La paura dei corvi

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- Narratrice

Camminava da giorni, stremato, con i piedi gonfi, il cervo in spalla, la carabina a tracolla. La mimetica stava cominciando a puzzare di erba e corteccia. Il cielo era dipinto dei colori del tramonto; peccato che il sole non si vedeva. Quell'isola lo stava facendo impazzire: non c'era un ruscello, una pozzanghera d'acqua, e la sete gli aveva prosciugato la gola. La foresta maligna procedeva sempre con i soliti alberi latifoglie dall'aria spettrale, con i soliti suoni sinistri di un violino scordato che provava a suonare, invano, ogni qualche ora; con il tramonto che finiva in notte, e poi di nuovo tramonto, poi di nuovo notte, non esisteva il giorno. Non esisteva il sole. Solo le nuvole e le stelle.
Moriva dalla fame e dal sonno. In quei cinque giorni non aveva chiuso occhio, per via di quella melodia tetra di violini che lo tormentava. Doveva sempre stare attento. I nervi gli stavano cedendo.
Avrebbe potuto mangiare il cervo, ma la creatura era troppo bella e maestosa. Quando era andato sulla sua chiatta sperando di trovare isole di boschi inesplorati per una caccia fluente e ricca, non pensava che il mare lo inghiottisse e lo portasse nel bel mezzo degli alberi di un'isola sconosciuta, vestito solo della sua mimetica e armato della sua amata carabina, guadagnata dopo tanti anni di risparmio.
Aveva trovato tantissima selvaggina, ma anche se apparentemente molto tranquilla, attenta al minimo movimento. Aveva giá visto una dozzina di lepri se non di piú, tutte erano scappate velocemente nei cespugli sentendosi il solo peso addosso degli occhi grigi del cacciatore, anche se era lontano. Aveva avvistato anche caprioli, coppie e famiglie, che mangiavano fra i tronchi o negli spiazzi d'erba. Inutile dire che anche loro scappavano; saltavano via come grilli, con un moto di serenitá e simpatia. Aveva avvistato anche altri animali, daini, passerotti, e predatori come volpi, lupi, tassi e procioni. Nel percorso del terzo giorno aveva trovato un'orma d'orso. Tutte le creature erano maledettamente sane. Dove bevevano?
Ma furono i corvi a pressare il tutto; un gruppo di sei esemplari, tutti in salute, tutti diversi o dal colore degli occhi, delle piume o dalle dimensioni, che lo seguivano fin da quando si era svegliato. Volavano tra i rami, appollaiandosi, e controllando il cacciatore, ridendo, sapendo giá che fine avrebbe fatto.
L'unico animale che aveva preso era proprio il cervo che portava in spalla; l'aveva trovato che dormiva tra le radici di un albero, pacato, baciato dai raggi del tramonto infinito del quarto giorno. Gli aveva sparato, e l'animale era stato abbracciato da un sonno eterno, diventando da vivente a carcassa. Quando il cacciatore lo aveva preso in spalla, si era accorto della sua bellezza; il pelo morbido e castano-dorato, il muso dalle curve dolci, il torace possente, le chiazze bianche, le corna color osso ramate verso il cielo, gli zoccoli eleganti. Ma altrettanto pesante da trasportare.
Quando vide che il cielo si scurì, il cacciatore finì in uno spiazzo d'erba, uguale ai tanti che aveva visto, seguito ovviamente dai corvi gracchianti. Si sedette al centro, posando prima il suo tesoro morto, e fu preso da un grandissimo sollievo sentendo la spalla leggera e lievemente formicolante.
Si tolse la carabina dalla tracolla, e guardó gli occhi del cervo; ciechi, grigi, vitrei. Morti.
I corvi si posarono sui rami delle chiome degli alberi sul confine, cinque ridacchiando, uno, il piú grande e fiero, dalle piume piú nere dell'inchiostro e dagli occhi verde scuro, in silenzio.
All'improvviso, ecco una melodia di violini scordati che suonarono frenetici, senza pausa. Il cacciatore rimase dov'era. La canzone della morte si avvicinava sempre di piú. Il cacciatore rimase dov'era. Quando fu vicinissima allo spiazzo erboso, i corvi tacquero. Il cacciatore rimase dov'era.
Silenzio.
Il cacciatore rimase dov'era.
Cominciarono le fisarmoniche, intonando delle note vagamente allegre.
Il cacciatore, stanco, rimase dov'era.
Cosí arrivó fuori una creatura umanoide strisciante, senza pelle, senza occhi ne naso, senza salute ne pietá, con il sangue grondante dai muscoli delle ginocchia sbucciate, dalle mani, dai piedi e da altre parti del corpo, mentre emanava deboli ma visibili scintille di fuoco al suo passaggio; era arrivato lo SkinWalker.
Strisciante, arrivó all'uomo seduto, e con un colpo secco, posó le mani sul collo e con una forza innaturale lo battè sul terreno. Il collo si spezzó e rimase molle, penzolante. I cinque corvi cominciarono a ridere nuovamente, mentre il sesto, fiero e felice, sorrideva malefico. Guardando quest'ultimo, lo SkinWalker annuí e se ne andó nei meandri della foresta. Un corvo, il piú grosso prima del sesto, si avvicinó al cadavere dell'uomo, staccando gli occhi e mangiandoli. Poi si avvicinó al cervo morto, ancora bello anche nella seconda vita. Con il becco solcó sulla sua fronte una piccola lacerazione. Quando uscí un rivolo di sangue, la creatura nera si bagnó il volto di rosso e subito dopo giacque senza vita vicino al cervo. Dopo cinque secondi, il mammifero riprese vita, ma invece di aver occhi ambrati, aveva gli occhi color nocciola, come quelli del corvo che era appena morto. L'animale si alzó come se si fosse svegliato da un pisolino, con calma, lentamente, scrollandosi. Guardó il corvo dagli occhi verdi, e anche lui annuí, mentre tranquillamente si addentrava nella foresta e scompariva tra i tronchi castani e le chiome prosperanti.

Panic Island: Escape or Die [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora