Caleb

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Capitolo 36

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Capitolo 36

Le persone sono autolesionisti per  l'ordine della natura stessa. Senza la certezza che ci possiamo fare del male da soli. L'essere umano non avrebbe senso di esistere.

Kappa_07

Era passato una settimana esatta dal momento che l'avevo lasciata in quel letto d'ospedale. Sette giorni che equivalgono a 168 ore precise.

Non le avevo chiesto come stava, non avevo più fatto scenate, non avevo più sentito i miei amici, tranne quando passavano a turno a casa mia per vedere come stavo e non volevo saperne più di nulla.

Osservavo il foglio con la maschera da ghost che avevo in mano, lo strinsi forte tanto da appallottolarlo in mano per ciò che c'era scritto sopra. Il disegno di un paio di occhi che sapevo bene di chi fossero; bene in vista. Strinsi forte la mascella, i muscoli mi bruciavano da tanto che ero teso.

Conoscevo benissimo quello sguardo che mi tormentava l'anima. Per una settimana non avevo fatto altro che leggere e rileggere quel pezzettino di foglio, con una minaccia diretta e senza preamboli.

"Noi sappiamo chi sei. E conosciamo anche lei. Ci faremo sentire, preparati Caleb War".

Chi fosse il mandante non lo sapevo, ma non mi sfuggii l'ironia. Chiunque essi fossero, erano gli stessi che mi avevano rinchiuso in quello sgabuzzino quel giorno, gli indizi erano chiari. Trevor non era tipo da usare questo tipo di minaccia. Non per quanto io ne sapevo almeno.

Erano tre anni che non si faceva più vedere e le ultime tracce riportavano a Washington, ma anche lì, uno degli investigatori, mi aveva detto di averlo perso. Se volevo un lavoro fatto bene, dovevo farlo da solo. Sarei andato a cercarlo, dopo la questione di Lilla, ma questo foglio, mi metteva in guardia.

Voleva dire che c'era qualcuno in città che mi stava osservando e aveva delle informazioni su di me. Forse uno di quei tipi a cui avevo spaccato la faccia? Ma no, era impossibile, chiunque avevo perseguitato insieme ai miei amici in passato era sfuggito a gambe levate dalla città.

Presupposi di farglielo sapere ai miei amici. Sapevo che mi avrebbero consigliato di fare qualcosa per scoprire di chi si trattasse. Eppure, era una settimana che non riuscivo a prendere una decisione. Lo avevo trovato sotto la porta quando ero tornato dall'ospedale dopo aver lasciato Lilla, e benché mi ribollisse il sangue nelle vene, non conoscevo il mandante. Quindi aspettai. Prima o poi si sarebbe fatto vedere mi ero detto ed io lo avrei fatto sanguinare.

Mi ero rintanato in casa e avevo preso a pugni il sacco da boxe nella sala dei giochi, avevo bevuto e avevo dato pugni fino a farmi sanguinare le nocche. L'ombra della rabbia e dello sforzo, mi aveva oppresso fino a crollare.

Avevo dormito per diversi giorni di fila sul divano, tormentato per via degli incubi. Avevo ancora i lividi in faccia, l'occhio si stava sgonfiando ma c'era il livido violaceo sia sulla mascella che sul sopracciglio spaccato.

𝙳𝙰𝙻𝙸𝙰 𝙽𝙴𝚁𝙰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora