Caleb

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TWQuesto capitolo contiene scene erotiche e una forma di stupro fisico e psicologico

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Questo capitolo contiene scene erotiche e una forma di stupro fisico e psicologico. Perciò siete pregati di non leggerlo se ne siete sensibili.
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Capitolo 28

“Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.”

DANTE ALIGHIERI

L’avevo lasciata nello studio di sua zia dopo averla sentito piangere in quel modo e me ne ero andato via. Non lo so se l’avevo fatto perché non avevo avuto la forza di sentirla e di vederla in quel modo, oppure fosse più segreta.

Per un secondo dentro di me avevo avuto l’impressione che tutto gridasse di tornare indietro, prenderla fra le mie braccia e portarla via con me per baciare ogni lacrima versata per colpa mia. Volevo tenerla vicina e consolare il suo cuore sofferente per farla sentire meglio, perché quando lei soffriva, io soffrivo il doppio.

Mi sentivo un verme bastardo che doveva scomparire da questo mondo. Avevo avuto davvero l’intenzione di stuprare la sua bocca solo perché lei voleva il mio bene?

Dopo tutto ciò che le ho fatto e dopo tutti i giochi psicologici che avevo condotto, lei aveva avuto comunque la forza per dire a me che soffrivo, invece che decidere di insultarmi e di darmi la schiena come tutte le altre persone.
Io non meritavo nulla. Bensì avessi tutto ciò che volevo, io non avevo niente.

Restai fuori dal Wolves per una buona mezz’ora mentre accendevo e spegneva le sigarette come se fosse l’unica cosa necessaria a farmi tenere i piedi ben saldi a terra per non correre la sopra e portarla via con me.

Avevo avuto la brillante idea di farla soffrire; ebbene, ci ero riuscito alla grande ‘sta volta.

Il vento ululava ad ogni direzione, mentre il fumo dell’ennesima sigaretta svaniva nell’aria, come il battito del mio cuore schizzava nel mio torace. Presi un respiro profondo gettando nel posacenere il mozzicone e mi calai sulla testa il cappuccio della felpa per proteggermi dal freddo.

Sentii la porta dell’ingresso aprirsi e le voci di un paio di studenti mi giunsero strillanti alle orecchie. Mi nascosi bene in penombra per non essere visto. L’unica cosa che volevo era quello di sapere che Lilla stesse bene.

Era più forte di me, ma la rabbia che nutrivo sempre per ogni singolo vivente, quella volta, venne meno, poiché quella rossa dagli occhi ametista mi aveva strappato ogni mia convinzione con il semplice gesto di essere guardato.

«A quanto pare, l’hai fatto…», disse una voce alla mia destra dove il buio era fitto e i lampioni non coprivano l’angolo.

𝙳𝙰𝙻𝙸𝙰 𝙽𝙴𝚁𝙰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora