Capitolo 24

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Da quando quest'anno scolastico è iniziato sono cambiate tantissime cose. Non avrei mai immaginato la mia vita al di fuori della Sicilia, speravo che arrivasse subito un'altra estate da trascorrere nella solita località balneare a pochi chilometri dal paesino in cui vivevo, in compagnia delle mie amiche... Un'estate tranquilla e non molto diversa da tutte le altre trascorse, ma divertente.
Adesso però, lontana dai miei amici, la prospettiva delle vacanze non mi appare così tanto divertente e desiderata come lo è sempre stata, e per la prima volta mi trovo a rimpiangere la mia vecchia vita.
Penso che l'idea di vivere a Pomezia mi era sempre sembrata giusta soltanto perché in questo modo ero vicina a Mirko, e negli ultimi giorni in cui siamo stati insieme questa convinzione era diventata sempre più forte, ma adesso mi ritrovo da sola, in una città che non conosco, e dove non ho nessuna delle mie abitudini. Mirko è lontano, e per di più lavora ed è quindi costretto a dedicarmi pochissimo del suo tempo, e adesso che è arrivato l'ultimo giorno di scuola, non ho idea di come trascorreranno le mie giornate.
«Marika sei pronta?»
Le parole della professoressa mi riscuotono dai miei pensieri, ed io mi limito a scuotere la testa annuendo nervosa.
Oggi a scuola c'è una piccola festa per i saluti finali, che comprende anche un concerto organizzato dai ragazzi che hanno frequentato il corso musicale. Quando i professori mi hanno proposto di cantare ho subito accettato quasi senza rifletterci su, ma sono rimasta meravigliata di come sapessero di questa mia passione, prima di ricollegare il tutto all'unica persona che ne fosse a conoscenza e che avesse potuto parlarne con loro.
Quando infatti ho bussato alla porta di Clara, arrabbiata e in cerca di spiegazioni, lei si è lasciata andare ad una fragorosa risata confermando la mia ipotesi. Mi sono finta offesa per ben due giorni, ma quando la sua mancanza ha cominciato a farsi sentire, ho ceduto e ho abbandonato la mia idea di vendetta, per la gioia della mia amica che stamattina ha spalancato la porta della mia stanza svegliandomi, con in mano sei sacchetti colmi di vestiti da farmi provare.
Le ho sussurrato un "tu sei pazza" provando a riaddormentarmi, ma lei non si è lasciata scoraggiare e mi ha letteralmente buttata giù dal letto costringendomi ad indossare tutti i completi che aveva scelto per me.
Io avevo optato per dei semplicissimi pantaloni blu e una maglia bianca traforata, ma è soltanto colpa sua se adesso mi trovo con indosso un vestitino skater a righe bianche e rosse che arriva a mala pena sopra il ginocchio, ed un paio di sandali alti abbinati al vestito e completi di strass, su di una pedana che finge di essere un palco. 
Ho scelto di seguire il consiglio di Martina e cantare "Quel posto che non c'è" dei Negramaro, mi piacerebbe tanto che lei è Giulia fossero con me adesso, e cantare la sua canzone preferita mi aiuta in qualche modo ad immaginarla qui.
Stringo forte il microfono quando sento le prime note diffondersi, e prendo un respiro profondo dando voce alle parole dei primi versi.
Non cantavo davanti ad un pubblico da tantissimo tempo, e devo ammettere che è una sensazione bellissima. L'ansia viene subito sostituita dalla felicità, e quando pronuncio l'ultima frase della canzone sento un applauso partire scrosciante dai miei compagni di scuola che mi guardano sorridendo. Sono tentata di voltarmi per accertarmi che non sia arrivato Giuliano Sangiorgi in persona, ma quando sento la voce di Andrea gridare "Brava Marika!" mi convinco che l'applauso sia per me.
Allontano il microfono e faccio scorrere il dito sulla levetta, spegnendolo, prima di poggiarlo sul leggìo ed accennare un inchino, dopo il quale scendo dal palco.
Tra risate, musica, ed abbracci anche l'ultimo giorno di scuola è volato via, e devo dire anche nel migliore dei modi. Saluto Andrea con la promessa di rivederci presto e mi allontano dal cortile della scuola, imboccando la strada verso casa mia.
Giro la chiave nella serratura, abbastanza certa che la casa sia vuota, ma quando varco la porta, immettendomi nel grande salone, incontro subito gli occhi di mia madre nei quali intravedo un lampo di agitazione, e la vedo scuotere le spalle e rilassare l'espressione del viso, come per tranquillizzarsi da uno spavento.
Sposto lo sguardo da lei a mio padre, in piedi davanti la TV, e chiudo cautamente la porta d'ingresso, rimasta spalancata, senza riuscire a nascondere dal mio volto un cipiglio confuso.
«Come mai siete qui, così presto?»
Sono abituata ad orari di lavoro piuttosto diversi da questi, e il vederli entrambi a casa mi stupisce, e non poco.
Osservo i miei genitori scambiarsi rapide occhiate, prima che mia madre mi rivolga un sorriso smagliante e si avvicini a me, alzandosi dal divano nel quale era seduta.
«Noi dobbiamo dirti una cosa... Volevamo farlo più avanti, ma forse anche questo è il momento giusto.»
«Cosa c'è?»
Riesco a percepire l'agitazione nella mia voce, e a quanto pare questa non sfugge neanche a mia madre, che mi rivolge subito uno sguardo dolce per rassicurarmi.
«Tranquilla non è niente di brutto!»
Ho sempre pensato che io ed i miei genitori avessimo un diverso concetto di "cattiva notizia", adesso però ne ho la conferma.
«Tu vuoi veramente trascorrere l'estate qui?»
La sua mi appare più come una domanda retorica, ed io mi limito ad annuire, non capendo a cosa voglia riferirsi.
«E un cambio di programma non...»
A quel punto comprendo finalmente cosa stia cercando di dirmi e la interrompo subito portandomi le mani alla fronte.
«No mamma. Non di nuovo.»
«Che cosa?»
Guarda verso mio padre, che scuote la testa.
«Ho già visto quello sguardo, ho già sentito le tue parole dire che sarà bello, che mi troverò bene, e ti ho creduto. Avevi ragione, ma adesso non succederà di nuovo, io resto qui, sono stanca dei vostri trasferimenti.»
«Ma che dici? No, aspetta!»
Non sono triste, sono soltanto arrabbiata, avevo ragione a credere che mi stessero nascondendo qualcosa, ma non pensavo che fosse questo. Non immaginavo che potessero ripetere ancora una volta l'errore di tenermi all'oscuro di tutto, per la stessa ragione.
Salgo in fretta le scale, aprendo la porta della mia stanza e chiudendola in fretta dietro di me, mentre le mani di mia madre battono freneticamente sul legno.
«Apri, non è come pensi!»
Mi siedo sul letto, appoggiando il mento sui palmi delle mani e lascio andare un grande sospiro. Non ho frainteso, di questo ne sono sicura, e non voglio che tentino di farmi cambiare idea come hanno già fatto.
Sento un ultimo colpo alla porta e la mano di mia madre che scivola su di essa, poi riesco a percepire soltanto le voci agitate dei miei dal piano di sotto. Decido di non prestare troppa attenzione alla loro discussione, e cerco anche  di non pensare al momento in cui mi lascerò convincere e cambierò un'altra volta città, allontanandomi di nuovo dai miei amici e da Mirko. Recupero un vecchio disegno lasciato incompleto sul fondo del cassetto della scrivania e mi siedo a gambe incrociate, facendo scorrere velocemente la matita su di esso. Smetto di disegnare soltanto quanto sento di nuovo dei passi su per le scale e la voce tranquilla di mio padre parlarmi attraverso la porta ancora chiusa.
«Mari, esci da qui, dobbiamo parlare!»
«Non mi convincerete.»
Poso il disegno ormai finito all'interno di un album e lo guardo soddisfatta prima di riporlo in uno scaffale accanto la finestra, e girare la chiave, aprendo la porta, e trovandomi di fronte il sorriso e lo sguardo stupito di mio padre.
Ovviamente non si aspettava che io cedessi così in fretta, non l'ho mai fatto e sinceramente anche io sono rimasta sorpresa dal mio stesso gesto, ma rimandare la discussione non serve a nulla.
«Allora? Cosa devi dirmi?» 
Lo osservo scendere le scale, incoraggiandomi a seguirlo, e sedersi nel posto libero del divano accanto a mia madre, mentre io rimango in piedi davanti a loro.
«Hai capito male, noi non vogliamo trasferirci!»
Spalanco la bocca, mentre un senso di sollievo invade la mia mente, e sul mio viso nasce un sorriso involontario che fa sciogliere anche  l'apprensione dei miei genitori, che però continuano a guardarmi con l'incertezza negli occhi.
«Volete dirmi cosa sta succedendo?»
Aspetto per un momento che qualcuno decida di darmi delle risposte, e vedo mio padre reprimere un sorriso quando si avverte un leggero ticchettio alla porta d'ingresso.
«Lo scoprirai da sola»
Emette un colpo di tosse abbastanza forte e sporge lo sguardo verso qualcosa alle mie spalle.
Roteo gli occhi alzandoli al soffitto, stufa di tutta questa attesa, ma quando mi volto sgrano gli occhi e le parole che stavo cercando di pronunciare si fermano in gola, mentre mi porto una mano alla bocca e mi accorgo di stare trattenendo il fiato.

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