PROLOGO • Omelas

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<<Dedico questa storia a Gabry, la mia custode del libro>>

Omelas


Di notte, le strade di Busan, in particolare nel quartiere di Nampodong, si fanno silenziose: i negozi chiudono, i venditori ambulanti dei mercatini, tipici della zona, rincasano dalle proprie famiglie; qualche coppietta ne approfitta per fare una passeggiata al chiaro di luna, i turisti si concedono un drink in qualche pub per poi rientrare nei propri alloggi.

Di notte, quando Busan va a dormire, Omelas si sveglia.
Di notte, ad Omelas c'è vita.

La gente bigotta definirebbe quel posto il luogo della perdizione; altri lo definirebbero il paradiso in terra, una sorta di piccolo microcosmo utopico che si aliena dal resto del mondo, dove il proibito diventa concesso, dove la dissolutezza diventa uno stile di vita, dove non esistono regole e tutti sono uguali.
Non esistono differenze sociali, razziali o sessuali.
Chiunque ad Omelas è libero di essere sé stesso.

Ad una sola condizione.
Ciò che accade ad Omelas, deve restare ad Omelas.

Era considerato uno dei luoghi più In della Busan che conta, ma anche uno dei più abietti e oscuri con cui si poteva avere a che fare.
Ammaliante e seducente, come le curve sinuose di una bella donna nel fiore degli anni.

Un paradiso per tanti, ma non per tutti.
Soltanto i prescelti potevano farne parte; una sorte di club con invito esclusivo che in cambio del silenzio, prometteva ore di spensieratezza e divertimento.

Anche quella sera, il locale traboccava di persone, perlopiù di giovani, soprattutto figli di genitori ricchi, apparentemente dalla vita perfetta, eppure profondamente insoddisfatti e logorati dentro; ma vi erano anche giovani che non possedevano nemmeno un tetto sopra la testa, i cosiddetti reietti della società che avevano il privilegio di poter accedere all'Eden almeno per qualche ora, prima di essere rispediti nelle terga infime della città.

Tutti si recavano lì per lo stesso motivo perchè era l'unico posto dove poter passare la miglior "ricreazione" della loro vita: staccare la spina per qualche ora dalla loro noiosa e patetica routine quotidiana, alla ricerca del brivido, di emozioni forti, di incontri in grado di cambiarti la vita.
Questo era ciò che cercavano coloro che entravano ad Omelas e mai una volta ne restavano delusi.

La folla che si accalcava nella grande sala principale, si dimenava al ritmo della musica dal volume talmente alto da sovrastare persino la capacità di pensiero. Perché era proprio quello l'obiettivo: spegnere la mente.

Ognuno era libero di esprimere il proprio io, senza essere giudicato, senza limiti, senza inibizioni, completamente libero, o almeno, questo era ciò che pensavano i suoi clienti.

E mentre al piano di sotto la gente scalpitava in pista, si strusciava, si ubriacava e sniffava neanche troppo segretamente, in una delle camere del terzo piano, si udivano gemiti incontrollati di due ragazzi nel bel mezzo del loro amplesso.
Il letto tremava contro la parete a ritmo delle stoccate del corvino, decise e violente.
Pelle contro pelle, i suoni che ne uscivano fuori erano così osceni, e il biondino, il più piccolo dei due, che si trovava in quel momento a pancia in giù, disteso sul letto, veniva ripetutamente e violentemente penetrato dal maggiore, mentre il suo bel visino veniva rigato da qualche lacrima mal trattenuta.

Nessun tocco delicato.
Era normale.

Nessuna premura.
Era normale.

I baci erano rari e si trattava per lo più di uno scontro tra bocche e una guerra tra lingue pronte a divorarsi, fameliche, l'un l'altra.

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