempo.

Quale fosse il motivo delle azioni dell’universo nei miei confronti a me era sempre rimasto ignoto. Prendiamo per esempio la morte dei miei genitori, perché quel dannato treno doveva uscire dai binari dodici anni fa? Perché doveva toccare proprio a loro? Perché l’universo aveva deciso di rendermi orfana?

In realtà, non ricordavo nemmeno il volto dei miei genitori per quanto mi facesse male ammetterlo, se non per le foto che conservavo con grande gelosia Non saprei nemmeno dire come fosse fatto mio padre. Gli dei, erano stati molto ingiusti con me.

Ma si diceva che loro giocassero con la vita delle persone gettando una moneta in un pozzo profondo. Per ogni bambino che nasceva al mondo loro la facevano girare e girare, e se da un lato usciva la parte che pesava di più dall’altra c’era quella che doveva essere la mia. Quella vuota, quella che non pesava un granché. Quella che conteneva tutti i mali e le sofferenze del mondo

Doveva sicuramente essere così.
Maledissi gli dei e la loro medaglia del cazzo mentre piangevo rannicchiata nel letto per il dolore inconcepibile della sconfitta. Loro avevano permesso a una persona ignobile di entrare nella mia vita. Di sconvolgermela e di farmi soffrire. Dio santissimo. Avevo uno stalker in pieno giorno! E ora aveva pure deciso di intrufolarsi a casa mia per il suo mero ego senza misura.

Volevo rompergli i denti dalla frustrazione che mi aveva aggrappato il petto dopo ciò che mi aveva fatto. Come se io fossi un mero giocattolo senza sentimenti e facoltà di scelta. Lui, quello stupido lupo che tutti amavano e allo stesso tempo temevano ci era riuscito a fare ciò che più voleva con me.

Lo odiai, e continuai ad odiarlo finché non richiusi gli occhi. Ma più di tutti odiavo me stessa perché sapevo che mi stava entrando in testa, e senza nemmeno volerlo, stava pure prendendo possesso della mia libido.

“Oh, quanto ti è piaciuto Lilla”.

Diedi un pugno fortissimo al cuscino per soffocare la frustrazione e le lacrime che mi rigavano le guance nel vano tentativo di eliminare dalla testa il ricordo della sua bocca nella mia vulva. O del suo grugnito di pura soddisfazione quando venni nella sua bocca calda.

𝙳𝙰𝙻𝙸𝙰 𝙽𝙴𝚁𝙰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora