Chi dorme nel verso del corvo

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Il suo urlo era un suono spettrale, profondo, lontanamente simile al bramito di un cervo e al gracchio di un corvo. Era impossibile per un bambino cosí piccolo produrre un verso come quello.
Le persone, terrorizzate, si misero le mani ai lati della testa, mentre quelle con cuffie o auricolari aumentavano il volume della musica, e anche loro si coprivano le orecchie.
Il bambino continuava a urlare, e i timpani di alcuni passeggeri scoppiarono con un rivolo di sangue.
L'urlo continuava indisturbato, non accennava a diminuire nemmeno di poco, e il bambino era rigido e la pelle pallida come uno scheletro. La madre affianco, una donna dalla chioma bionda e riccia, che si era tappata anche lei le orecchie, piangeva vedendo suo figlio in quelle condizioni.
Per cinque minuti l'urlo continuó insistente, fino a che il bambino non si fermó. Uno spruzzo rosso uscii dalla sua bocca, e gli occhi ripresero un colore marroncino. Dopo pochi secondi di paralisi, la testa barcolló e cadde in avanti. Il suo corpo era completamente immobile. La madre lanció un lamento disperato, accasciandosi sopra il figlio morto. Le lacrime si fermarono quando il suo volto prese una piega strana; aumentó la profonditá delle rughe, le labbra si seccarono, i capelli diventarono grigi alle radici. Gli occhi fuori dalle orbite divenne blu come gli occhi del bambino prima della caduta. Non passarono nemmeno cinque secondi quando anche lei cominció ad urlare.
Il suo peró era molto piú femminile e con note adulte, ma molto piú potente. Altri timpani scoppiarono. I finestrini si ruppero tutti, tranne il mio. Vidi il capitano nella cabina di pilotaggio. Era a terra, stramazzante dal sangue. Guardandomi intorno capii che forse ero l'unico cui i timpani erano intatti.
Intanto, il Mare del Nord si stava agitando. Fin troppo. Vedevo le onde blu abbattersi sui fianchi della mini-crociera, prepotenti.
La donna continuava ad urlare, e si mise in pieni sul proprio sedile. Le acque marine si agitarono ancora di piú. Fu il capitano che, a terra, indicó il fiume d'acqua salata che entrava dalla parte anteriore della nave.
A quel punto il mare era impazzito. Era entrato nel veicolo con prepotenza, bagnando tutti i passeggeri e gli impiegati della CostaDorata e mischiando il sangue con le proprie acque. Il mio finestrino alla fine si ruppe da dentro, ma nemmeno una scheggia di vetro mi sfioró. Onde cominciavano a entrare anche dai finestrini rotti, e riempivano il fiume nella crociera come piccoli affluenti.
In tutto questo, la donna non smetteva d'intonare il suo urlo demoniaco.
Mi sporsi sul mio finestrino rotto, e vidi il mare agitato. Ma per qualche strano motivo, le onde arrabbiate si concentravano solo dove la CostaDorata salpava. Lontano da essa, era tutto tranquillo.
Rientrai con la testa dentro quando un'enorme onda marina capitolata da schiuma bianca si schiantó sul fianco del veicolo, con tale forza che le mura si creparono. Un'altra onda fece lo stesso dall'altra parte e in quella posteriore, e entrambe le due formarono crepe e bolli. Altre, alte ma meno potenti, giocherellavano con la CostaDorata facendola muovere a destra e a sinistra, come se una matita volesse trovare l'equilibrio su un filo metallico. Mi aggrappai al mio sedile piú che potevo, mentre vedevo corpi svenuti o sanguinanti dai timpani venire sballottati.
E la donna continuava a urlare.
Un'onda, potente, rabbiosa, decisiva, frantumó la nave in due parti. L'aria fredda e gelida del mare mi coprí le parti esposte di pelle. Un vento glaciale soffiava da dietro di me, come a voler peggiorare il tutto. Il Mare del Nord era ancora infuriato; l'acqua continuava a colpire e annegare frantumi della CostaDorata. Corpi dipinti da un'aura rossa affondavano. Persone vive e disperate venivano catturate dalle onde blu. Gente che cercava di aggrapparsi a sedili o pezzi di mura veniva sepolta dall'acqua.
Ma intanto, la donna riccia continuava a urlare.
Dalla sua bocca uscí del sangue, e la voce si fece piú acuta.
Ma continuó ad urlare.
Il mare impetuoso diventó piú violento di prima, affogando e rapendo le ultime persone ancora in vita. Tranne me e la donna.
Quando le sue corde vocali diventarono dei muscoli morti, la donna smise. Fu come sentire silenzio dopo essere stati in un luogo rumoroso. Era... Strano ma anche... Rilassante.
L'unica cosa che sentivo era l'acqua marina che si era placata in docili onde, e il vento che aveva diminuito la velocità della sua corrente fredda.
Mi aggrappai al mio sedile galleggiante. Le gambe erano nel blu, ma visto che non avevo perso sangue non avevo paura di squali o altre creature. Guardandomi intorno, non vidi proprio piú nessuno oltre me e lei.
Sospirava a fatica. Poi si irrigidí di colpo, ed alzó la testa, come ad aver visto un'apparizione. Gli occhi blu svanirono in una cecità di pietra, e cadde all'indietro dal suo sedile. Era stata in piedi ad urlare per tutto questo tempo.
Ora ero solo. E sano. Sano...
Sono l'unico rimasto illeso?
In questa tragedia sovrannaturale e particolarmente strana, ero l'unico che non si era fatto un graffio ed era ancora vivo? Non poteva essere fortuna. Non poteva essere un caso. Il caso non esiste, c'è sempre una veritá dietro.
Abbassai le cuffie. Le avevo ancora indossate. Guardai le mie mani aggrappate al sedile, e mi venne in mente di una cosa. La scatoletta di Daven.
Controllai la tasca della felpa; si era bagnata solo per metá. La scatoletta rossa era integra, senza tracce di umiditá. La trasferì nella tasca interna impermeabile, vicina al petto.
Fui colto da un senso improvviso di stanchezza. Anche se ero stato seduto fino a qualche minuto prima a tapparmi le cuffie, avevo sonno. Ero stanco.
Mossi le gambe per non farle gelare nell'acqua del Mare del Nord. Mi aggrappai meglio al sedile e mi mossi in una posizione piú comoda. Poggiai la testa sull'imbottitura morbida, a pancia in giú, guardando verso destra.
La stanchezza aumentó, e con essa anche il sonno. Le palpebre cominciarono a farsi pesanti come non mai, il corpo reclamava i sogni. Alla fine cedetti alla mia natura, e chiusi gli occhi. Prima di sprofondare, sentii un verso conosciuto: un gracchio di un corvo. E prima di esso un frullio d'ali pesanti, e due zampette che si aggrappavano al bracciolo del sedile. Sentii il suo respiro sui miei capelli, l'aura del becco che sfiorava la testa.
Iniziai a dormire sentendo per ultima cosa il suo gracchiare profondo, che scomparí come un eco insieme alla cognizione del tempo.

Panic Island: Escape or Die [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora